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Incentivi al nucleare, in arrivo il ricorso. Il colpo di grazia per l’atomo britannico?

L'Austria annuncia che ricorrerà alla Corte di Giustizia europea contro la decisione della Commissione di approvare il super-incentivo di Londra per Hinkely Point C. Fermerà tutto per almeno 3-4 anni e sembra probabile che la Corte possa accogliere il ricorso. In quel caso difficilmente in Europa vedremo altri progetti di nuove centrali nucleari.

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Sempre più in salita la strada del nuovo nucleare britannico: è minacciato da un’azione legale il generosissimo incentivo indispensabile affinché qualcuno accetti di costruire il primo reattore nel Regno Unito dopo 20 anni, Hinkley Point C. L’Austria ha infatti annunciato che farà ricorso contro la decisione della Commissione europea che a ottobre aveva dato l’OK alla ‘stampella pubblica’ di Londra per la nuova centrale da 3,3 GW, che nei programmi al 2023 dovrebbe fornire il 7% del fabbisogno elettrico del Paese.

La Commissione aveva ritenuto conforme alle nuove regole comunitarie sugli aiuti di Stato i sussidi decisi dal Governo britannico: una garanzia per 35 anni che l’energia prodotta dall’impianto sia pagata circa il doppio dell’attuale valore di mercato, con la differenza coperta con i soldi dei consumatori. La nuova centrale infatti per 35 anni godrebbe di uno “strike price” di 92,5 sterline (117 euro) per ogni MWh generato che in valore nominale al 2058, anno in cui scadrà l’incentivazione, diverranno 279 sterline per MWh.

Il sussidio dovrebbe pesare per 17,6 miliardi di sterline a fronte di costi di costruzione rivisti al rialzo da 16 a 24,5 miliardi di sterline, ma il patto tra la controllata pubblica francese EDF e il Governo di Londra era stato salutato come “un evento storico” dal premier britannico David Cameron. I lavori preliminari sul sito sono già iniziati ed EDF recentemente ha annunciato la firma, prevista per marzo, dell’accordo con il partner cinese del progetto.

Ora probabilmente l’azione legale austriaca congelerà tutto per almeno due anni, ma più probabilmente per tre o quattro, se addirittura non sarà il colpo di grazia per il nuovo nucleare britannico.

Come spiega al Guardian, Stefan Pehringer, consulente di politica estera della Cancelleria austriaca, Vienna ha fatto ricorso contro l’aiuto britannico “perché non considera il nucleare una tecnologia sostenibile né in termini ambientali né in termini economici”. Aggiunge il direttore del ministero dell’Ambiente austriaco, Andreas Molin: “Se si accetta l’argomento che Hinkely Point sia un ‘fallimento di mercato’ (come scritto nella decisione della Commissione sull’OK agli aiuti, ndr), la cosa si potrebbe applicare a tutte le altre tecnologie per la produzione elettrica, probabilmente anche alle altre forme di conversione dell’energia e forse anche al di fuori del settore energetico. Pensiamo che la cosa riguardi ogni singolo mercato ”.

La battaglia legale assorbirà come minimo due anni solo per il primo grado di giudizio, e considerando anche gli appelli, gli avvocati stimano che ruberà tre – quattro anni. All’azione austriaca potrebbero accodarsi – secondo indiscrezioni del Guardian – anche il Lussemburgo e un altro Stato membro. Mentre. secondo Dörte Fouquet, dello studio legale di Bruxelles specializzato in tematiche energetiche, Becker Büttner Held, intervistata dal quotidiano britannico, le possibilità che la Corte di giustizia europea dia ragione all’Austria sono “abbastanza alte” perché i trattati europei non giustificano un aiuto come quello britannico, essendo difficile dimostrare l’interesse comune dell’Unione nella costruzione di un reattore atomico nel Regno Unito.

Insomma questa potrebbe essere la pietra tombale per i nuovi progetti atomici in Gran Bretagna e in tutta l’Europa in generale.

Intanto le uniche due centrali in costruzione nel vecchio continente, i reattori EPR di Flamanville in Francia e di Olkiluoto in Finlandia, continuano la loro odissea fatta di ritardi, problemi di sicurezza e budget che lievitano. Le ultime notizie dal cantiere finlandese sono che il consorzio nucleare TVO vuole licenziare 110 persone, cioè il 13% dello staff, a causa delle difficoltà economiche date da ritardi e sforamenti del budget. Salvo nuovi imprevisti l’impianto entrerà in funzione nel 2018, anziché nel 2009 così come si prevedeva quando si è aperto il cantiere nel 2005 e con costi quasi triplicati rispetto a quanto preventivato: circa 8,8 miliardi di euro, contro i 3 miliardi dell’originario business plan. A Flamanville non va molto meglio: anche lì si spenderanno miliardi in più rispetto ai preventivi; per completare la centrale, stando all’ultimo annuncio di novembre, serviranno 5 anni in più del previsto.

Se i due reattori EPR europei procedono a rilento, pochi giorni fa è arrivato l’annuncio di ritardo anche per quello che sarà il primo reattore AP1000,  Sanmen 1 nelle provincia Zhejiang in Cina: doveva entrare in funzione quest’anno, ma non sarà operativo prima del 2016, ha annunciato l’agenzia di Stato cinese per il nucleare.

Come riportato da un recente studio sui rischi di progetto delle varie tecnologie per la produzione elettrica, andando ad analizzare i dati degli impianti realizzati dal 1936 al 2014 emerge che le centrali nucleari sforano i preventivi 9 volte su 10, con un budget overrun medio del 117,3%.

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