Obiettivi 2030, i governi europei rallentano la rivoluzione energetica e Renzi fa il notaio

Associazioni ambientaliste e industriali del settore della green economy giudicano modesti, quando non pessimi, gli obiettivi 2030 che escono dall’accordo del Consiglio d’Europa. I capi di governo europei sembrano non voler affatto cavalcare la lotta per la riduzione delle emissioni e la transizione energetica. Il nostro governo acconsente.

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Tutte le associazioni ambientaliste e industriali del settore green giudicano modesti, quando non pessimi, gli obiettivi 2030 che escono dall’accordo di questa notte dei capi di governo nel Consiglio d’Europa.

Per molti osservatori tuttavia l’accordo raggiunto rappresenta un punto di partenza, in vista di un accordo globale atteso alla conferenza sul clima di Parigi nel 2015. Di fatto, però, spiegano associazioni e imprese, la politica sembra non voler capire l’evoluzione dei cambiamenti climatici e dello stesso settore energetico, ma anzi sembra voler bloccare la diffusione delle rinnovabili, tanto che questi obiettivi si avvicinano o addirittura sono al di sotto delle attuali tendenze di crescita. Nel grafico in basso si può notare come senza obiettivi più ambiziosi per il 2030 la crescita delle rinnovabili rallenterà fortemente: dal 64% del periodo 2010-2020, al 14% del periodo 2020-2030 (fonte: Commissione europea).

Legambiente spiega, ad esempio, che la proposta del 27% per le rinnovabili è appena il 3% al di sopra dell’attuale trend al 2030; in questo modo la crescita delle rinnovabili si ridurrebbe dal 6,4% annuo dell’ultimo decennio ad appena l’1,4% per il periodo 2020-2030.

Stessi ragionamenti vanno fatti per i target sull’efficienza energetica. Si citano i recenti studi che hanno dimostrato come un 40% di risparmio sia, non solo ottenibile tecnicamente ed economicamente, ma anche in grado di consentire una riduzione delle importazioni del 40% del gas e del 22% del petrolio, alleggerendo la bolletta energetica europea che ormai supera i 400 miliardi di euro l’anno e magari avendo più risorse disponibili da impiegare in spese sociali vista la durissima crisi in corso.

Tra i più critici c’è Greenpeace Italia che ritiene che questo accordo rischierà di provocare un sostanziale rallentamento nella crescita delle energie pulite, favorendo la dipendenza energetica dell’Europa da fonti inquinanti e costose, invece di puntare al 100% rinnovabili. “La lotta globale ai cambiamenti climatici richiederebbe un trattamento shock, invece quello che l’UE ci propone è, al massimo, una cura a base di sali”, ha dichiarato Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.

Per il WWF Italia si tratta di un risultato debole e inadeguato. “I leader europei stanno sacrificando il nostro futuro sull’altare della politica. Il risultato di oggi sembra destinato a mantenere gli interessi acquisiti dalla vecchia economia, a spese del benessere dei cittadini e delle industrie lungimiranti. I grandi inquinatori saranno lieti, perché non è stato dato un segnale significativo per aumentare il costo dell’inquinamento”, ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia.

 “I prossimi mesi saranno cruciali per evitare le peggiori conseguenze di questa decisione – sottolinea Midulla La UE dovrà rivedere i suoi obiettivi verso l’alto, come chiediamo di fare anche agli altri paesi nell’ambito delle trattative alle Nazioni Unite. Una politica europea è necessaria, al di là degli sforzi dei singoli Stati membri, anche per evitare che i problemi di alcuni Paesi si perpetuino, invece di armonizzarsi con l’orizzonte europeo”.

Una grande occasione sprecata secondo Legambiente, perché il livello di ambizione comunitario degli obiettivi climatici ed energetici concordati, come dimostrano diverse analisi indipendenti, non è coerente con la traiettoria di riduzione delle emissioni di almeno il 95% al 2050, la sola in grado di contribuire a contenere il riscaldamento del pianeta almeno sotto la soglia critica dei 2 gradi. Legambiente ricorda che, come richiesto dal Parlamento europeo, è invece necessario definire tre obiettivi coerenti che si supportino a vicenda; obiettivi vincolanti per le rinnovabili e l’efficienza energetica sono essenziali anche per garantire la sicurezza energetica dell’Unione europea, rendendola meno dipendente dalle dinamiche geopolitiche, oltre a dare la necessaria certezza per gli investitori”.

“Siamo solo all’inizio della partita – ha detto il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – nei prossimi mesi la nuova Commissione Juncker dovrà predisporre il pacchetto di proposte legislative su cui Consiglio e Parlamento dovranno poi raggiungere un accordo”.

