Ecco perché il SEU diventa realtà

Chiariti gli ultimi decisivi aspetti i Sistemi Efficienti di Utenza si candidano a diventare un modello di business essenziale per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e per il fotovoltaico in particolare. Negoziazione del prezzo di vendita e autoconsumo, gli aspetti chiave della strategia. Articolo di Tommaso Barbetti, partner eLeMeNS, pubblicato sulla rivista bimestrale QualEnergia.

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Strana la situazione dei SEU: il legislatore li crea ma ne teme la diffusione, tanto da generare scompiglio nel tempo e nelle certezze degli operatori, nel frattempo questi ultimi nicchiano e non comprendono che si tratta di un potente strumento di crescita. Il mantra abbastanza ricorrente recita infatti che “il modello SEU rappresenta il futuro delle rinnovabili”. Posto che, almeno ad avviso di chi scrive, questa convinzione è largamente condivisibile, a volte si ha la percezione che il tema dei SEU sia ancora in parte ammantato di mistero o perlomeno scarsa comprensione, forse impreparazione dei destinatari di questo strumento. Per esempio, si parla spesso di SEU come un modello esclusivamente riferito al futuro, quando invece numerosissimi sono i casi di SEU già realizzati negli ultimi 7-8 anni.

La storia dei SEU – che va a braccetto con quella dell’autoconsumo – trova infatti il suo inizio nel decreto Bersani del 1999, caposaldo del mercato elettrico liberalizzato, all’interno del quale si introduce il concetto di oneri gravanti sul consumo. Si tratta dei ben noti oneri generali di sistema – che coprono una serie di costi sostenuti dai consumatori per l’interesse generale del sistema, tra cui l’incentivazione alle rinnovabili – e degli oneri di rete – a copertura invece dei costi per l’utilizzo delle reti di trasmissione e distribuzione. Oneri il cui pagamento è dovuto per l’energia prelevata dalla rete e non anche, sembra quindi intendersi, sull’energia non transitata dalla rete: ecco quindi che vede la luce il concetto dell’autoconsumo, ossia del consumo di energia non prelevata dalla rete, ma proveniente da un impianto di produzione direttamente collegato con l’utenza.

Sono stati tuttavia necessari una miriade di decreti (di cui il più importante è il Dlgs 115/2008), di leggi (in particolare la Legge 99/09) e di sottostante regolazione di dettaglio affinché il concetto di autoconsumo si dettagliasse in una serie di modelli specifici, di cui il più importante è quello dei SEU, ossia quello di «sistema in cui un impianto di produzione di energia elettrica, con potenza non superiore a 20 MWe […], alimentato da fonti rinnovabili ovvero in assetto cogenerativo ad alto rendimento […], è direttamente connesso, per il tramite di un collegamento privato […], all’impianto per il consumo di un solo cliente finale, anche corrispondente al produttore […]».

È così che, a partire dal 2007-2008, il modello inizia ad affermarsi, pur nella frammentazione del quadro legislativo e regolatorio. Gli impianti in SEU infatti, come ha più volte sottolineato l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, soddisfano consumi per circa 20-22 TWh (circa il 7% del totale dei consumi nazionali) ogni anno. Il dettaglio dei clienti serviti non è stato reso noto, ma secondo le elaborazioni sviluppate da eLeMeNS si tratta di:

  • utenti domestici e piccole attività commerciali, mediante impianti fotovoltaici di piccola taglia: non sfugga infatti che tutti gli impianti fotovoltaici in autoconsumo – sostanzialmente la totalità degli impianti domestici – sono di fatto dei SEU; si contano impianti per una potenza di almeno 2.500 MW;
  • piccole e medie imprese, mediante impianti fotovoltaici di media/piccola taglia (più raramente di taglia superiore a 1 MW, come nel caso dello stabilimento IKEA di Piacenza, sulla cui copertura è stato installato un impianto fotovoltaico di 7 MW di potenza);
  • grande industria, mediante impianti cogenerativi a gas (circa 3.000 MW installati a copertura di 17-19 TWh di consumi, pari a oltre l’80% dell’energia SEU).

Eppure, nonostante i 7.000 MW già sul campo, i SEU sono rimasti nel dibattito un tema d’avanguarde fino alla pubblicazione della delibera dell’Autorità 578/2013 (dicembre 2013), che ha certamente portato a una razionalizzazione della frammentata disciplina precedente, che pure non aveva impedito la realizzazione delle iniziative. Analogamente, la delibera 578 non aveva risolto tutti gli aspetti pendenti del meccanismo: infatti essa non conteneva – non rientrando tale potestà tra quelle attribuite all’Autorità – una revisione dei benefici connessi ai SEU, mantenendo quindi inalterato il quadro che prevedeva la totale esenzione dal pagamento degli oneri sull’energia autoconsumata.

