Minieolico in Italia: come si organizza la crescita

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Anche nel 2014 prosegue l'accelerazione del minieolico italiano: l'installato annuale stimato è di 15-20 MW. Ormai sono decine anche i produttori nazionali di turbine. Il settore sta cercando di risolvere il problema dell'accesso al credito. Ne parliamo con Carlo Buonfrate, presidente del CPEM, il Consorzio Produttori di Energia da Minieolico.

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Tra le tecnologie più favorite dalla riforma degli incentivi arrivata con il decreto del 6 luglio 2012, il minieolico negli ultimi anni ha vissuto una stagione positiva: circa due terzi della potenza totale sono stati installati nel 2013 e nel 2014 e in Italia sono nate alcune decine di aziende che producono turbine eoliche di piccola taglia. Per questa fonte i problemi però sono mai mancati: primo fra tutti quello dell’accesso al credito. Di alcune iniziative per affrontare la questione e del futuro del settore in Italia si parlerà a Rimini il prossimo 7 novembre nell’ambito di un convegno dal titolo “Il minieolico in Italia”.

Ne abbiamo discusso con Carlo Buonfrate, presidente del CPEM, il Consorzio Produttori di Energia da Minieolico, associazione del settore che, ci anticipa, si appresta ad entrare in ANIE-Rinnovabili.

Ingegner Buonfrate, come sta andando il mercato del minieolico in Italia?

Gli ultimi dati ufficiali, che si fermano a marzo 2014, mostrano un installato cumulato per l’eolico sotto ai 200 kW di 35 MW, un dato a mio avviso sottostimato almeno del 10-15% perché non tiene conto dei molti impianti ancora alle prese con l’ottenimento della tariffa incentivante. Di questa potenza circa un terzo è riconducibile ad impianti realizzati grazie agli incentivi introdotti dal decreto 6 luglio 2012. Negli ultimi 6 mesi poi c’è stata una notevole accelerazione, anche per lo spauracchio dell’esaurimento degli incentivi, per cui stimo che ormai si sia a circa 45 MW tra impianti installati e in procinto di esserlo. Nel 2013 si sono installati 12 MW di impianti, dei quali il 90% grazie ai nuovi incentivi; per il 2014 la mia stima è che se ne installino 15-20 MW. Sono dati impressionanti se confrontati con quelli di solo qualche anno fa.

Ha parlato dello spauracchio dell’esaurimento degli incentivi, prima che si liberino altre risorse. Sembra ridimensionato il timore che si raggiunga il tetto di spesa di 5,8 miliardi annui, visti gli ultimi aggiornamenti? C’è comunque molta preoccupazione nel settore?

Molti nostri associati sono preoccupati. Quando mi contattano li rassicuro citando i dati presentati da Luca De Carlo, responsabile Ingegneria del GSE, nel corso del convegno che abbiamo organizzato a Solarexpo a maggio. Il contatore degli incentivi al momento infatti sta procedendo secondo le previsioni di De Carlo, il quale in quell’occasione ci ha tranquillizzato sul fatto che la copertura degli incentivi ad accesso diretto ci sarebbe stata almeno per quasi tutto il 2015 (vedi qui, ndr). Personalmente sono ottimista, ma l’incertezza in ogni caso permane, anche se posticipata. Per questo stiamo sollecitando i decisori a dare una continuità al DM 6 luglio 2012, per garantire che lo sviluppo del settore prosegua. Tra le nostre richieste c’è anche quella di passare ad un sistema di incentivi basato più sulla produzione effettiva che sulla potenza nominale delle macchine, che spesso dice poco.

Ci sono casi in cui si installano veri e propri parchi minieolici per massimizzare i guadagni, snaturando così questa fonte che va a sostituirsi al grande eolico, invece di integrarsi in un’ottica di generazione distribuita. Altre volte si vedono invece piccole turbine eoliche singole installate in aziende agricole. Quali sono i soggetti che stanno investendo nel minieolico?

