Fusione fredda: l’ECat e tutti i dubbi sul nuovo test

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Da ormai 5 anni l'ingegner Andrea Rossi afferma che grazie al suo ECat si può ottenere energia a prezzi stracciati dalla cosiddetta fusione fredda. Affermazioni finora che non sono supportate da dimostrazioni credibili. Ora un nuovo test sembrerebbe provare in maniera inequivocabile che il dispositivo funzioni, ma lascia intatti troppi dubbi.

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Politici e propagandisti lo sanno bene, dopo il suscitare paure, la seconda cosa che garantisce più consenso è il suscitare speranze, per quanto irrealistiche siano. Non c’è da meravigliarsi quindi che da ormai cinque anni, continui a esistere la speranza che un miracoloso apparecchio, l’ECat (Energy Catalyzer), inventato da Andrea Rossi, risolva ogni nostro problema energetico, riportandoci ai tempi dell’energia a basso costo, ma senza tutti quegli inconvenienti ambientali, di sicurezza e geopolitici legati a fossili e nucleare.

L’ECat è uno dei numerosi dispositivi che molti inventori nel mondo affermano essere in grado di innescare reazioni di fusione nucleare a bassa energia: la cosiddetta fusione fredda. La fusione nucleare si verifica quando nuclei di atomi più leggeri del ferro, si fondono insieme, convertendo una piccola parte della loro massa totale in energia. Sono reazioni di fusione quelle che alimentano le stelle dove, principalmente, a fondersi sono atomi di idrogeno, formando nuclei di elio. In quel caso, però, le reazioni sono rese possibili dalle enormi pressioni e temperature esistenti al centro delle stelle, che permettono ai nuclei di fondersi superando la repulsione elettrica dovuta alla carica positiva dei loro protoni.

Nel 1989 due stimati chimici americani Martin Fleischmann e Stanley Pons annunciarono di aver innescato possibili reazioni di fusione nucleare a temperatura ambiente, forzando degli atomi di deuterio (idrogeno con un neutrone nel nucleo), nel reticolo cristallino del palladio. Da allora nessuno è riuscito a elaborare una teoria valida su come questo tipo di reazioni potrebbe avvenire, né a riprodurre in modo convincente i loro risultati, così che la fusione fredda, evoluta in tante varianti diverse, è diventata sempre più appannaggio di personaggi ai margini della scienza.

Nel 2011 l’ingegner Rossi, in precedenza noto alle cronache solo per vicende giudiziarie riguardanti un suo presunto metodo di trasformazione di scarti industriali in petrolio (con la società Petroldragon, ndr), annunciò di aver realizzato l’ECat, un dispositivo in grado di produrre molta energia, trasformando nichel in rame, tramite l’aggiunta di idrogeno, un misterioso catalizzatore e il calore dato da una resistenza elettrica. Da allora Rossi ha continuato a diffondere continuamente annunci sulla sua invenzione, vantando risultati brillanti, promettendo imminenti commercializzazioni dei dispositivi, annunciando l’apertura di fabbriche negli Usa, rivelando vendite milionarie a questo o quel sempre misterioso acquirente e sfornando nuovi modelli di ECat, da quello domestico a quello con 1 MW di potenza.
Questa sequela di annunci, non seguiti da fatti concreti, pare servire soprattutto a mantenere accesa l’attenzione sul dispositivo che, fin da quando è apparso, ha trovato subito una claque di “veri fedeli,” attivissimi su vari blog, che bollano ogni critica a Rossi e ai suoi metodi come frutto del desiderio delle solite “multinazionali dell’energia” di mettere a tacere cotanto genio.

La verità è che, incredibilmente, in tutto questo tempo Rossi non ha mai dato alcuna dimostrazione seria e affidabile che la sua invenzione funzioni. È vero che di quando in quando Rossi organizza “test indipendenti” dell’ECat, che naturalmente finiscono sempre con mirabolanti risultati, ampiamente ripresi dalla claque online. Ma si tratta in realtà di prove realizzate con modalità talmente poco rigorose, che nessun istituto di ricerca o rivista scientifica le considererebbe probanti. L’ultimo di questi test (relazione allegata in basso) non fa eccezione.

