La sicurezza energetica e le incerte politiche dell’Europa

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Finora l'Europa ha sottovalutato la straordinaria evoluzione mondiale dell'energia, con i suoi effetti sul piano economico, politico e della sicurezza degli approvvigionamenti. Oggi serve una politica europea attiva. Come sviluppare una strategia europea per la sicurezza energetica? Un articolo di Tullio Fanelli, oggi funzionario dell'Enea.

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La sicurezza energetica torna all’attenzione dell’Europa solo in occasione delle crisi di approvvigionamento che ciclicamente si ripropongono. L’approccio è quindi di tipo congiunturale: si assumono le iniziative che si ritengono utili a fronteggiare il transitorio di difficoltà in attesa del ritorno alla “normalità”. Ciò potrebbe tuttavia non essere più sufficiente perché l’energia nel mondo è in una fase di straordinaria evoluzione che ha già determinato importanti effetti sul piano economico, politico e della sicurezza degli approvvigionamenti e che l’Europa ha fino a oggi fortemente sottovalutato.

Non vi è dubbio che il ruolo delle rinnovabili sarà crescente nei prossimi anni, ma esse contribuiscono ancora poco alla produzione energetica mondiale: di fatto il peso delle fonti fossili sul mix energetico mondiale è pari all’82%, come un quarto di secolo fa. Viceversa alcune innovazioni tecnologiche nel settore dell’estrazione degli idrocarburi hanno determinato in pochi anni una straordinaria evoluzione dello scenario energetico. Le tecniche di fratturazione idraulica e di perforazione orizzontale hanno drasticamente ridotto i costi di produzione di almeno due tipologie di idrocarburi non convenzionali, quelli da scisti argillosi (shale) e da formazioni sabbiose a bassa permeabilità (tight).

Il primo impatto di tale evoluzione si è registrato negli USA: attualmente il “nuovo” gas ha superato quello tradizionale con quantitativi annuali pari a oltre 400 miliardi di m3 (la produzione USA nel 2013 è stata di circa 680 miliardi di m3/anno), mentre il “nuovo” petrolio ha consentito una crescita della produzione USA dai 6,8 milioni di b/g del 2007 ai 10 milioni di b/g del 2013 con la prospettiva di raggiungere i 15 milioni di b/g nei prossimi 3÷4 anni. Ciò renderebbe il Nord America (USA, Canada e Messico) indipendente anche dalle importazioni di petrolio (oltre che di metano).

I giacimenti di gas e petrolio non convenzionale sono ampiamente presenti in molte altre aree del mondo, inclusa l’Europa, ma la produzione dipenderà anche da altri due fattori: la capacità di “drilling” e la sensibilità ambientale. La capacità di “drilling”, ovvero la disponibilità di attrezzature per la perforazione, è cruciale perché le nuove tecnologie di estrazione richiedono un numero di pozzi molto superiore alla tecnologia tradizionale; attualmente, anche per motivi brevettuali, USA e Canada dispongono di quasi il 70% della capacità di “drilling” mondiale (circa 2.300 infrastrutture su 3.500 complessive): conseguentemente è prevedibile uno sviluppo delle produzioni solo nei Paesi (Cina, e in misura minore India e Australia) dove è in crescita la produzione di attrezzature di estrazione. In Europa invece, nonostante siano in corso importanti attività esplorative (ad es. in Polonia e Ungheria), l’evoluzione dell’offerta dipenderà soprattutto dalla sensibilità ambientale dei diversi Paesi, dato che certamente non è trascurabile l’impatto sull’ambiente di tali produzioni, connesso anche alla necessità di utilizzare ingenti quantità d’acqua e additivi.

Il nuovo scenario energetico

L’impatto delle nuove tecnologie di estrazione degli idrocarburi ha determinato importanti conseguenze sui prezzi dell’energia. Negli USA il petrolio (WTI), che da decenni quotava a valori superiori rispetto all’Europa (Brent), ha ora invece un differenziale negativo; i prezzi del metano sono crollati fino a valori di oltre 3 volte inferiori a quelli europei; i prezzi dell’energia elettrica sono la metà di quelli europei. Peraltro la situazione dei mercati energetici nel mondo a oggi è tutt’altro che stabilizzata. Infatti i prezzi degli idrocarburi non sono in equilibrio non solo dal punto di vista territoriale ma anche da quello del rapporto tra i prezzi e i costi marginali (i prezzi del petrolio sono elevati, mentre i prezzi del gas sono al limite dei costi marginali negli USA ma molto superiori nel resto del mondo) e della correlazione petrolio/gas (negli USA il prezzo del gas, a parità di energia, è inferiore di 4÷5 volte a quello del petrolio, mentre in Europa il rapporto oscilla intorno a 2).

