Governo Renzi ed UE, via libera all’import di petrolio da sabbie bituminose

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L'Italia definisce i primi accordi per importare dal Canada il petrolio da tar sands, il greggio a più alto impatto per le emissioni di gas serra. Una strategia in perfetta sintonia con quella recente della Commissione Europea, che ha di fatto dato il via libera a questa fonte nell'UE. Un altro tassello di una politica energetica sempre più incongruente con gli obiettivi di una vera lotta al global warming.

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La recente  vocazione ‘fossile’ dell’Unione Europea come quella del governo Renzi segna un’altra tappa. Il 21 gennaio il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, insieme al sottosegretario De Vincenti, hanno incontrato il Ministro del Commercio canadese Ed Fast, con il quale si è parlato, tra gli altri argomenti relativi alla collaborazione bilaterale, di sicurezza energetica e quindi di diversificazione delle fonti. In particolare il nostro paese punterebbe ad importare gas liquefatto e petrolio; quest’ultimo in Canada è quello dell’Ovest, cioè quello ‘non convenzionale’ delle sabbie bituminose o tar sands. Un tema già affrontato nell’intesa Italia-Canada stipulata a maggio a in occasione del G7 di Roma.

Una scelta in perfetta sinergia e sincronia con quella recentissima della Commissione che, rinunciando ad etichettare nella nuova versione della Direttiva carburanti ciascun combustibile in base alla produzione di emissioni di CO2 per il suo ciclo di vita, ha di fatto dato il via libera all’importazione del tar sand canadesi nell’UE (arrivate in alcune raffinerie spagnole già a metà 2014). Gran Bretagna (cioè BP) e Shell (cioè Olanda), ovviamente insieme al governo canadese, sono i paesi che hanno fatto maggiori pressioni per arrivare a questa decisione.

Vale la pena segnalare il ‘grottesco’ comunicato del MiSE, successivo all’incontro di questa settimana, in cui si equipara la crescita dell’importo di GNL e del petrolio canadese al “rafforzamento del livello di indipendenza energetica del nostro paese e dell’Europa”. Proprio così: indipendenza. Forse volevano significare ‘indipendenza’ dalla Russia e da altri paesi instabili a livello geopolitico. Un lapsus? Fatto sta che i ministri di entrambi i paesi si sono detti molto fiduciosi per una firma entro l’anno dell’accordo l’Accordo di Libero Scambio (CETA) tra UE e Canada.

Sull’impatto ambientale del petrolio non convenzionale canadese molto si è detto, tanto che ancora è in forse il via libera all’oleodotto Keystone XL da 5,4 miliardi di dollari che dovrebbe portarlo fino alle raffinerie del Golfo del Texas; e Obama potrebbe anche mettere il veto al progetto.

La questione da discutere sulle sabbie bituminose in soldoni è questa: se un paese vuole affrontare concretamente il riscaldamento globale non può puntare a un investimento che lo lega a una delle fonti a maggiore impatto climalterante.

Estendendo la questione alla realtà italiana, possiamo dire che: o il nostro paese punta a diversificare le sue fonti in maniera più sostenibile a livello ambientale (tenendo ovviamente sempre d’occhio la sicurezza energetica) oppure eviti di riempirsi la bocca con proclami sugli impegni per il clima, di fatto già ampiamenti annacquati dall’attacco riservato alle rinnovabili, alla poca attenzione all’efficienza energetica e alle sue ‘politiche di stimolo’ per la ricerca degli idrocarburi locali. Ognuno nel suo piccolo deve fare la sua parte. E l’Italia (e pure l’UE) non la sta facendo.

Nonostante la crisi della domanda di gas e petrolio in Italia e in Europa, si decide ora di crescere nell’import degli idrocarburi canadesi che comunque sono in profonda sofferenza per il basso prezzo del barile, che si manterrà tale per almeno tutto l’anno in corso, in relazione all’elevato costo di estrazione di questo ‘petrolio pesante’. E’ recente la notizia che le associazioni dei produttori oil canadesi hanno tagliato le stime di 65mila barili/giorno (incluse il petrolio da sabbie bituminose); prevedono inoltre un crollo degli investimenti nel 2015 di circa un terzo. Un report di Carbon Tracker di fine 2014 si spiegava che il 90% dei nuovi investimenti in sabbie bituminose canadesi previsti per il prossimo decennio non sarebbero redditizi con prezzi sotto i 60-70 $/barile. Vedremo il senso dell’accordo tra Unione Europea/Italia e Canada alla luce di questo quadro.

Contro le sabbie bituminose e la loro importazione in UE c’è stato anche un appello nel 2013 firmato da 21 premi Nobel che chiedevano di sbloccare la legge che etichetterebbe il petrolio ottenuto dalle tar sands come più sporco degli altri greggi, imponendo un onere compensativo alle compagnie petrolifere che lo vendono.

Le tar sands dell’Alberta (Canada) costituirebbero il 15% delle riserve mondiali di greggio, seconde dopo quella dell’Arabia Saudita. Si tratta di oltre 170 miliardi di barili di bitume distribuiti su una superficie di 4 milioni di ettari. Il processo di estrazione delle sabbie bituminose ha avuto un impatto devastante sull’ambiente e sulla salute della popolazione locale: molti i casi di cancro e c’è la presenza di metalli pesanti anche nelle acque. Ma, al solito, la gran parte delle ricerche scientifiche sono curate proprio da quelle società petrolifere che operano nella zona.

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