Nel frattempo infatti era cresciuta l’ansia per certi versi giustificata del regolatore: se i SEU crescono troppo, parte del consumo sfugge al pagamento degli oneri di sistema. In altre parole, due categorie (chi detiene le tecnologie di generazione per i SEU e chi consuma l’energia da SEU) percepiscono un incentivo implicito e fanno lievitare il costo in bolletta di chi non è in grado di utilizzare lo strumento. Ecco che sorge la necessità di mettere paletti alla disorganizzata diffusione dei SEU, onde evitare un secondo potenziale (seppur assai più sfumato e ben più lontano nel tempo) effetto salva-Alcoa.

È così che si arriva quindi allo scorso agosto, quando il Governo (e successivamente il Parlamento) raccolgono lo spunto dell’Autorità e, all’interno della Legge Competitività, dispongono che:

  • tutti i SEU realizzati prima del 2015 debbano pagare il 5% degli spettanti oneri generali di sistema (tra 2,5 e 4 €/MWh, a seconda del profilo di consumatore) sull’energia auto-consumata. Tale quota non sarà soggetta a cambiamenti nel tempo: pertanto, gli impianti già realizzati non vedranno mai variare – fino alla fine dell’esercizio – la percentuale di oneri da pagare;
  • riguardo ai SEU ancora da realizzare, la quota di oneri generali di sistema da pagare dipenderà da eventuali aggiornamenti disposti dal Ministero dello Sviluppo Economico. Tuttavia viene posto un limite all’arbitrarietà del MiSE, visto che si dispone che gli aggiornamenti potranno avvenire al massimo su base biennale (a partire dal 2015) e che in ciascun aggiornamento la percentuale massima di incremento potrà essere del 2,5%. In aggiunta l’applicazione delle nuove quote non potrà mai avere effetto retroattivo, non potendo dunque ricadere sugli impianti già costruiti: in pratica si verrebbe a definire un quadro allineato con quanto indicato nella tabella 1.

Qualcuno ha parlato di bilancio in chiaroscuro, soffermandosi criticamente sia sugli aspetti di principio («non è giusto che l’energia elettrica che non proviene dalla rete debba essere gravata – seppur in parte – da oneri tipici dei prelievi dalla rete») sia sulla violazione dei diritti acquisiti rappresentata dall’imposizione di una percentuale di oneri – seppur limitata – sui SEU a oggi già costruiti (anche se vale la pena sottolineare che si tratta di impianti che godono in larghissima parte di incentivi sulla produzione). D’altra parte, la circostanza che il quadro abbia trovato finalmente una sua definizione puntuale non può che essere giudicata positivamente: l’incertezza non va mai di pari passo con gli investimenti né, tantomeno, con l’erogazione di finanziamenti da parte delle banche. Inoltre, è sempre da ritenersi preferibile che le questioni vengano affrontate con gradualità e a fenomeno sotto controllo (l’approccio alla tedesca), piuttosto con misure draconiane a situazione sfuggita di mano (l’approccio all’italiana): l’esperienza dello spalma-incentivi da questo punto di vista insegna.

Anche il dettaglio delle disposizioni lascia tutto sommato soddisfatti: il livello iniziale degli oneri da pagare non è tale da uccidere il modello di business, il loro incremento è ben disciplinato da una roadmap che prevede un percorso graduale, è stato evitato – almeno sul futuro – ogni tipo di disposizione retroattiva.

In termini generali, dunque, sia per quanto riguarda gli investitori sia per quando riguarda le banche la maggioranza degli aspetti critici sono stati risolti; il mercato è quindi pronto a decollare? Questo dipenderà dalla capacità tra domanda (consumatori) e offerta (produttori) di trovare un punto di incontro in termini di prezzo e condizioni di fornitura dell’energia e di metabolizzare le nuove logiche che governano il meccanismo.

Le condizioni di prezzo sembrano esserci tutte. Facciamo al proposito un esempio, ipotizzando un SEU composto da un’azienda che consumi 2.000 MWh all’anno e da un impianto fotovoltaico che produca 1.500 MWh all’anno, dei quali solo 1.200 consumati direttamente dall’azienda (per esempio, perché nel fine settimana l’azienda non ha consumi. N.B.: produttore e consumatore possono anche coincidere).

