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Banca d’Inghilterra e Fondo sovrano norvegese consapevoli del ‘rischio fossili’

Bank of England in una lettera alla Camera dei Comuni si interroga sul rischio economico della bolla del carbonio: è la prima banca nazionale a farlo. Intanto il fondo sovrano più grande del mondo, quello della Norvegia, pensa di escludere per motivi etici dal proprio portfolio gli investimenti più dannosi per il clima.

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La lettera che trovate in allegato in basso, spedita dal governatore della Banca d’Inghilterra alla Camera dei Comuni, è un documento che segnerà la storia: il problema della bolla del carbonio, già oggetto della preoccupazione di Ong ambientaliste e parte del mondo della finanza, per la prima volta viene affrontato ufficialmente da una banca nazionale.

Pochi giorni dopo l’annuncio della seconda più grande utility d’Europa di voler abbandonare le fossili (che gestirà comunque con una nuova società), arriva un’altra notizia importante: il fondo sovrano più grande del mondo, quello norvegese, potrebbe includere l’impatto sul clima tra i criteri che portano ad escludere per motivi etici alcuni investimenti dal suo portfolio. La settimana scorsa invece era stata la Banca Mondiale a ribadire la sua volontà di stringere i cordoni della borsa per quel che riguarda i progetti più impattanti per il clima, quelli legati al carbone, e di puntare di più sulle rinnovabili.

Lentamente le istituzioni finanziarie si stanno rendendo conto dell’insostenibilità degli investimenti in fossili. Un’insostenibilità che non è solo ambientale, ma anche economica: il problema che il governatore della Bank of England Mark Corney ammette nella lettera è quello dei cosiddetti stranded asset legati alla ‘bolla del carbonio’: gran parte degli investimenti in carbone, petrolio e gas, rischiano di rivelarsi disastrosi buchi nell’acqua a causa delle politiche per ridurre le emissioni e della decarbonizzazione del sistema energetico in atto.

“La maggior parte delle riserve provate di carbone, petrolio e gas potrebbero dover essere considerate inutilizzabili se si vuole limitare a 2 °C l’aumento della temperatura media del pianeta”, si legge nella missiva.  Di conseguenza la Banca d’Inghilterra si impegna ad analizzare il rischio finanziario che ciò comporta e a far avere al Dipartimento per l’Ambiente una relazione sul tema entro luglio 2015.

Se si adottassero le politiche necessarie a fermare il riscaldamento globale, mostrano le stime del gruppo bancario HSBC, il valore di gran parte delle aziende delle fossili crollerebbe del 40-60%. È questa appunto la bolla del carbonio sulla quale stanno da tempo mettendo in guardia, oltre agli ambientalisti, i report di gruppi bancari e analisti come Citigroup, Deutsche Bank, Kepler Chevreux e Moody’s.

Una bolla il cui scoppio avrebbe effetti economici disastrosi visto che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse al momento ha un ruolo molto importante – 20-30% in piazze come Londra, Mosca, Toronto e San Paolo – e che nelle fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione.

Proprio i fondi pensioni e quelli istituzionali, investitori più attenti ai rischi di lungo termine, sono tra i primi che hanno iniziato o dovrebbero iniziare a tirarsi gradualmente fuori dalle fossili. La settimana scorsa abbiamo dato la notizia che il più grande fondo pensione norvegese, KLP, che gestisce circa 73 miliardi di dollari, abbandonerà totalmente gli investimenti in carbone e sta valutando se liberarsi anche degli asset in petrolio e gas.

Ieri è arrivata una notizia importante che riguarda un altro fondo norvegese, il Government Pension Fund Global, noto anche come Oil Fund, che è il più grande fondo sovrano al mondo, con circa 857 miliardi di dollari gestiti, e che nasce proprio per reinvestire i proventi dell’estrazione di gas e petrolio nazionali. È stato infatti pubblicato il report (allegato in basso) che riassume il lavoro del gruppo di esperti nominato dal governo di Oslo per valutare se e come il fondo debba muoversi per tenere conto della sostenibilità economica e ambientale degli investimenti in fossili.

In passato il fondo ha escluso dai propri investimenti aziende controverse dal punto di vista etico, come quelle che producono tabacco o armi nucleari, o che violano i diritti umani o producono gravi danni ambientali. Ora lo steering group convocato dal Ministero delle Finanze norvegese raccomanda di includere nelle linee guida per la valutazione e l’eventuale esclusione degli asset dal portfolio anche la voce “contributo al cambiamento climatico”.

Un segnale significativo, anche se non è una chiusura netta: “il fatto che una compagnia produca energia da fossili o emetta CO2 non può essere considerato contrario alle norme etiche”, si legge. La strada privilegiata, spiega il report, dovrà essere quella della active-ownership, cioè di tentare di influenzare le compagnie in cui si investe per spingerle a scelte più sostenibili, ma si propone anche un meccanismo che escluda dal portfolio del fondo sovrano gli investimenti “gravemente dannosi per il clima”.

La lettera della Bank of England (pdf)

Il report del comitato di esperti del Fondo sovrano della Norvegia (pdf)

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