C’è un po’ di tutto. Spesso sono società che vengono dal mondo delle rinnovabili, in particolare dal fotovoltaico, che realizzano aggregati di 3-4 macchine da 60 kW distribuite in maniera efficiente su un territorio anche relativamente vasto. Altre volte ci sono fondi di investimento che hanno un approccio più aggressivo e costituiscono veri e propri mini-parchi da decine di impianti. Infine, anche se sono la minoranza, ci sono privati o aziende agricole che installano una singola macchina come investimento integrativo di altri redditi, come appunto quello agricolo.

Ipotizziamo che io sia un agricoltore o un cittadino che possiede un sito che reputo adatto: come devo muovermi per sapere se è una buona idea installare una piccola pala eolica? Quale ventosità serve? In quanti anni posso pensare di rientrare dall’investimento?

Come CPEM abbiamo realizzato un’iniziativa proprio per facilitare l’accesso al credito per questo tipo di progetti, quelli più piccoli. Una filiera che coinvolge il consorzio Ascomfidi Piemonte, che opera in tutta Italia, che è in grado di dare all’istituto di credito una garanzia sull’80% del finanziamento rendendo così per le banche meno rischioso concedere il credito. All’iniziativa partecipano poi anche una società di consulenza, Aura, e alcune banche, tra cui la BNL. Questo rende più facile valutare i progetti, sulla base di pochi importanti criteri. E qui rispondo alla domanda. Innanzitutto si guarda all’affidabilità tecnica della macchina, con l’ausilio di una white-list di produttori reputati validi. Il secondo presupposto che si valuta è che ci sia la ventosità adeguata: superiore ai 5,6-5,7 m/s. La ventosità infatti deve consentire la sostenibilità della rata da pagare per il finanziamento e un rientro per l’investitore in non più di 9-10 anni.

Ha parlato di affidabilità delle turbine. Nel minieolico italiano manca un sistema di certificazione obbligatorio e, d’altra parte, a differenza delle altre tecnologie come il fotovoltaico, non è nemmeno richiesta la certificazione dei componenti degli impianti per accedere agli incentivi. Si sono fatti progressi per arrivare a far sì che tutte le macchine siano certificate?

No, il quadro è immutato. Quando un mercato cresce in maniera impetuosa non si trova il tempo per fermarsi e stabilire delle regole: probabilmente si chiuderà la stalla quando i buoi saranno già scappati. Chi si sta muovendo sul fronte delle certificazioni in maniera preventiva, come stanno facendo alcuni dei nostri associati, probabilmente si troverà in una posizione avvantaggiata rispetto agli altri, anche nell’approccio ai mercati esteri.

Si sente parlare anche di macchine rigenerate per il minieolico, ovviamente meno costose delle nuove …

Noi come associazione siamo nettamente contrari all’utilizzo di macchine rigenerate. All’apparenza risultano competitive, ma nascondono grossi rischi. Si tratta di materiali che hanno subito grandi carichi di fatica e, dunque, non garantiscono quell’affidabilità necessaria ad una macchina che deve durare almeno 20 anni. C’è poi il problema sicurezza: un incidente provocato da queste macchine ricadrebbe un po’ su tutto il settore. In più c’è un rischio sull’accesso agli incentivi, dato che ultimamente il GSE è molto attento agli aspetti tecnici delle macchine.

Come è cambiata la parte a monte della filiera in Italia in questi ultimi anni?

Negli ultimi 4-5 anni sono scesi in campo diversi soggetti italiani, sia aziende nate ex-novo che soggetti già attivi nell’elettromeccanica che hanno deciso di diversificare. I costruttori italiani che qualche anno fa si contavano sulle dita di una mano ora sono alcune decine. Ci sono poi anche aziende estere che vendono in Italia: americane, britanniche, cinesi. Rispetto a queste ultime va detto che al momento, non avendo le ditte cinesi una grande specializzazione sull’eolico di questa taglia, queste non sono ancora pienamente competitive con le società che vendono macchine italiane. Tuttavia appena i cinesi riusciranno a specializzarsi anche sul minieolico, i nostri produttori dovranno imparare a difendersi, specialmente sul versante prezzi.

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