Accordo sul nucleare iraniano, quali le conseguenze per il prezzo del barile?

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La fine delle sanzioni internazionali nei confronti della repubblica islamica porterà ad un aumento delle esportazioni dal Paese che pesa per il 10% delle riserve mondiali di greggio. Ci sono le condizioni perché i prezzi del barile, crollati nella seconda metà del 2014, restino bassi, ma non ci si deve aspettare un impatto brusco sui mercati.

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Lo storico accordo tra i cosiddetti “5+1” e Teheran sul programma nucleare iraniano avrà conseguenze anche per il mondo dell’energia e in particolare il petrolio. L’intesa, che porterà alla fine delle sanzioni all’Iran, significa un aumento considerevole dell’offerta di idrocarburi, per le nuove esportazioni iraniane, in una situazione che è già di oversupply.

Ci sono le condizioni perché i prezzi del barile, crollati nella seconda metà del 2014, restino bassi. Ma non ci si deve aspettare un impatto brusco dell’accordo sui mercati: da una parte le riserve iraniane non verranno riversate sull’export in tempi rapidissimi, dall’altra, i mercati già da tempo hanno reagito all’intesa con la repubblica islamica, che era nell’aria da mesi.

Il Paese ha circa il 10% delle riserve mondiali di petrolio e circa il 18% di quelle di gas. Potenzialmente potrebbe competere con produttori come Arabia Saudita e Russia. Nelle ultime settimane hanno manifestato interesse per investimenti in Iran compagnie come Royal Dutch Shell, Total e la nostra Eni.

Nonostante negli ultimi anni non siano stati fatti gli investimenti necessari a mantenere al massimo la produzione, l’Iran ha conservato una capacità di 3,5 milioni di barili al giorno, circa il 4% della produzione mondiale ed è già tra i maggiori fornitori di Cina, India, Giappone e Turchia. Secondo stime BP può vantare riserve per 157,8 miliardi di barili, pari a 40 anni di consumi cinesi.

Ad un meeting dell’OPEC il mese scorso il ministro dell’Energia iraniano, Bijan Namdar Zanganeh, ha affermato che l’export può aumentare subito di 400.000 barili a giorno e di altri 600mila nel giro di 6 mesi. Più prudenti gli analisti: secondo un sondaggio condotto dalla Reuters tra 25 esperti del settore oil, l’output potrebbero crescere di 250-500.000 b/g entro la fine dell’anno, per salire di ulteriori 250.000 b/g per la metà del 2016.

È però improbabile che il mercato venga inondato di greggio iraniano in tempi rapidi: le sanzioni all’Iran saranno eliminate solo a seguito della verifica da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica del rispetto degli impegni presi a Vienna. Per portare la produzione ai livelli previsti servono investimenti dei gruppi stranieri. “Ci vorranno mesi”, avverte Davide Tabarelli, analista di Nomisma Energia, sentito da a QualEnergia.it.

Quel che sembra certo è che l’accordo con l’Iran fa pensare a un futuro con petrolio a prezzi bassi: “la notizia dell’accordo con l’Iran arriva in un contesto in cui c’è già eccesso di offerta – commenta Tabarelli – i consumi mondiali stanno crescendo meno del previsto, anche grazie ad un disaccoppiamento con la crescita economica. Si conferma dunque la prospettiva di prezzi che rimarranno bassi.”

L’esperto però non si aspetta un ulteriore crollo dei prezzi del barile, dopo quello avvenuto nella seconda metà del 2014 e che ha portato le quotazioni quasi a dimezzarsi. “I mercati, altamente finanziarizzati, assorbono in grande anticipo le evoluzioni: la prospettiva di una ripresa delle esportazioni iraniane e il correlato rifiuto dell’Arabia Saudita di limitare la produzione, arrivato a novembre, è tra i fattori che hanno portato al crollo dei prezzi dei mesi scorsi”, spiega.

Il prezzo del barile, infatti, non ha subito grandi scossoni negli ultimi giorni, con il WTI che oggi segna un aumento di 0,84 $ su ieri. Ma gli esperti sembrano concordi in un futuro caratterizzato da prezzi bassi: “l’Iran stava già producendo e aumenterà la produzione, il rischio è che i prezzi si abbassino ancora”, commenta a QualEnergia.it il professor Ugo Bardi, ex presidente di ASPO, l’associazione per lo studio del picco del petrolio.

Ma il fatto che i prezzi del barile resteranno bassi non contraddice la teoria del picco, secondo cui la produzione petrolifera è vicina o ha superato il suo massimo e si avvia ad un calo? “Non si era previsto questo andamento – risponde Bardi – ma se non aumentano i prezzi non può crescere neanche la produzione.”

Con il barile a buon mercato, infatti, una quota rilevante di riserve resterà fuori dai giochi: petrolio troppo costoso da estrarre ai prezzi previsti. “A rischiare di rimanere sotto terra saranno le riserve più estreme, come quelle nell’Artico”, prevede Tabarelli. Bardi è invece pessimista anche per il futuro dello shale oil americano, che per la prima volta sta registrando un calo della produzione: “per queste riserve, che richiedono continui investimenti per mantenere l’output, i prezzi bassi saranno un disastro e sembra che finalmente ce se ne stia rendendo conto.”

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