Smog, le misure “coreografiche” del governo e la disattenzione sulla questione clima

  • 4 Gennaio 2016

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«Interventi quasi coreografici». Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e QualEnergia, definisce così in un'intervista su Il Manifesto le misure anti-smog governative. E spiega perché l'emergenza inquinamento atmosferico va affrontata assieme alla questione climatica.

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Le misure predisposte dal ministero dell’Ambiente per rispondere all’emergenza smog che ha raggiunto l’apice nei giorni scorsi hanno fatto discutere. Come sappiamo, l’intesa tra Minambiente, regioni e sindaci prevede che in caso di sforamento prolungato dei limiti di inquinamento atmosferico questi ultimi adottino una serie di provvedimenti d’emergenza (quali limiti ribassati di 2 °C per il riscaldamento degli edifici, limitazioni agli impianti a biomassa laddove ci siano altre forme di riscaldamento, sconti sui mezzi pubblici e limiti di velocità ridotti di 20 chilometri orari nei centri urbani).

Oltre al pacchetto di cui sopra si prevede poi una strategia sul medio periodo, 3 anni, per vigilare sulla quale nasce una task force tra i sindaci delle città metropolitane, presidenti di Regione e ministero dell’Ambiente. Infine, accanto agli stanziamenti già previsti il ministero mette a disposizione 12 milioni di euro per le iniziative dei Comuni sul trasporto pubblico locale e la mobilità condivisa.

Azioni che però hanno ricevuto un’accoglienza tiepida da parte del mondo ambientalista. Riproponiamo qui l’intervista a Gianni Silvestrini, direttore scientifico di questa testata e del Kyoto Club, realizzata da Eleonora Martini e pubblicata su Il Manifesto del 31 dicembre 2015.

Sembra che Regioni, comuni e governo abbiano finalmente siglato una strategia nazionale contro l’inquinamento. Il suo giudizio?

Da settimane era evidente che la situazione è grave e preoccupante, il vertice andava fatto due settimane fa. Il governo italiano ha mostrato di nuovo scarsa prontezza davanti a un problema che ha visto invece reagire immediatamente gli altri paesi europei e non solo. Inoltre si tratta di misure meno che tampone. Quando ho letto che sono previsti 12 milioni di euro per incentivare il trasporto pubblico nei Comuni, ho pensato che fosse un errore: se fossero stati miliardi allora poteva avere un senso.

La giustificazione la conosce anche lei: i soldi sono pochi.

Ma ci sono soluzioni fiscalmente neutre per lo Stato, come quelle adottate in Francia dove si è istituito una sorta di bonus malus della circolazione legato alle emissioni: più inquino, più pago.

C’è anche chi sostiene che si stia esagerando con il catasfrofismo perché attualmente le polveri sottili in città come Milano e Torino si sono ridotte anche di un terzo rispetto agli anni ’70.

È vero: a Milano il car e il bike sharing e l’accesso a pagamento nel centro della città hanno prodotto buoni risultati per la riduzione sia del Pm10 che del numero di auto circolanti. Però se dopo 30 anni c’è ancora questo livello di criticità vuol dire che il miglioramento è stato troppo lento e che è giunto il momento di aggredire le varie cause con coraggio e con misure radicali. Con le normative Cee sui motori l’impatto del traffico si è ridotto ma resta molto da fare nel settore dell’edilizia.

Eppure dopo due giorni di blocco totale del traffico lo smog continua ad aumentare. Perché?

La pianura Padana per conformazione orografica è come un bacino dove, in determinate condizioni atmosferiche, ristagna l’aria. Dunque, malgrado diminuisca l’emissione di inquinanti, la concentrazione di polveri inevitabilmente aumenta, come in una camera a gas.

Anche a Roma però c’è lo stesso fenomeno.

Ma a Roma non si è fatto un granché. Almeno a Milano il referendum (nel 2011, sulle politiche ambientali, promosso dai Radicali e dal comitato «Milano Sì muove», ndr) ha costretto le amministrazioni a prendere misure che nella Capitale non sono mai state adottate. Occorre un cambiamento di mentalità nel capire che la sfida contro lo smog è strettamente legata a quella contro il riscaldamento globale. E la conferenza di Parigi sul clima impone un salto di qualità, come dopo il «Grande smog» che avvolse Londra nel 1952 e causò la morte di migliaia di persone. Allora si incise in maniera drastica sulle emissioni industriali e oggi, dopo Cop21, dovremmo fare come hanno fatto sia Merkel che Obama: definire una strategia climatica mirando a benefici anche locali sulla qualità dell’aria.

Dunque, lei dà un buon giudizio sui risultati di Parigi?

Mancano molte cose nel memorandum finale ma il fatto che tutti i Paesi del mondo abbiano firmato un accordo per contenere entro i due gradi il limite di innalzamento della temperatura, anche l’India o l’Arabia Saudita, ad esempio, rappresenta un passaggio storico e permette di chiedere ai governi nazionali un cambio di passo.

Per esempio, nel nostro caso?

In due settori, in particolare. Sul versante dell’edilizia, finora sono stati utilizzati strumenti che hanno avuto una buona funzione anticiclica, come le detrazioni fiscali al 65% sulla ristrutturazione per l’efficienza energetica dei singoli appartamenti, con una riduzione dei consumi del 15–25%. Ma l’Europa con la direttiva del 2012 sull’efficienza energetica chiede di passare alla deep renovation: la riqualificazione di interi edifici, di interi quartieri, che porta ad un abbattimento dei consumi del 70–80%. A questo punto la situazione cambia radicalmente e gli interventi non sono più a macchia di leopardo.

Allora di cosa si ha bisogno?

Di strumenti di incentivazione definiti per i condomini che in Italia costituiscono il 50% del parco edilizio residenziale, per gli interi edifici, non solo quelli pubblici per i quali dal 2016 è prevista l’applicazione del «nuovo conto termico». Poi c’è il versante della mobilità, che ha un peso non indifferente: è noto che siamo di fronte a un boom della mobilità elettrica, soluzione resa più interessante dal calo dei prezzi delle batterie. Quest’anno sono state vendute mezzo milione di auto elettriche nel mondo e, a fronte di un’auto su quattro in Norvegia, per esempio, in Italia siamo fermi a 3.500 auto, solo allo 0,1% delle vendite.

Perfino la Volkswagen ha annunciato la conversione alle auto elettriche…

Deve recuperare credibilità e perciò sta investendo in ricerca e tecnologia. Da noi la casa dominante, la Fiat, non ci ha mai creduto alla mobilità elettrica e il governo non l’ha mai incentivata. Si pensi che gli incentivi in Italia sono di 1,5 milioni di euro all’anno, mentre in Francia arrivano a 60 milioni e in Norvegia 250 milioni l’anno. Sapendo che siamo di fronte a un vero e proprio boom, ecco dunque una delle scelte strategiche di cui ci sarebbe grande bisogno.

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