Le strategie del governo per sbloccare gli investimenti in efficienza energetica

Un fondo nazionale in attesa del decreto attuativo, un modello di contratto di rendimento energetico allo studio, modifiche in vista al Conto termico: così il Governo spera di favorire le misure per la riqualificazione del patrimonio edilizio, puntando a ridurre i consumi di elettricità e calore. Intervista a Mauro Mallone del Ministero dello Sviluppo Economico.

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L’efficienza energetica è un tema molto complesso da affrontare, come emerso recentemente anche nell’ambito di alcuni convegni a Solarexpo di Milano, soprattutto nel settore dell’edilizia: l’Italia finora ha proceduto troppo lentamente a riqualificare il suo patrimonio immobiliare, in buona parte perché gli interventi sono rimasti confinati ai singoli appartamenti (grazie alle detrazioni fiscali), interessando solo marginalmente le ristrutturazioni condominiali, per non parlare di quelle di interi quartieri o palazzi pubblici di vaste dimensioni.

Il problema? Essenzialmente finanziario, tra vincoli del Patto di stabilità e mancanza di risorse private e statali da investire. Sulle prossime mosse del Governo su questi fronti, Qualenergia.it ha sentito l’ingegner Mauro Mallone, dirigente della Divisione efficienza energetica presso il ministero dello Sviluppo economico.

Partiamo dal fondo nazionale per l’efficienza energetica: come funzionerà e quando sarà operativo?

Il decreto attuativo è in fase avanzata di elaborazione. A oggi la sua dotazione è di 70 milioni di euro l’anno fino al 2020. Una parte del fondo potrà essere utilizzata anche per finanziamenti a tasso agevolato, anche se l’obiettivo principale dello strumento è fornire delle garanzie sugli investimenti in efficienza energetica. Garanzie che potranno coprire fino all’80% dei prestiti erogati dalle banche, abbassando il rischio delle operazioni. Poi c’è da considerare l’effetto-leva: secondo le stime, il fondo smobiliterà almeno 400 milioni di euro l’anno di risorse private, destinate a interventi di efficienza in uno spettro molto ampio di settori, dalla pubblica amministrazione al residenziale, compresa l’edilizia popolare, passando per le reti di teleriscaldamento e l’illuminazione pubblica.

Quale sarà il criterio per selezionare le richieste di finanziamento?

Il criterio principale sarà il minor costo per kWh risparmiato, per favorire le misure che consentono di ottenere la più alta riduzione dei consumi elettrici e termici, a parità di spesa. I progetti dovranno essere corredati da una diagnosi energetica.

Avete pensato a nuove forme contrattuali per “certificare” il risparmio energetico finale?

Stiamo lavorando con Enea a un modello di contratto di prestazione energetica, Epc, cioè energy performance contract. A breve inizieremo con le prime sperimentazioni. Il contratto dovrà regolare adempimenti e responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, stabilire l’entità del risparmio energetico finale e come ripartire i benefici economici tra la pubblica amministrazione e la società che ha realizzato i lavori. Sarà un modello utilizzabile anche in ambito residenziale, soprattutto per interventi che coinvolgono grandi condomini.

Con diversi strumenti a disposizione, c’è il rischio di non saperli sfruttare al meglio. Che ruolo avranno le società di servizi energetici?

Ad esempio, prendiamo una Esco che intende eseguire un programma di riqualificazione energetica per un milione di euro in un edificio pubblico. In tal caso, potrà utilizzare i contributi a fondo perduto del Conto termico fino al 40% delle spese ammissibili, mentre per il restante 60% dovrà cercare risorse sul mercato, che potrà ottenere più facilmente grazie alle garanzie messe a disposizione dal fondo. La pubblica amministrazione proprietaria dell’edificio, utilizzando il contratto Epc, potrà ripagare l’intervento con il risparmio ottenuto sulla bolletta energetica, superando così i vincoli imposti dal Patto di stabilità.

A proposito di Conto Termico: il suo avvio non è stato brillante. Perché?

È uno strumento innovativo, e come tale richiede un periodo di rodaggio. All’inizio è stato così anche per i Certificati Bianchi, che poi si sono affermati con buoni risultati. Con l’obiettivo di semplificare l’accesso agli incentivi per cittadini, imprese e pubblica amministrazione, è in corso la stesura finale del decreto di aggiornamento per il Conto Termico, che tiene conto anche delle osservazioni pervenute dagli operatori attraverso la consultazione pubblica chiusa a fine febbraio.

Quali altri cambiamenti ci sono all’orizzonte?

Come emerso dalla consultazione, le principali innovazioni saranno queste: erogare l’incentivo in una rata unica, anziché spalmarlo in più anni, almeno per i lavori fino a una certa soglia di spesa. Aumentare da 1 a 2 MW la potenza massima degli impianti incentivabili. Innalzare il contributo al 55% delle spese sostenute per gli interventi integrati edificio-impianto, portandolo al 65% per gli edifici a energia quasi zero.

Che cosa significa esattamente la definizione di ‘energia quasi zero’?

Si riferisce a edifici che devono rispettare dei criteri molto severi di trasmittanza termica, definiti con un decreto già approvato in sede di Conferenza unificata e di prossima emanazione. Oltre ad un maggiore isolamento termico dell’involucro, il 35% del fabbisogno energetico complessivo dovrà essere coperto da fonti rinnovabili. Il tetto salirà al 50% nei prossimi anni.

Nonostante tutti questi sforzi, l’Europa ha bocciato il recepimento italiano della sua direttiva sull’efficienza. Come lo spiega?

Una premessa: l’Italia è al secondo posto, dietro soltanto alla Germania, nella classifica mondiale sull’efficienza energetica, stilata da un organismo americano, l’American Council for an Energy Efficient Economy. Detto questo, le osservazioni della Commissione Ue sono perlopiù di carattere formale e non intaccano gli aspetti fondamentali della direttiva, che sono stati tutti accolti. Per esempio, Bruxelles ha rilevato che nel decreto 102 del 2014 manca la definizione di audit energetico: si trovava nel decreto 115 del 2008, che però non è stato riportato perché alcuni articoli nel frattempo erano stati abrogati. Il paradosso è che nel provvedimento di recepimento, c’è un allegato che spiega in dettaglio i criteri minimi che devono avere le diagnosi energetiche.

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