Guardandola dal lato dell’azienda, sappiamo quindi che sarà necessario acquistare 800 MWh dalla rete (a prezzo al dettaglio, ossia inclusivo di tutti gli oneri – esempio: 170 €/MWh + tasse), mentre i restanti 1.200 MWh verranno acquisiti dall’impianto in SEU con un prezzo che verrà liberamente definito tra le parti, prezzo al quale, proprio in funzione delle nuove disposizioni, sarà adesso necessario aggiungere il 5% del totale degli oneri di sistema. Dal lato del produttore, invece, ci saranno 1.200 MWh che verranno comprati dall’azienda in assetto SEU (al prezzo concordato), mentre i restanti 300 MWh verranno ceduti alle rete elettrica, a prezzo di mercato (diciamo 50 €/MWh).

Emerge evidentissimo, dunque, il convergente interesse, sia da parte del produttore sia del consumatore, a massimizzare la quota di energia auto-consumata, perché la sua valorizzazione sarà sempre più alta rispetto all’alternativa dell’acquisto dalla rete (per il consumatore) e della cessione in rete (per il produttore).

In buona sostanza ci sarà possibilità di sviluppo di un mercato SEU fintanto che esisterà uno spazio di negoziazione tra cliente finale e produttore di energia. Come dettagliato nella figura 1, ciò significherà:

  • identificare il prezzo massimo che sarà disposto a pagare un consumatore, che sarà pari al prezzo che il cliente paga per acquistare energia elettrica dalle rete, al netto dell’IVA (comunque dovuta, a differenza delle accise, che nella maggioranza dei casi non sarà necessario pagare), delle componenti fisse dell’energia (€/potenza impegnata ed €/punto di prelievo/anno: saranno ovviamente dovuti anche in caso di minori prelievi dalla rete/autoconsumo) e, appunto, di una percentuale del 5% degli oneri generali di sistema (attualmente equivalente a una misura compresa tra 2,5 e 4 €/MWh; la crescita di tale percentuale per gli impianti che verranno realizzati in futuro ovviamente ridurrà il range di negoziazione);
  • identificare il prezzo minimo che sarà disposto a ricevere il produttore di energia: al fine di questo calcolo si dovrà tenere conto non solo dei valori minimi che remunerano la realizzazione dell’impianto (ossia del LCOE, costo complessivo di generazione), ma anche del grado di corrispondenza tra produzione e consumo. È evidente infatti che in caso di scarso match, la porzione di energia elettrica da cedere in rete (a prezzi nettamente inferiori) sarà maggiore, e pertanto il prezzo da richiedere al consumatore in SEU sarà maggiore;
  • verificare che il prezzo massimo che sarà disposto a pagare un consumatore sia superiore rispetto al prezzo minimo che sarà disposto a ricevere il produttore di energia, in modo tale da creare uno spazio di negoziazione.

Quanto detto ci consente di individuare anche quali saranno le nuove regole auree dello sviluppo. Se il development di fotovoltaico tradizionale si è concentrato su criteri autorizzativi e sulla proprietà dei terreni, da oggi assumeranno importanza altri parametri, quali il prezzo finale dell’energia pagato dal consumatore (prezzo più alto = maggior margine di negoziazione) e la corrispondenza tra profili di produzione e consumo (maggior match = maggior margine di negoziazione): in buona sostanza sarà necessario cucire soluzioni attorno alle esigenze del cliente.

Ovviamente sarà importante tener conto anche di altri aspetti, quali la solidità del cliente (la cui improvvisa assenza di consumi – dovuta per esempio alla chiusura dell’attività – comporterebbe automaticamente anche il default dell’impianto) e la sua bancabilità (per la stessa ragione di cui sopra, le banche rilasceranno i finanziamenti basandosi sul merito creditizio del cliente finale: appare molto difficile immaginare soluzioni di project finance). Occorrerà inoltre trovare i necessari elementi di mitigazione del rischio per il produttore, legato a doppio filo alle sorti del cliente.

Pertanto, lo sviluppo di nuovi impianti non sarà più a forza di nuovi megawatt installati bensì megawattora prodotti e soprattutto venduti ai clienti, più corretti dal punto di vista dell’utilizzo dell’energia prodotta e del prezzo corrisposto – e questo non è tipico di chi ha fatto rinnovabili finora. Sarebbe una nuova e buona frontiera di sviluppo per le rinnovabili.

Aspetti questi di indubbia importanza, ma sui quali si potrà lavorare fintanto che esisteranno i fondamentali di prezzo a giustificare l’adozione di un modello SEU: fondamentali che, almeno al momento, esistono eccome. Se a ciò aggiungiamo una cornice normativa ormai quasi completa (mancano ancora le procedure operative del GSE), ci possiamo finalmente sbilanciare: i SEU sono pronti a partire. Saranno in grado i produttori di energia rinnovabile di cogliere quest’opportunità?

L’articolo è stato pubblicato sul n.5/2014 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Il SEU diventa realtà”

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