Un modulo abitativo energeticamente autosufficiente per i climi estremi

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Il gruppo del “Progetto BiosPHera 2.0” ha selezionato un progetto di "casa passiva" del Woodlab del Politecnico di Torino: abitazione di 25 mq, costruita con pannelli XLam spessi 10 centimetri e isolati con lana di roccia, con fotovoltaico e batterie. Sarà trasportato in varie realtà climatiche. Non solo un esperimento scientifico.

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A meno di non risiedere nella steppa mongola o kazaka, è difficile che una abitazione sperimenti temperature fra -20 e +40 °C, così da testare in situazioni estreme le migliori tecniche di isolamento e produzione energetica sostenibile, come quelle usate nelle case che non richiedono sostanziali apporti di energia dalle reti, le “passive house”. Ma se gli estremi meteo non vanno alla passive house, la passive house può andare agli estremi meteo.

Così si potrebbe sintetizzare l’idea venuta in mente al gruppo del “Progetto BiosPHera 2.0”, guidato dal costruttore bresciano di case ad alta efficienza energetica Aktivhaus, Politecnico di Torino, l’incubatore di imprese Valle d’Aosta Structure e Università della Val d’Aosta, e supportato, oltre che dalla Regione Val D’Aosta, da un folto gruppo di aziende private del settore della bioedilizia.

Il gruppo ha bandito nei mesi scorsi un concorso per la realizzazione di un modulo abitativo, trasportabile su un autosnodato di normali dimensioni, che incorporasse le più avanzate tecnologie di efficienza energetica e funzionasse in modalità stand alone, con il solo allaccio alla rete idrica.

Fra i 15 progetti, presentati da 100 studenti di architettura e ingegneria di tutta Italia, arrivati agli organizzatori, è stato scelto quello del gruppo del Woodlab del Politecnico di Torino, composto da Giulia Azaria, Valeria Bosetto, Marco Casaletto, Matteo Cilia, Karen Rizza, Jasser Salas Castro e Simone Vacca d’Avino. Il progetto scelto, chiamato Elio, consiste in una abitazione di 25 mq, costruita con pannelli XLam, fatti di assi incrociate e incollate di abete ecosostenibile, spessi 10 centimetri, ulteriormente isolati con lana di roccia.

La casa, lunga 12 metri, larga ed alta tre, consiste in soggiorno, bagno, angolo cucina e camera da letto, con grandi finestre su un lato, che si troveranno esposte a nord o a sud, a secondo se si voglia catturare o evitare il calore esterno.

Il tetto è coperto con 2,5 kW di impianto fotovoltaico, mentre il soffitto nasconde gli impianti per il ricambio d’aria, con scambiatore di calore che recupera quello in uscita al 93%, riscaldamento, con due resistenze elettriche da 300 watt, accumulo elettrico con batteria Fiamm al nichel-cloruro da 10 kWh, serbatoio da 150 litri di acqua sanitaria scaldata dal sole e un minuscolo condizionatore d’aria da 1250 watt.

«Uno dei problemi principali da superare in questo progetto è stato proprio quello di trovare degli impianti di climatizzazione con potenze così minuscole», ci spiega Mirko Taglietti, Ad di Aktivhouse. «Per esempio abbiamo dovuto rinunciare ad usare una pompa di calore, perché tutti i modelli esistenti erano sovradimensionati. Questa miniaturizzazione non dipende solo dalle piccole dimensioni della casa, ma dal fatto che è così ben isolata termicamente e ha pareti così massicce a fare da accumulo di calore, da variare la sua temperatura, senza la climatizzazione, al massimo di soli 0,8 °C al giorno, anche nelle condizioni meteo più estreme. Quasi sempre, quindi, basta il calore dei corpi di chi la abita e degli elettrodomestici a mantenere le condizioni ideali di temperatura intorno ai 20 °C, con umidità del 45-60%. Per il resto tutta l’elettricità, anche per cucinare, tramite piastre ad induzione, e il calore che gli necessitano arriveranno dal sole. Anzi temiamo che in estate avremo da smaltire un eccesso di produzione elettrica, magari la useremo per alimentare dei veicoli elettrici».

E se il sole non c’è?

Visti i miniconsumi, con i 10 kWh di scorta nella batteria calcoliamo che la casa possa resistere fino a circa 15 giorni senza alimentazione solare, una condizione difficile da verificarsi anche in montagna. Comunque, un po’ per scherzo, i progettisti hanno previsto anche una cyclette con alternatore nel soggiorno, così, oltre a tenersi in forma, si possono ricaricare le batterie in caso di emergenza, pedalando per qualche ora.

Ma chi abiterà questa casa?

Lo scopo di Biosphera 2.0 è quello di sperimentare il funzionamento di una passive house nel massimo numero possibile di condizioni meteo, ma anche verificare il suo comfort sulla più vasta varietà possibile di persone. Per questo, in parallelo alla costruzione del modulo, recluteremo via internet decine di volontari, coppie con bambini, giovani, uomini di mezza età e anziani, disposti a passare una settimana nell’abitazione. I volontari indosseranno braccialetti con sensori costruiti dalla startup italo-americana Empatica, che terranno d’occhio molti loro parametri vitali. Contemporaneamente i sensori della startup italiana Nuvap, monitoreranno 25 parametri ambientali. Infine, telecamere seguiranno le attività degli abitanti. Incrociando tutti questi dati, contiamo di verificare al meglio e scientificamente come funzioni una passive house nelle condizioni più varie possibili e che effetti produca sul benessere di chi la abita.

Ma non c’è certo solo l’aspetto scientifico in questa iniziativa …

No, l’idea è anche quella di far conoscere a più persone possibili le possibilità della moderna architettura ad alta efficienza, per questo abbiamo scelto per la sua installazione località turistiche molto frequentate, che si prestano a organizzare eventi e visite che portino migliaia di persone a constatare la qualità di vita di queste abitazioni. E scommetto che per molti di loro sarà una sorpresa passare dal gelo o dall’afa esterni, a un ambiente perfettamente confortevole, ma che non è allacciato né alla rete elettrica, né a quella del gas.

E quando si potrà vedere questa BiosPHera 2.0 alle prese con la realtà climatica?

Adesso stiamo mettendo a punto gli ultimi dettagli del progetto, dopo Natale cominceremo la costruzione del modulo, e a febbraio contiamo di installarlo a Courmayer, dove affronterà le condizioni alpine invernali, con gelo fino a -20°C. Successivamente, lo porteremo a Torino per qualche mese, e poi a Rimini, dove contiamo di sperimentare le sue prestazioni nel caldo e umido dell’estate romagnola. In seguito sposteremo Biosphera 2.0 in altre città italiane, poi a Lugano, e poi chissà …»

Quindi soddisfatti di ogni aspetto del progetto?

«Quasi di tutti. Purtroppo senza allaccio alla fognatura, non possiamo far altro che far usare ai nostri volontari un bagno chimico, non proprio il massimo del comfort. Ma in fondo è per una buona causa.

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