Quello che proprio non va a giù è il ruolo, per usare un eufemismo, marginale, del nostro governo, proprio durante il semestre di presidenza europea. In particolare le critiche sono tutte per il Presidente del Consiglio. Matteo Renzi (“abbiamo trovato un buon accordo sul clima, siamo molto soddisfatti”, ha detto oggi) aveva parlato dell’importanza della green economy in molte occasioni, soprattutto prima di diventare premier e anche durante la conferenza Onu sul clima di New York. Poi alla luce dei fatti e delle normative fin qui approvate, sotto la pressione soprattutto di Confindustria (oggi molto soddisfatta per questo accordo), quelle dichiarazioni non sono che vuoti slogan … del resto come molte altre.

Per Greenpeace “l’Italia, non è riuscita a condurre i negoziati verso obiettivi davvero ambiziosi e vincolanti per i Paesi Membri. Il governo, che persevera con una folle politica fossile, in Europa non si è mai schierato al fianco dei Paesi leader nella lotta ai cambiamenti climatici”.

«La presidenza italiana dell’UE ha avuto un ruolo decisamente anonimo”, ha detto Iacoboni di Greenpeace. “Renzi non è stato in grado di guidare l’Unione verso un accordo sul clima ambizioso, neppure a fronte delle tragedie che in queste settimane hanno colpito parte del territorio italiano. La politica fossile italiana, che vuole trivellare i mari in cerca di petrolio, non si è smentita nemmeno in Europa. Se davvero Renzi voleva tener fede alle promesse fatte all’ONU, ha fallito”, ha concluso lapidario Iacoboni.

“L’Italia si è limitata a svolgere un ruolo semplicemente notarile di presidente di turno dell’UE, cedendo alle minacce di veto britanniche e polacche. Il nostro governo ha mostrato la sua scarsa capacità di leadership e volontà politica di investire nello sviluppo di un’economia europea a basse emissioni di carbonio cedendo alla lobby del fossile”. Così il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza.

Anche tra le associazioni di categoria, oltre al commento del Coordinamento FREE che abbiamo già riportato, i pareri sono tutti negativi.

AssoRinnovabili dà un voto di “5 (su 10)” alla decisione assunta dal Consiglio Europeo. I Capi di Governo dell’Unione Europea si sono limitati al ‘compitino’, rimanendo sordi agli inviti di maggior coraggio che fino all’ultimo sono arrivati dal settore della green economy e perdendo lo slancio “rivoluzionario” che aveva caratterizzato il pacchetto “20-20-20”. Il presidente Re Rebaudengo: “la stessa Commissione ha stimato che con un obiettivo per le rinnovabili al 30% si potrebbero avere al 2030 fino a 1.300.000 posti di lavoro in più in Europa, mentre con un obiettivo limitato al 27% se ne avrebbero solo 700.000: perché rinunciare a 600.000 occupati? Senza trascurare inoltre l’aspetto strategico che le rinnovabili possono rivestire in termini di security of supply per l’UE, fattore particolarmente rilevante in seguito ai recenti sviluppi geopolitici, sia a Est che a Sud.”.

“Quello che è accaduto (definizione degli obiettivi, ndr), essendosi verificato durante il semestre di presidenza italiano è significativo del perdurare di una politica fossile nel nostro Paese”, ha dichiarato in una nota Livio de Santoli, presidente di Aicarr, l’Associazione italiana condizionamento dell’aria riscaldamento e refrigerazione.

Secondo ANEV, l’associazione dell’eolico italiana, “la presidenza italiana al semestre europeo non è stata in grado di determinare un cambio di passo rispetto alla proposta di sostegno alle rinnovabili, poco incisiva, delle istituzioni europee, nonostante i benefici economici, occupazionali e ambientali che le rinnovabili, e l’eolico in particolare, hanno portato al Paese. In assenza di target obbligatori a livello nazionale il rilancio dell’economia, dell’industria italiana e la sicurezza energetica saranno seriamente compromessi”.

Come ha dichiarato oggi Monica Frassoni, coordinatrice di Green Italia e co-Presidente del Partito Verde Europeo, constatando come il Consiglio d’Europa si sia sottomesso ai veti della Polonia su obiettivi più ambiziosi sulle rinnovabili, della Francia per le interconnessioni e del Regno Unito in materia di efficienza, “una volta avevamo il principio ‘chi inquina paga’, ora abbiamo il principio ‘chi inquina ha diritto di veto’.

Un brutto segnale, insomma, che forse dà la cifra di quanto questa Europa sia sempre più incapace di prospettare un futuro diverso per la sua comunità di cittadini e piccole e medie imprese. È un’Europa ormai vista da molti come un gendarme capace solo di attuare politiche monetarie ed economiche che chiedono sacrifici e che ci portano a convivere con una profonda recessione economica.

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