Questo disequilibrio dei prezzi non è fondato su motivazioni strutturali: la segmentazione dei mercati è dovuta sia a normative nazionali (dagli Stati Uniti non è possibile esportare idrocarburi senza particolari autorizzazioni) sia a una “adeguata” carenza infrastrutturale che consente ai produttori di sostenere i prezzi. Tuttavia la maggiore disponibilità dell’offerta e la profonda evoluzione della geografia delle produzioni non consentiranno a lungo di ostacolare una prospettiva di evoluzione concorrenziale del mercato. Per fare una valutazione delle conseguenze economiche dello scenario attuale dell’energia risulta di particolare interesse il peso percentuale di ciascuna fonte nelle tre maggiori aree economiche.

È immediato notare che gli USA e la Cina hanno rispettivamente circa il 50% e il 67% di fossili “a basso costo”, ovvero carbone e (solo per gli USA) metano. L’Europa ha invece solo il 17% di carbone. Ne derivano prezzi medi dell’energia significativamente diversi tra l’Europa e i suoi maggiori competitori economici: secondo la IEA nel 2012 in Europa i prezzi dell’energia per l’industria (tasse incluse) sono risultati circa il doppio di quelli USA e il 60% superiori a quelli cinesi.

Oltre agli effetti in termini di costi degli approvvigionamenti, le maggiori conseguenze economiche di tale situazione derivano quindi dalla propensione delle industrie a maggiore intensità energetica (Chimica, Alluminio, Cemento, Acciaio, Carta, Vetro) a insediarsi nelle aree a minor costo energetico, spesso seguite anche dai settori industriali dell’indotto e dai servizi connessi. Questo è uno dei principali motivi per cui gli USA hanno da tempo superato la crisi economica, mentre l’Europa stenta a ritrovare la via dello sviluppo.

Per quanto riguarda gli aspetti politici c’è da evidenziare che la progressiva autonomia energetica consentirebbe agli USA già nel breve termine di limitare i propri acquisti di petrolio al continente americano (Canada, Messico, Brasile ed eventualmente Venezuela), e ha già causato una riduzione delle forniture dal Golfo Persico e dall’Africa occidentale. Questo non implica che la politica USA arrivi a trascurare le crisi che affliggono Medio Oriente, Golfo Persico, Caspio e Africa, ma è evidente che, salvo gli interessi delle compagnie petrolifere, sono venute meno le motivazioni energetiche ad agire per la stabilità di queste aree.

La debolezza della politica

Nonostante l’evidente deterioramento del quadro energetico internazionale, l’Europa non ha fatto quasi nulla per la sicurezza e, ciò che è più grave, non ha nemmeno una chiara strategia: le politiche sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza sono state dettate da obiettivi ambientali, e non certo dalla sicurezza, e le politiche sulle scorte petrolifere sono state decise in ambito IEA (International Energy Agency). Sul fronte del metano, il più delicato per l’Europa, l’unica decisione concreta assunta è stata (Regolamento UE 994/2010) l’obbligo del cosiddetto “N-1” a livello dei singoli Stati, che consiste nel disporre, entro il 3/12/2014, di capacità tecnica sufficiente – nel caso di un guasto alla principale infrastruttura del gas – a soddisfare la massima domanda totale. Si tratta in realtà di un obbligo assai tenue sia perché nella capacità è conteggiata la “erogabilità massima tecnica di stoccaggio” (che è disponibile solo all’inizio della stagione invernale e poi si riduce progressivamente), sia perché prevede deroghe per misure di contenimento della domanda. In sostanza anche se il Regolamento fosse compiutamente applicato, non garantirebbe affatto lo stesso risultato a livello dell’intera Unione Europea. Di fatto l’ “N-1” europeo non esiste: l’Europa non può fare a meno delle forniture della Russia.

