Quando va in televisione la politica energetica del primo ‘900

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Nella puntata di PresaDiretta su Sblocca Italia e sfruttamento delle risorse degli idrocarburi in Basilicata e Sicilia hanno colpito soprattutto le posizioni dei tre politici intervistati, Pittella, Crocetta e De Vincenti, che hanno mostrato la loro visione di sviluppo socio-economico ed energetico-ambientale tipica di due generazioni fa.

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I governi in Italia, come altrove del resto, sono la mano operativa delle élite e delle lobby, di quelle veramente forti. Quando non vengono esplicitamente indirizzati, i politici, spesso cedono alla grande multinazionale di turno per sudditanza oppure per incassare benefici economici di breve periodo. La sfiducia nella politica nasce spesso anche da questo fattore incontrovertibile. Non è certo una novità epocale. Chi ne fa le spese sono i cittadini e i più impotenti. Anche chi si occupa di energia e di ambiente lo sa e ieri se ne è avuta un’ennesima riprova, grazie ad una vera trasmissione giornalistica di Rai3, PresaDiretta (vedi sotto video), che ha raccontato le serie implicazioni ambientali negative del decreto Sblocca Italia su alcune aree del paese.

Il reportage, che ha toccato soprattutto il tema dello sfruttamento delle risorse degli idrocarburi nazionali, in Basilicata e Sicilia, nei giorni precedenti la sua messa in onda, sappiamo, ha ricevuto diverse richieste di ‘controllo’ da parte della commissione di vigilanza Rai, perché, guarda caso, la critica verteva su uno dei punti di forza del governo Renzi, appunto lo Sblocca Italia.

Quanto trasmesso tuttavia ha dato finalmente voce a chi voce non ha e soprattutto ha impietosamente registrato le posizioni, a dire il vero imbarazzate e imbarazzanti, di tre politici intervistati su queste tematiche. Tutti e tre hanno clamorosamente fallito la prova di arrampicata sugli specchi. Stiamo parlando di Marcello Pittella (presidente della Regione Basilicata), Rosario Crocetta (presidente della Regione Sicilia) e Claudio De Vincenti (vice ministro dello Sviluppo Economico). Un chiaro esempio di come le loro parole contrastino con i loro atti, che in definitiva sono gli unici elementi di valutazione da considerare.

Pittella, che si dice contrario a raddoppiare le trivellazioni in Basilicata, è un bell’esempio di ipocrisia visto che non ha voluto impugnare il famigerato articolo 38 dello Sblocca Italia come invece hanno fatto molte altre regioni. Il governatore della Basilicata si dice inoltre certo di avere il potere di bloccare tutte le trivellazioni alla luce di dati che gli indicassero chiaramente il superamento delle soglie di inquinamento nell’aria, nel terreno e nell’acqua. Ma Pittella sa benissimo che proprio per l’art.38 non potrà farlo e se poi lo volesse veramente, a parte fare un giretto in alcuni invasi e aree della regione, potrebbe far aggiornare le ormai superate analisi epidemiologiche. Probabilmente si renderebbe conto dell’emergenza che sta vivendo la popolazione della sua regione con moltissimi casi di malattie cardiorespiratorie e una maggiore incidenza dei tumori rispetto al resto del paese. Visto che non esistono altri insediamenti industriali, se non il grande distretto petrolifero Eni della Val D’Agri, potrebbe fare uno più uno. Intanto trascura il fatto che i cittadini si siano mobilitati numerosi contro lo Sblocca Italia insieme al 50% dei sindaci della Basilicata. Insomma per 180-200 milioni di euro di compensazioni a favore della Regione si rischia di portare alla devastazione un territorio insieme alla sua popolazione e alla sua vocazione agro-alimentare.

Per Crocetta la Sicilia non può rinunciare al ‘suo petrolio’. Lo fanno gli altri perché non dobbiamo farlo pure noi, dice. E poi vuoi mettere la incredibile creazione di posti di lavori? Già a suo tempo avevamo riportato le sue controverse dichiarazioni che assimilavano le trivellazioni nel mare di Sicilia ad un mostro immaginario. Eppure nel 2012, quando era candidato alla Regione, aveva firmato un appello di Greenpeace che vi si opponeva e che indicava le trivellazioni come una minaccia non solo per la biodiversità del Canale di Sicilia, ma per il benessere e le economie delle comunità che si affacciano su quelle coste. Diventato presidente regionale firma un protocollo di intesa tra la Regione e Assomineraria, Eni, Edison e Irminio per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio nel Canale di Sicilia. Nell’intervista del giornalista Danilo Procaccianti dimostra di non ricordarsi bene neppure di cosa avesse esattamente firmato ed è sconcertante la sua visione arcaica dello sviluppo economico e sociale, come se quegli insediamenti industriali siciliani degli anni ’60 (vedi Gela, di cui stato sindaco, Augusta o Priolo) non stessero lì a ricordaglielo ogni giorno.

Per finire, il viceministro De Vincenti, convintissimo che le risorse fossili domestiche siano proprie tante tante. Dichiara a PresaDiretta che “non è vero che la strategia energetica nazionale non punti a ridurre le emissioni, è esattamente il contrario. La strategia energetica nazionale punta al superamento dei combustibili fossili. … noi puntiamo sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica”. Chiunque abbia letto la SEN sa che si tratta di un documento senza alcun valore legislativo e dal respiro corto: l’orizzonte è al 2020, cioè domani. Alla faccia della strategia! Il fiume di parole sugli obiettivi per la crescita di rinnovabili ed efficienza energetica è solo uno specchietto per le allodole: non ci sono strumenti per raggiungere i target indicati, e l’idea di ‘sostenibilità’ indicata è quella economica, e non certo ambientale. Nei fatti si punta al raddoppio della produzione nazionale degli idrocarburi e nel far diventare l’Italia un hub del gas, sovrastimando domanda interna (crollata ai livelli di 16 anni fa) e internazionale, con il rischio aggiuntivo di realizzare infrastrutture inutili e nuove cattedrali nel deserto.

Il modello energetico a cui pensano questi tre politici è quello di stampo ‘prima metà del ‘900’, come se nulla fosse mutato nel frattempo: produzione centralizzata e disciplinata nell’alveo governativo, calata dall’alto, senza alcuna considerazione dei processi decisionali locali e del rispetto della qualità della vita dei cittadini, umiliati peraltro dal nostro ‘giovane’ primo ministro che ha avuto la spudoratezza di chiamarli “comitatini”.

Per fortuna ci sono due voci illuminanti nel servizio. Quella di Don Palmiro, prete di Augusta che fa l’elenco dei morti della sua zona: “Ad Augusta lo Stato è come una madre assassina. Le industrie hanno portato il pane ma è avvelenato”. E quella di Balzani e Armaroli, in rappresentanza di 22 docenti e ricercatori dell’Università e dei Centri di Ricerca di Bologna (la loro lettera a Renzi) che spiegano come i nostri governi ignorino sistematicamente le richieste di ascolto della comunità scientifica: “in Italia, a differenza di altri paesi, c’è un vuoto incolmabile tra la conoscenza e la decisione”, hanno detto.

E il motivo forse va cercato da quanto detto nel primo paragrafo di questo articolo.

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