Carta dell’Energia, il recesso non influisce sui ricorsi contro lo spalma-incentivi

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Le norme della Carta continueranno ad essere applicabili agli investimenti effettuati in Italia fino al gennaio 2016 per un periodo di 20 anni, cioè fino al gennaio 2036. Il recesso dal trattato della Carta europea dell'energia secondo il Governo è motivato da motivi economici. Produrrà un risparmio di 450mila euro l'anno.

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Secondo il Governo è essenzialmente economico il motivo che ha spinto l’Italia a recedere dal trattato sulla ‘Carta europea dell’Energia’. L’allegato che dettaglia i risparmi conseguenti al comma 318 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015 dice che così si risparmieranno 450.000 euro l’anno. Il comma dispone di cancellare o rinegoziare 16 accordi internazionali per un risparmio complessivo di 8.488.300 euro l’anno dal 2016.

Tra questi, accanto alla Commissione internazionale sui dati di stato civile, l’Istituto internazionale del freddo, il Comitato consultivo del cotone, l’European Spatial Data Research e molti altri, è previsto il recesso dal Trattato della Carta europea dell’Energia, alla quale Roma ha aderito con la Legge 10 novembre 1997 n. 415.

Secondo il portale “International Arbitration Reporter”, l’Italia avrebbe già comunicato formalmente lo scorso gennaio il suo ritiro dall’organizzazione della Carta dell’Energia. In base all’articolo 47 del trattato, il ritiro avrà effetto dopo un anno dalla comunicazione, quindi dal gennaio 2016.

La notizia ha messo in allerta alcuni nostri lettori, che ci hanno contattato: è proprio alla Carta dell’Energia europea cui fanno riferimento gli operatori del fotovoltaico che hanno avviato una procedura di arbitrariato internazionale contro i tagli retroattivi agli incentivi al FV del cosiddetto spalma-incentivi.

La norma sul FV violerebbe, infatti, l’articolo 10 del trattato (allegato in basso), che contiene il principio del giusto ed equo trattamento e tutela gli investitori da repentini e inattesi cambiamenti delle condizioni sulla base delle quali gli investimenti sono stati effettuati, nonché dall’articolo 13, che mira a proteggere gli investitori da un’espropriazione da parte di uno degli Stati contraenti.

Sembra però improbabile che il recesso dal trattato abbia effetti sulla vicenda dello spalma-incentivi: le disposizioni del Trattato, si legge infatti all’articolo 47 della Carta, continuano ad applicarsi agli investimenti effettuati nell’area di una Parte contraente da investitori di altre Parti contraenti o nell’area di altre Parti contraenti da investitori di detta Parte contraente, per un periodo di 20 anni a decorrere dalla data in cui il recesso dal Trattato prende effetto.”

Le norme della Carta continueranno dunque a valere per tutti investimenti effettuati in Italia fino al gennaio 2016 per un periodo di 20 anni, cioè fino al gennaio 2036.

Secondo quanto dichiarato a Quotidiano Energia da esponenti del MiSE, inoltre, il recesso “non pregiudicherà gli interessi italiani nel Trattato che verranno salvaguardati in virtù della nostra appartenenza alla Ue che continua a partecipare al Trattato“. Inoltre l’Italia, “avendo firmato la European Energy Charter (declaration) del 1991 e prevedendo di firmare la ‘nuova’ International Energy Charter il prossimo maggio, rimarrà nella posizione di Paese osservatore e continuerà ad assistere alle riunioni degli organi di governo della Carta”. Il MiSE tiene infatti a precisare che “il recesso è dal Trattato e non dalla Carta”.

La Carta europea dell’Energia (pdf)

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