Sul fronte del petrolio ancora nessuna iniziativa è stata assunta per fronteggiare la grave crisi del settore della raffinazione, che ha già causato la chiusura negli ultimi anni di oltre il 10% degli impianti: la dipendenza dall’importazione di prodotti raffinati sarebbe per l’Europa molto più grave di quella del petrolio.

Nuova politica europea per la sicurezza

In tema di politica europea per la sicurezza energetica, il primo passo è superare il (pre) concetto che essa sia solo un costo aggiuntivo, che pesa sui prezzi dell’energia e quindi va limitata allo stretto indispensabile. Ciò è l’esito di una valutazione statica e non dinamica dei costi e dei benefici, che non consente di “vedere” le relazioni tra prezzi e abbondanza di offerta potenziale: una raffineria, un rigassificatore o una centrale a olio sottoutilizzati, se essenziali per rimuovere l’indispensabilità dei fornitori, possono generare effetti positivi sul livello dei prezzi molto superori ai costi sopportati.

Il secondo passo nella definizione di una strategia europea della sicurezza è acquisire consapevolezza che le politiche che concorrono al contenimento delle importazioni attraverso lo sviluppo della produzione (di idrocarburi e di fonti rinnovabili), per quanto di importanza cruciale, non sono sufficienti, almeno per i prossimi decenni, a garantire la sicurezza. Né è ragionevole, per motivi diversi (rispettivamente economicità e impatto sul clima), pensare a un incremento dell’utilizzo del nucleare o del carbone. Di fatto l’Europa sarà ancora per molti anni fortemente dipendente dalle importazioni di idrocarburi e sarà, tra le maggiori economie mondiali, quella con la più elevata vulnerabilità del proprio sistema economico.

La strategia della UE

Sul fronte interno la strategia della UE dovrebbe essere finalizzata in primo luogo alla disponibilità di un’adeguata dotazione infrastrutturale. Per quanto riguarda il petrolio, il sistema infrastrutturale più critico è certamente quello della raffinazione, in cui la strategia non può essere basata solo su un piano di chiusure; infatti, in un quadro in cui le condizioni di svantaggio delle raffinerie europee rispetto a quelle mediorientali, USA o asiatiche sono dovute principalmente a maggiori costi di approvvigionamento e a un minore indice di complessità, il vantaggio dei minori costi di trasporto può essere insufficiente per consentire la sopravvivenza. In sostanza la chiusura di alcuni impianti potrebbe non salvare quelli rimasti.

La strategia dovrebbe invece basarsi su più innovazione e più ambiente, attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie che consentano la produzione di carburanti di qualità più elevata che contribuiscano a ridurre le emissioni di polveri sottili. Si tratta di tecnologie che utilizzano metano, in misura più o meno rilevante, per la produzione di carburanti, come, per esempio, la tecnologia EST (Eni Slurry Technology), implementata a Sannazzaro, o la tecnologia GTL (Gas To Liquids) che consente di produrre carburanti dal metano; nel metano infatti sono assenti le tipiche impurità del petrolio, come i metalli, che contribuiscono alla formazione di polveri sottili in fase di utilizzo.

Considerato che in molte città europee (anche in Italia) sono sistematicamente violati i valori limite per le particelle PM10 nonché per la qualità dell’aria, sarebbe pienamente giustificata, anche in ambito WTO, l’introduzione di normative che favoriscano (anche attraverso incentivi) l’utilizzo in alcune aree di carburanti più puliti. Gli investimenti sarebbero motivati economicamente non solo dagli incentivi ma dalla creazione di un mercato di carburanti meno aggredibile (almeno per alcuni anni) dalla concorrenza internazionale.

A fronte di eventuali maggiori oneri, i consumatori avrebbero un concreto vantaggio in termini di qualità dell’aria e, probabilmente, di minori vincoli e oneri per la circolazione nei centri urbani. Evidentemente i vantaggi di tale strategia sarebbero ancora maggiori in termini ambientali e occupazionali utilizzando biometano.

