Alla CoP21 la IEA mostra la lunga strada che c’è da fare

Mentre a Parigi si lavora per l'accordo sul clima, un report presentato dall'Agenzia Internazionale per l'Energia fa il punto della situazione. Nonostante i progressi, l'obiettivo dei 2 °C resterà fuori portata senza un cambio di ritmo. Cruciale sarà il ruolo delle potenze emergenti come Cina e India.

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Il grandissimo sviluppo delle rinnovabili e il disaccoppiamento tra crescita e consumi di energia hanno fermato, per la prima volta negli ultimi 40 anni, la crescita delle emissioni di gas serra, ma siamo ancora troppo lontani dal punto in cui dovremmo essere per evitare gli effetti peggiori del riscaldamento globale.

Con questo passo non ce la faremo sicuramente a fermare il global warming entro la soglia critica di +2 °C dai livelli preindustriali. Se la responsabilità storica dei cambiamenti climatici è dei Paesi ricchi ora la battaglia decisiva si gioca nella decarbonizzazione di nuove superpotenze come Cina ed India.

Un report utile per leggere quel che sarà il Paris Outcome

È questa la sintesi estrema del nuovo dossier sulla situazione clima-energia diffuso dalla IEA, l’Agenzia internazionale per l’energia, proprio oggi, mentre a Parigi i negoziati della CoP21 entrano nella giornata decisiva per raggiungere l’accordo finale, il Paris Outcome, nel gergo dei negoziati. Alcuni di questi aspetti erano stati toccati anche nella nostra recente intervista al direttore esecutivo della IEA, Fatih Birol (QualEnergia.it).

Nel breve report (allegato in basso) ci sono molti dati utili per affrontare le questioni irrisolte per arrivare ad un accordo e su come affrontare i cambiamenti climatici: a partire dall’accelerazione della decarbonizzazione necessaria per restare entro i 2 °C e dal peso che le nazioni ricche e i Paesi in via di sviluppo hanno avuto, hanno e avranno in termini di emissioni di gas serra.

Emissioni cresciute del 50% dal 1990; stallo nel 2014

Come siamo messi lo si vede bene dal grafico sotto, tratto dal report. Nel 2013 le emissioni di CO2 legate all’energia (linea rossa) hanno raggiunto il loro massimo storico degli ultimi 40 anni, aumentando del 50% rispetto al 1990. Nel 2014 la crescita delle emissioni si è arrestata per la prima volta. Il merito è del disaccoppiamento tra crescita economica, misurata come Pil, e i consumi di energia (linea blu).

La linea rossa rappresenta le emissioni di CO2; la blu l’intensità energetica, cioè il rapporto tra consumi e Pil; la linea gialla è il rapporto tra emissioni di CO2 e consumi. Nella colonna a destra i valori che dovrebbero avere questi indicatori nel 2025 e nel 2050 per permetterci di restare sotto alla soglia del 2 °C secondo lo scenario 2DS della IEA.

Il boom delle rinnovabili non basta

Nel 2014 (grafico sotto) c’è stato un record in quanto a nuova potenza elettrica da rinnovabili, nonostante il prezzo del petrolio e di altre fonti fossili sia crollato. L’aspetto deludente è che, nonostante il boom delle rinnovabili – spiega la IEA – il mix energetico mondiale non è diventato “più pulito” in termini di CO2 emessa (linea gialla nel grafico sopra).

2 °C fuori portata?

Secondo la IEA, per centrare l’obiettivo di fermare l’innalzamento della temperatura del pianeta a +2°C, la carbon intensity del mix energetico complessivo (la solita linea gialla del primo grafico) dovrebbe calare di un terzo entro il 2050 e per il mix elettrico (grafico sotto) dovrebbe ridursi del 90%, per arrivare ad avere da fonti low-carbon (rinnovabili e nucleare) il 93% della domanda elettrica globale. “L’analisi mostra chiaramente che non siamo sulla traiettoria giusta per centrare l’obiettivo”, avverte l’International Energy Agency.

Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo

Il report della IEA è utile anche per riflettere su quella che forse è la questione più spinosa da risolvere alla CoP21: come deve essere distribuito lo sforzo per prevenire e adattarsi al cambiamento climatico? Il grafico qui sotto ad esempio riassume bene la questione delle “responsabilità differenziate”: se storicamente il grosso della CO2 in atmosfera è stato emesso dai Paesi di prima industrializzazione, quello legato alla crescita delle emissioni degli ultimi anni è dovuto a Paesi non OCSE, Cina e India in testa.

Emissioni pro capite

Altro dato utile a capire la situazione quello delle emissioni pro capite, riassunto nel grafico sotto.

Come si vede, se i Paesi OCSE hanno emissioni nettamente più alte, c’è una progressiva convergenza con le potenze emergenti: la Cina ha raggiunto l’Europa. Ogni cinese ha emissioni per 6,7 tonnellate di CO2 l’anno, ogni europeo 6,8, ma l’intensità energetica della Cina, nonostante i grandi progressi fatti, resta circa il triplo di quella dell’Europa.

La CO2 incorporata nel beni scambiati

L’Europa è la regione che ha fatto i maggiori progressi in termini di riduzione delle emissioni, mentre la Cina, nonostante i progressi e gli sforzi nella diffusione del fonti rinnovabili, vede le emissioni in aumento come pure l’India (si vedano qui i grafici per Europa OCSE, Cina e India).

Ma la questione andrebbe vista anche da un altro punto di vista, che nel report IEA manca: bisognerebbe considerare anche l’andamento delle importazioni dai Paesi emergenti, sempre più “fabbrica del mondo”, a quelli più ricchi.

La soluzione è la Carbon Tax?

Secondo uno studio di qualche anno fa della Carnegie Institution for Science oltre un terzo delle emissioni legate al consumo di beni e servizi nei Paesi ricchi avviene al di fuori dei loro confini. La ricetta per affrontare il problema? Secondo molti è spostare lungo la catena della CO2 la regolamentazione delle emissioni, andandole a colpire alla radice. Cioè, introducendo una carbon tax.

Il report IEA “Track the energy transition” (pdf)

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