La prova è stata condotta a Lugano da un gruppo italo-svedese di ricercatori e tecnici, primo firmatario il fisico Giuseppe Levi dell’Università di Bologna, per lo più composto da persone che fanno parte della cerchia che ha contribuito a dare una credibilità scientifica alle affermazioni di Rossi fin dall’inizio. Il test ha riguardata l’ECat “ad alta temperatura”, un tubo di allumina con dentro una serpentina elettrica per il riscaldamento, che è stato testato prima “a vuoto” e poi caricato con i vari composti, fra cui nichel e idruro di litio-alluminio, per rilasciare idrogeno, che dovrebbero innescare la fusione.
I risultati, a prima vista, sembrano inequivocabili.
1) Mentre l’ECat “scarico” produceva la sola energia correlata alla serpentina elettrica, quello “carico” avrebbe emesso oltre tre volte più energia di quanta ricevuta.
2) L’analisi di piccoli campioni del suo combustibile, prima e dopo la prova, analizzati con uno spettrometro di massa, avrebbero rivelato una quasi totale conversione del mix originario, naturale, di isotopi di nichel, in quasi solo nichel 62, l’isotopo più stabile di questo metallo, e una parallela trasformazione del litio, da litio 7 a litio 6. Una variazione nel mix di isotopi è possibile solo in presenza di reazioni nucleari.

Queste apparenti prove del funzionamento dell’ECat, hanno provocato l’entusiasmo on line da parte dei fan dell’invenzione di Rossi, ma anche articoli osannanti sulla stampa “seria”, come quello apparso su Panorama, che equipara Rossi nientedimeno che a Galileo. Ma veramente questo test prova che l’ECat funziona? Per capirlo abbiamo chiesto a due esperti, di commentarne modalità e risultati.

«La qualità del paper è piuttosto bassa, con una descrizione del tutto insufficiente dell’apparato e delle modalità di sperimentazione, e una serie di grafici che contribuiscono poco o nulla alla chiarezza del contenuto ma, messi ad arte, danno l’impressione di uno studio scientifico complesso» commenta l’ingegnere di sistemi energetici Alex Sorokin, della società di consulenza Interenergy.

«Ma, soprattutto – spiega Sorokin – la modalità di misurazione della produzione di energia adottata in questo test è decisamente bizzarra. Invece di usare la procedura standard, cioè immergere il dispositivo in un calorimetro, una vasca contenente acqua, e misurare di quanto aumenta la temperatura dell’acqua, risalendo così al calore prodotto, hanno scelto di misurare la temperatura dell’ECat a distanza con una termocamera, risalendo poi all’energia termica emessa usando l’equazione di Stefan-Boltzmann. Si tratta di un sistema influenzabile e manipolabile in mille modi: in questa equazione la temperatura compare alla quarta potenza, per cui basta un errore minimo per falsare del tutto i risultati. E che ci sia stata una sovrastima della temperatura è reso evidente nelle foto, in palese contrasto con gli oltre 1400 °C esterni dichiarati nel testo. A quei livelli di temperatura si sarebbero fusi i fili elettrici e la sonda termica inseriti nel dispositivo, e si sarebbe annerita e deformata l’intelaiatura in lamierino verniciato su cui l’ECat era appoggiato. Nelle fotografie l’incandescenza dell’ECat è decisamente bassa, non certo quella di un oggetto a 1400 °C, vicino cioè alla temperatura di fusione dell’acciaio. Quindi sospetto che, con una misura corretta della temperatura sarebbe risultato che il calore sprigionato dal dispositivo derivava semplicemente dai 900 watt di energia elettrica consumati dalla resistenza, senza altre produzioni interne».

Aggiungiamo pure che, a complicare le cose, c’è il fatto che il test con l’ECat scarico è stato fatto con una potenza elettrica molto inferiore di quella usata quando era carico, rendendo difficile una comparazione diretta dei risultati. E si è rinunciato a staccare, almeno temporaneamente durante le ben 32 ore del test, l’ECat dalla rete elettrica, dopo che la “fusione” si era ormai innescata, una variante della prova che avrebbe aiutato molto a capire se era presente o meno nel dispositivo una fonte interna di calore, indipendente dalla resistenza elettrica.