Nel settore del gas occorre procedere non a un generico rafforzamento delle interconnessioni interne e delle infrastrutture di importazione (come si suggerisce genericamente nella Comunicazione della Commissione sulla sicurezza energetica dello scorso maggio) ma alla realizzazione prioritaria e puntuale di tutte quelle infrastrutture necessarie a realizzare l’ “N-1” europeo, ovvero un sistema di metanodotti interni e di importazione e impianti di rigassificazione che consenta all’Europa di disporre di capacità sufficiente a fare a meno in modo permanente del maggiore Paese fornitore; inoltre è necessario rafforzare gli stoccaggi istituendo un sistema di scorte obbligatorie di metano, analogo a quello esistente per il petrolio.

Sempre sul fronte interno la strategia della UE dovrebbe inoltre puntare sull’efficienza energetica come nuovo driver della politica europea; le direttive europee, anche recenti, risentono infatti di una sostanziale obsolescenza dell’inquadramento che non tiene conto che l’efficienza energetica oggi è:

  • il principale strumento per ridurre la dipendenza energetica senza creare nuove e più gravi forme di dipendenza industriale (siderurgia, chimica, ecc.).
  • l’unico modo, nel settore industriale, per sperare di recuperare il gap di costo dell’energia che si sta divaricando tra l’Europa e i suoi concorrenti a livello asiatico e americano.
  • uno dei pochi driver di investimento a disposizione per l’investimento privato, posto che, in un contesto economico deteriorato, gli investimenti in efficienza sono tra i pochi che possono essere effettuati sulla base di assunzioni economiche affidabili, in quanto i flussi sono costi evitati e non maggiori ricavi.
  • uno degli strumenti più efficaci per intervenire sulla spesa pubblica, perché nella P. A. gli investimenti in efficienza consentono di ridurre la spesa corrente senza indurre significativi effetti depressivi sull’economia (al contrario degli altri tagli della spesa pubblica) in quanto riducono costi connessi a importazioni e non a valore aggiunto interno.

La strategia di politica estera della UE

Sul fronte della politica estera (perché le infrastrutture non bastano se non si creano le condizioni per utilizzarle), andrebbero assunte forti iniziative:

  • per il mercato unico con il Nord America (tema su cui l’iniziativa, paradossalmente, è stata fino a oggi più degli USA che della UE).
  • verso gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo, attraverso progetti infrastrutturali di interconnessione (nel settore dell’energia elettrica e del gas) che rappresenterebbero anche un concreto atto politico per concorrere alla soluzione delle molteplici crisi locali e per contenere i flussi migratori.
  • per lo sfruttamento degli ampi giacimenti di gas nel sud-est del Mediterraneo, favorendo soluzioni di reciproco vantaggio per gli Stati coinvolti (Cipro, Turchia, Israele, Libano).
  • per l’accelerazione e il rafforzamento del cosiddetto “corridoio Sud”, ovvero del sistema di gasdotti che dovrebbe convogliare in Europa il gas dell’area del Caspio e, in prospettiva, dell’area del Golfo Persico.
  • per il rafforzamento delle relazioni con il Golfo Persico e l’Africa occidentale, al fine di “compensare” l’eventuale parziale disimpegno USA.

Nel loro complesso, le iniziative sul fronte della politica estera dovrebbero essere finalizzate al rafforzamento della competizione internazionale nei mercati degli idrocarburi e, conseguentemente, al superamento della frammentazione dei mercati stessi. In particolare nell’area del Mediterraneo l’obiettivo di lungo termine dovrebbe essere la creazione di un mercato unico dell’energia, che consentirebbe reciproci vantaggi ai Paesi delle due sponde.

L’Europa deve prendere atto, anche in termini organizzativi, che oggi non è più possibile trattare di energia e ambiente senza occuparsi anche di sviluppo economico e di politica estera. Sul fronte dello sviluppo è chiaramente in corso un processo di depauperamento dell’industria europea; i motivi sono molti, ma il costo e la sicurezza dell’energia hanno un ruolo determinante. In questo contesto il bivio è tra una politica europea attiva, che operi scelte sulle quali sia la Commissione che le imprese possano concentrare le loro risorse, e una politica europea assente che lasci che si realizzi un impoverimento dell’Europa.

L’articolo di Tullio Fanelli è stato pubblicato sul n.5/2014 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Europa insicura”

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