UE, la riqualificazione energetica dell’edilizia pubblica è ancora in alto mare

Informazioni incomplete ed elenchi parziali degli edifici pubblici da riqualificare energeticamente. L’applicazione della direttiva europea 27/2012, che impone di intervenire ogni anno sul 3% degli edifici governativi, procede molto a rilento e con tante incertezze, dovute anche alla fumosità delle misure alternative previste da diversi Paesi membri dell'UE.

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L’efficienza energetica rischia di rimanere l’obiettivo più bistrattato della politica europea per il 2020 e oltre. Un recentissimo rapporto della Coalition for energy savings (organizzazione che rappresenta una moltitudine di associazioni e gruppi a livello comunitario) mostra che gli Stati membri non stanno avanzando come dovrebbero sulla strada tracciata dalla direttiva 27 del 2012.

Il documento (vedi allegato in basso) ha esaminato l’attuazione dell’articolo 5, che prevede l’obbligo di riqualificare ogni anno, dal primo gennaio 2014, il 3% della superficie totale degli edifici posseduti e occupati dalla pubblica amministrazione centrale, con un’estensione superiore a 500 metri quadrati (250 mq da luglio 2015). I Governi possono applicare “misure alternative” di efficienza, a patto che siano in grado di conseguire almeno lo stesso risparmio energetico assicurato dalla riqualificazione standard.

Quei dati che mancano

Entro il 31 dicembre 2013, i 28 Stati membri hanno dovuto notificare alla Commissione UE le rispettive decisioni su come rispettare le prescrizioni dell’articolo 5. Individuando così il patrimonio immobiliare da riqualificare con la regola del 3%, o spiegando quali altri interventi eseguire, come il rinnovamento radicale di determinati edifici o il taglio degli sprechi energetici, anche attraverso cambiamenti dell’organizzazione lavorativa. Undici Paesi, sottolinea lo studio, hanno scelto l’obbligo “di default” del 3%, ma soltanto due di questi, Lettonia e Slovenia, hanno fornito a Bruxelles tutte le informazioni richieste; in particolare l’estensione utile climatizzata di ogni edificio e il suo livello attuale di rendimento energetico (che, lo ricordiamo, va innalzato ai criteri minimi di prestazione fissati dalla direttiva 2010/31/UE). Ungheria e Romania sono i Paesi peggiori, perché hanno compilato liste con gruppi di edifici anziché con i singoli immobili, senza peraltro indicare le superfici e i consumi elettrici/termici. Tutti gli altri Stati (Bulgaria, Cipro, Estonia, Grecia, Lituania, Lussemburgo e Spagna) hanno comunicato dati parziali e di “qualità mediocre”, come evidenzia il rapporto.

I Paesi, rimarca il documento della Coalition for energy savings, non sono tenuti a comunicare i successivi piani e progetti di riqualificazione energetica. In teoria, stando sempre al testo dell’articolo 5, dovrebbero iniziare dagli immobili più obsoleti ed energivori, seguendo la logica dei minori costi per i maggiori benefici. Tuttavia, l’incertezza regna sovrana, proprio perché nessuno sta aggiornando tempestivamente la Commissione UE sui progressi compiuti. La situazione cambia di poco guardando quei 17 Stati che si sono incamminati sulla via, molto incerta anche questa, delle “misure alternative”. I Governi, infatti, dovrebbero calcolare i risparmi cumulativi garantiti da quelle misure nel periodo 2014-2020, confrontandoli con i risparmi che potrebbero ottenere grazie alla riqualificazione annuale del 3% della superficie immobiliare.

Quale risparmio energetico?

Un’operazione del genere dovrebbe partire da un elenco puntuale e completo degli edifici pubblici presenti in ciascuno Stato; eppure, solo Irlanda, Croazia, Malta e Slovacchia hanno stilato un inventario dello stock immobiliare. Inoltre, appena cinque Paesi (Austria, Croazia, Francia, Italia e Slovacchia) hanno calcolato in modo corretto la quantità di energia da risparmiare in totale nei prossimi anni, rendendo possibile una comparazione con l’approccio “base”. Mancano, insomma, dei programmi coerenti per il rinnovamento degli edifici pubblici, con il risultato che l’articolo 5 della direttiva è destinato in moltissimi casi a rimanere lettera morta. Le misure alternative si riducono perlopiù a un collage di azioni, senza nemmeno una stima precisa dei risparmi energetici conseguenti.

Gli intenti sono spesso molto generici, dal “cambiamento delle abitudini” evocato dalla Repubblica Ceca alla “roadmap per l’ammodernamento energetico delle proprietà del Governo federale”, proposta dalla Germania, passando attraverso indicazioni come “elevare la consapevolezza degli occupanti” e “migliorare l’efficienza dello spazio” (Finlandia).

L’Italia cita una serie di rinnovamenti: impianti di riscaldamento/condizionamento e illuminazione, involucri degli edifici e anche quelle “ristrutturazioni profonde” citate nella legislazione europea. L’impatto dell’articolo 5 della direttiva sull’efficienza, termina però lo studio, sarà limitato. Per il 2014, si parla di circa un milione di metri quadrati soggetti a rinnovamento energetico e risparmi attesi pari a 285 GWh dalle misure alternative.

Il settore pubblico avrebbe dovuto inaugurare una stagione di maggiori investimenti in efficienza energetica, ma con ogni probabilità non sarà così. La normativa, sostengono, infine, gli autori del rapporto, in sostanza fa acqua da tutte le parti, perché i suoi scopi sono troppo circoscritti (restano esclusi edifici come scuole e ospedali) e perché i diversi Paesi la stanno applicando con estrema leggerezza e approssimazione.

Report di Coalition for Enegy Savings (pdf)

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