Sulla seconda “prova regina”, la trasmutazione degli isotopi, che dimostrerebbe le reazioni di fusione nucleare, abbiamo invece chiesto un parere al fisico dell’INFN, Antonio Zoccoli. «Premetto che, come ci ha insegnato Galileo Galilei, ogni risultato scientifico per essere ritenuto valido e inoppugnabile deve essere verificato in maniera del tutto indipendente. Tenendo conto di questa premessa il test eseguito non si può definire una prova scientificamente indipendente, perché i ricercatori coinvolti avevano già lavorato con l’ECat. Infine, il committente, lo stesso Rossi, come si legge nel paper, è intervenuto in vari e delicati momenti della prova. Per questo motivo il risultato con lo spettrometro di massa per essere considerato probante, dovrebbe essere ripetuto da un team di ricercatori indipendenti, che si occupi da solo e descriva con precisione la preparazione dei campioni di “combustibile” e “ceneri” analizzati».

Oltre a questo, continua il fisico «c’è un fatto veramente strano: i risultati mostrano una conversione pressoché totale del mix naturale di isotopi di nichel usati nell’ECat in nichel 62, ma se questo fosse veramente l’origine dell’energia, si sarebbe dovuto assistere a un calo progressivo nella produzione di calore nel corso dell’esperimento, via via che il combustibile andava ad esaurirsi. Invece l’energia emessa è rimasta costante fino alla fine. Bisogna infine sottolineare che, secondo le conoscenze attuali, non è possibile che avvengano reazioni di fusione nucleare senza l’emissione di raggi gamma, o neutroni, o particelle alfa o beta. Invece durante l’esperimento non si è rilevato nessun tipo di radiazione, una cosa che ha lasciato molto perplessi gli stessi realizzatori del test».

Ma allora, come spiegare la trasmutazione degli isotopi originari? «Beh, ci sono due spiegazioni possibili – dice un’altra fonte scientifica che intende restare anonima – o siamo di fronte a una straordinaria rivoluzione nella fisica atomica, che ci costringerà a riscrivere tutto dalle basi, o qualcuno ha manipolato i campioni analizzati. Visto che non è affatto difficile trovare on line venditori di campioni puri di isotopi (in effetti il litio 6 si può comprare qui, mentre il nichel 62 è in vendita qui, ndr), vedete voi quale delle due ipotesi vi sembra più probabile. Diciamo che finora in questa vicenda dell’ECat si poteva pensare anche a illusioni ed errori di misura fatti in buona fede. Ma questa storia degli isotopi “trasmutati”, se non verrà in seguito dimostrata in modo più che sicuro, non potrà che far pensare a una frode deliberata».

Un parere che collima con quello del fisico Stephan Pomp dell’Università svedese di Uppsala, molto critico dell’appoggio di alcuni suoi colleghi a Rossi: «È del tutto inspiegabile per me il fatto che gli autori del paper non arrivino alla più ovvia delle conclusioni riguardo all’analisi del combustibile: sono stati ingannati».

In realtà quanto accaduto stavolta non è neanche del tutto nuovo, in quanto riporta alla mente un fatto analogo avvenuto alla fine di un altro test sull’ECat, questa volta a bassa temperatura e con idrogeno gassoso, svoltosi nel 2011. L’ipotesi, allora, era che nell’ECat il nichel si trasmutasse in rame cosa su cui, del resto, Rossi ha basato il brevetto del suo dispositivo. Anche in quel caso un campione di “ceneri” dopo il test, fornito da Rossi, fu fatto analizzare in Svezia con uno spettrometro di massa rivelando che, eureka!, conteneva veramente rame. Solo che quel rame non presentava il particolare mix di isotopi che ci si aspetterebbe da una reazione di fusione nucleare da nichel; era banalissimo rame naturale, la cui presenza nel campione fu allora spiegata da Rossi, dopo che i ricercatori svedesi avevano segnalato l’anomalia, come una “impurità” arrivata da chissà dove. Del resto lo stesso nichel nel campione del 2011 mostrava il mix di isotopi presenti nel metallo naturale, escludendo quindi la presenza di reazioni di fusione.

In questa ultima prova invece, misteriosamente, il rame è sparito del tutto, sostituito da una ancora più inspiegabile reazione di fusione nucleare che produce solo nichel 62 e litio 6, senza emettere alcuna radiazione. 

Insomma, ancora una volta la vicenda dell’ECat si rivela più che una pietra miliare nella storia dell’energia, una pietra miliare nella storia della comunicazione, un caso-studio di come una continua fornitura di pirotecnici annunci, risultati mirabolanti e prove “scientifiche” che non provano nulla, a una opinione pubblica in attesa di una soluzione miracolosa ai problemi energetici, riesca a mantenere accesi i riflettori su una vicenda che forse avrebbe già dovuto essere chiusa da tempo.

La relazione del test (pdf)

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