Italia, ecco la strada per chiudere con il carbone

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L'Italia grazie alla diffusione delle fonti rinnovabili, ad un nutrito parco di centrali a gas e alla chiusura già annunciata di diversi impianti, sarebbe avvantaggiata sulla strada obbligata dell'abbandono del carbone. Ma manca ancora un piano e una guida politica. Lo denuncia un report di Oxfam e E3G.

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L’obiettivo dei G7 stabilito a giugno 2015 è decarbonizzare completamente l’economia mondiale entro al fine del secolo, con la trasformazione completa dei sistemi energetici dei sette entro il 2050. Se al summit non si è parlato di quali fonti vadano eliminate è chiaro che in questa prospettiva non c’è posto per la generazione elettrica a carbone che non sia dotata di tecnologia per la cattura della CO2, al momento ancora costosa e inaffidabile. È questa la premessa di una serie di report firmati Oxfam ed E3G che vanno ad indagare come le economie dei 7 grandi paesi possano liberarsi da questa fonte dannosissima per clima, ambiente e salute.

L’Italia – mostra lo studio dedicato al nostro Paese – grazie al contributo delle rinnovabili (giunte al 37,5% della domanda), ad un nutrito parco di centrali a gas, alla chiusura già annunciata di diversi impianti a carbone, è avvantaggiata rispetto ad altri, ma la politica in materia è “incoerente” e manca la volontà e la visione di medio termine che serve per lasciarci alle spalle questa fonte.

Relativamente poco e di importazione

Per inquadrare la situazione il report ci ricorda alcuni dati (vedi box sotto): abbiamo 10 GW di centrali a carbone, responsabili per oltre il 10% delle emissioni di CO2 totali e per questo combustibile dipendiamo quasi totalmente dall’import.

Per la fine di questo decennio ci si aspetta che in Italia i GW di potenza elettrica da carbone in funzione scendano a otto. In Italia mostra il report il carbone sta perdendo terreno, ma si deve fare di più: il declino in atto di questo modo di produrre energia è dovuto soprattutto al pensionamento di qualche centrale e all’opposizione dei movimenti e alle vicende giudiziarie. Nel grafico sotto si vede, in rapporto ad altri Paesi, la potenza da carbone per la quale è stato annunciato il decommissioning, quella operativa e quella già pensionata.

Già in declino?

Come sappiamo i progetti di riconversione da olio combustibile a carbone di impianto come quello di Porto Tolle sono stati fermati dalla magistratura. Al momento ci sono solo 3 nuove centrali in via di sviluppo, ma non c’è il contesto adatto a realizzare nuovi impianti. A

Enel a marzo 2015 ha annunciato di voler abbandonare gradualmente il carbone, per divenire carbon neutral al 2050. Delle 23 centrali di cui l’ex monopolista ha annunciato la chiusura però, si fa notare, solo tre sono a carbone e sono le più vecchie e le più piccole. Altre due centrali – una di Tirreno Power e l’altra di Edipower – al momento sono ferme per motivi di permitting e potrebbero non ripartire.

C’è poi il fattore età: come si vede dal grafico sotto, se si applicasse un limite di 35 anni alla vita operativa degli impianti solo 6.5 GW resterebbero in funzione dopo il 2025 e 2,3 GW dopo il 2030: cioè la centrale più giovane d’Italia, quella di Torrevaldaliga Nord, e dalla centrale che sta vicino alla miniera del Sulcis in via di chiusura, entrambi “impianti che rischiano di divenire stranded asset in contesto in cui nei prossimi decenni si taglino ulteriormente le emissioni di CO2”.

Una politica “incoerente”

Insomma, le cose non vanno bene al carbone: “la combinazione dell’opposizione della società civile, delle sfide legali e dei cambiamenti delle dinamiche di mercato renderebbero facile per il governo confermare che non ci sarà nuovo carbone in Italia. Sarebbe il primo passo per abbandonare questa fonte”, commentano gli autori del report.

Peccato che la prospettiva politica manchi. “Serve una razionalizzazione ulteriore del settore elettrico italiano – si raccomanda – e questa deve dare la priorità alla chiusura di potenza a carbone. Al momento né il governo né Enel hanno un piano per il pensionamento delle centrali a carbone che rimangono. Il governo italiano controlla il 25% di Enel, per questo l’azienda ha una responsabilità particolare nel guidare in questo l’azione sul carbone. Di recente le politiche in materia in Italia sono state incoerenti, con via libera dati a nuovi impianti a carbone e senza una tabella di marcia per ridurre le emissioni del settore dopo il 2020”, si denuncia, aggiungendo che anche il nuove meccanismo per la remunerazione della capacità che sta per entrare in vigore – il cosiddetto capacity market – “rischia di diventare un sussidio per mantenere in funzione centrali a carbone” (anche se i beneficiari principali per le loro caratteristiche di flessibilità dovrebbero essere gli impianti a gas, ndr).

Il report (pdf)

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