Biocarburanti, “studi esistenti sbagliati: impatti peggiori di quanto stimato”

Gli obiettivi definiti sui biocarburanti potrebbero essere controproducenti, perché basati su un calcolo sbagliato degli impatti. Lo sostiene uno studio dell'University of Michigan nel quale sono esaminate oltre 100 pubblicazioni scientifiche sul tema. In sintesi: “è sopravvalutato l'assorbimento della CO2”.

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Gli obiettivi che ci siamo posti sui biocarburanti potrebbero addirittura essere controproducenti, perché basati su un calcolo degli impatti fondamentalmente sbagliato. Negli ultimi 6-7 anni abbiamo visto una nutrita schiera di studi scientifici sugli impatti dei biofuel che mostravano come in alcuni casi i biocarburanti fossero per il clima peggiori di gasolio e benzina. Anche per questo l’Unione europea, che si è data l’obiettivo di arrivare ad avere il 10% di biofuel sul totale dei carburanti di ogni Stato, ha stabilito dei criteri di sostenibilità che i biocarburanti devono soddisfare per contribuire al raggiungimento del target.

Ora un nuovo studio mette in dubbio la letteratura scientifica precedente e, dunque, anche il metodo di calcolo degli impatti su cui sono basati i citati criteri di sostenibilità. Fino ad ora, è la conclusione del lavoro, uscito dalla University of Michigan (allegato in basso), si è sopravvalutato il contributo che questi carburanti possono dare alla riduzione delle emissioni. Un argomento che dovrà essere valutato attentamente visto che al momento al Parlamento europeo sta lavorando proprio ad una proposta di riforma alle politiche europee sui biofuel. Questa sarà votata il 24 febbraio.

Secondo l’autore della ricerca, John DeCicco, che ha esaminato oltre 100 pubblicazioni scientifiche sull’impatto dei biofuel uscite negli ultimi due decenni, quasi tutti gli studi fatti finora sono da riconsiderare. Hanno infatti una grossa lacuna metodologica: se questo errore venisse corretto si scoprirebbe che i target attuali sui biocarburanti sono controproducenti (De Cicco per la precisione fa riferimento a quelli degli Stati Uniti).

Si sostiene che si è calcolata in maniera sbagliata la quantità di CO2 che mais, canna da zucchero e le altre colture energetiche assorbono mentre crescono. “Praticamente tutti i terreni usati per produrre biofuel erano già utilizzati per altre colture a scopo alimentare, per cui (producendo biocarburanti, ndr) non c’è un incremento significativo nella quantità di anidride carbonica sottratta all’atmosfera”, spiega De Cicco. “La vera sfida – continua – è sviluppare tecniche per rimuovere la CO2 più in fretta e in quantità minori rispetto alle attività agricole e forestali, così come sono condotte al momento.”

Nello studio vengono esaminati quattro approcci usati finora nel valutare l’impatto dei biocarburanti, ma il focus principale è appunto sul carbon footprinting. Il metodo è usato dal 1980 e dovrebbe consentire di valutare la quantità di emissioni di CO2 causata da un carburante nel suo intero ciclo di vita. Questa analisi ha però prodotto spesso risultati discordanti. Come detto, secondo De Cicco questi modelli non riflettono in maniera adeguata le dinamiche del ciclo del carbonio nel suolo, perché stimano in maniera sbagliata la quantità di CO2 assorbita dalla pianta crescendo: questo assorbimento non andrebbe conteggiato perché si verificherebbe comunque, dato che il terreno produttivo, se non occupato da colture energetiche, farebbe crescere altri prodotti o altro tipo di vegetazione.

Un problema, quello messo in evidenzia dallo studio, che va ad aggiungersi a quello noto della mancata contabilizzazione dell’impatto da ILUC, l’acronimo inglese che sta cambio indiretto d’uso del suolo. Un fattore cruciale nel determinare l’impatto dei biocarburanti sulla questione climatica (si veda grafico sotto, dallo studio di De Cicco) e che pure non è considerato dai criteri europei.

Per semplificare: la UE, per i suoi citati criteri di sostenibilità, non ammette il biocarburante coltivato su un terreno ricavato deforestando, ma nulla impedisce al produttore di coltivare biodiesel in un campo precedentemente destinato a colture alimentari e creare nuovo terreno per le colture alimentari deforestando, con un chiaro danno alla capacità del pianeta di assorbire la CO2.

La riforma in discussione al Parlamento Europeo chiede appunto di tenere conto anche dell’ILUC nel valutare la sostenibilità dei biocarburanti. Insomma, sembra proprio che sarebbe il caso di fermarsi a riflettere su come il target UE sui biofuel vada raggiunto per evitare che sia controproducente e anche per accelerare lo sviluppo di quei biocarburanti, quello cosiddetti di seconda generazione, che hanno meno controindicazioni.

Lo studio: “The liquid carbon challenge: evolving views on transportation fuels and climate”, John M. DeCicco (pdf)

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