Efficienza, nei consumi termici industriali un mercato da un miliardo l’anno

Isolamento, cogenerazione, bruciatori efficienti, cicli ORC e scambiatori di calore: queste sono alcune delle tecnologie che potrebbero tagliare la bolletta particolarmente salata per i consumi termici degli utenti industriali e con una grande convenienza economica. Ma c'è una forte barriera culturale da rimuovere. Il nuovo report dell'Energy & Strategy Group.

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Nel 2014 il fabbisogno di energia termica del nostro Paese è stato pari a oltre 680 TWh, di cui circa il 41% ascrivibile al segmento industriale. Ogni utente industriale consuma annualmente 700 MWh di energia termica, corrispondenti ad una bolletta termica di circa 50.000 euro. Soldi che in gran parte si possono recuperare, con soluzioni tecnologiche esistenti e convenienti, come sistemi di isolamento, cogenerazione, bruciatori efficienti, cicli ORC e scambiatori di calore.

Tecnologie che da qui al 2020 assieme potrebbero avere un mercato teorico da 6,5 miliardi di euro all’anno, che si riduce ad un miliardo all’anno considerando solo gli interventi già attraenti ora dal punto di vita economico. A mostrarlo è un nuovo report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, che sarà presentato il 7 luglio a Milano. Noi di QualEnergia.it abbiamo potuto consultarlo in anteprima.

Sia dal punto di vista della normativa che da quello della consapevolezza da parte degli utenti, l’efficientamento termico dei processi industriali viene relegato a un ruolo marginale, a scapito di quelli elettrici – premettono gli autori – ma sul fabbisogno di calore c’è molto da fare grazie alle tecnologie citate.

In sintesi la situazione è questa: quanto a IRR e costo del kWh risparmiato tutte le soluzioni analizzate  – cogenerazione, bruciatori efficienti, isolamento termico, cicli ORC e scambiatori di calore – sono molto convenienti, il problema sono i tempi di rientro degli investimenti, nella gran parte dei casi superiori alla soglia ritenuta accettabile nel contesto industriale, 1-2 anni. Solo una tecnologia  – l’isolamento termico – e in un numero limitato di settori di impiego, infatti, raggiunge quei pay back time in assenza di incentivi. Nella maggior parte dei casi, poi, nemmeno l’incentivazione basta. Unica eccezione la cogenerazione, in alcuni ambiti applicativi come la meccanica e il settore della carta, grazie agli specifici certificati bianchi.

Altra musica, più piacevole, per l’IRR: nella larga maggioranza dei casi si hanno valori superiori alla soglia minima accettabile per i potenziali investitori, posta al 6%. Tra le tecnologie meno convenienti i bruciatori solo grazie agli incentivi superano la soglia, restando sul 10%; ORC e scambiatori di calore senza incentivi starebbero attorno al 6% e con gli incentivi superano il 10%;  infine, cogenerazione e isolamento avrebbero ritorni dell’investimento a due cifre anche senza incentivi.

L’analisi del costo medio del kWh risparmiato e/o prodotto evidenzia, in maniera ancora più forte rispetto all’analisi dell’IRR, la convenienza economica delle tecnologie di efficienza termica, se questa viene misurata tenendo conto dei costi di gestione e manutenzione lungo l’intera vita utile della tecnologia.

“Appare evidente – è il commento degli autori – che le tecnologie per l’efficientamento termico prese in esame in questo rapporto siano intrinsecamente convenienti, comportando ritorni e una efficienza energetica complessiva lungo la vita utile in molti casi di gran lunga superiore rispetto a quanto potenzialmente richiesto da un investitore. Il problema risiede nel Tempo di Pay-Back: l’efficienza termica richiede soluzioni impiantistiche e come tale andrebbe valutata, ovvero con il tipico orizzonte di riferimento (5-8 anni) di un investimento in equipment. Al contrario essa viene rubricata come un investimento non core e come tale affrontata con un vincolo di accettabilità che non supera i 2 anni, di fatto erigendo una barriera culturale più che economica o finanziaria a questo tipo di investimento”.

Come sbloccare la situazione? Tra le idee proposte dall’Energy & Strategy Group, un sistema di incentivazione che intervenga nel momento dell’investimento, per intervenire sui fondamentali del calcolo del pay back time; una via, questa, che nella situazione attuale “appare piuttosto teorica”, si ammette.

Più facile sarebbe agire sulla componente culturale del decisore: “favorendo azioni a livello degli operatori dell’efficienza energetica per sensibilizzare i possibili adottatori, oppure attraverso l’introduzione di obblighi di livelli minimi di efficientamento termico a livello normativo, che in quanto tali costringerebbero gli utenti industriali a guardare l’investimento solo nell’ottica della sua vita utile”.

Altra soluzione: “modificare il decisore, ossia sostituire all’utente l’utility, la ESCo oppure il Plant & Facility Manager. Trattandosi per questo nuovo decisore di un investimento core l’orizzonte di rientro diviene naturalmente più lungo e a prevalere sono le considerazioni basate sull’IRR o il costo del kWh.”

Strade da indagare con attenzione, perché l’energia in ballo è parecchia: i settori individuati – metallurgia, prodotti per l’edilizia, meccanica, agro-alimentare, carta, vetro e ceramica e chimica e petrolchimica – pesano per complessivamente 220.000 GWh/annui di consumo termico. Per tutti la quota termica del consumo energetico è superiore a quella elettrica, con casi come quelli della metallurgia, i prodotti per l’edilizia e di vetro e ceramica, dove la quota dei consumi termici sui consumi totali è superiore al 70%.

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