La Basilicata sottomessa al petrolio

CATEGORIE:

Con lo 'Sblocca Italia' il futuro della Basilicata si sta legando sempre più all'estrazione di petrolio. In progetto nuovi pozzi da perforare, soprattutto da parte di Eni, per incrementare la produzione di circa il 50%. L'impatto delle attività estrattive è pesante sull'agricoltura, ma anche sugli aspetti sociali e sanitari. Inoltre, dal 2000 manca una seria indagine epidemiologica .

ADV
image_pdfimage_print

Il futuro della Basilicata è sempre più legato allo sfruttamento della risorsa petrolio. Infatti, dopo gli incontri dei mesi scorsi tra il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, e il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, secondo alcune fonti locali sarebbe imminente un nuovo appuntamento. L’obiettivo – di “interesse strategico” secondo la Strategia energetica nazionale e il decreto “Sblocca Italia” – sarebbe quello di accelerare sull’aumento della produzione: dagli 85-88mila barili al giorno attuali si passerebbe ai 104mila previsti dall’accordo Eni-Regione Basilicata del 1998, per poi spingersi verso la soglia dei 129mila barili estratti ogni giorno dalla sola Val d’Agri, come auspicato dalla società di San Donato Milanese nel “Local Report 2012”.

Lo stesso varrebbe per la Total presente nell’altra valle del petrolio lucano, dove è invece in costruzione il Centro olio di Corleto Perticara, che forte degli accordi incassati nel 2006 per l’estrazione di 50mila barili di greggio al giorno, potrebbe spingersi fino ad 80mila. Per complessivi 259mila barili da estrarre quotidianamente dalle viscere della Basilicata. Poco meno di quello che il nostro Paese importava dalla Libia prima dell’inizio della guerra scoppiata nel 2011.

Al momento, tra Eni e Total, chi sta giocando la partita più grossa è la prima, che in Val d’Agri vuole portare a compimento l’aggiornamento del suo programma di sviluppo petrolifero che prevede la perforazione di nuovi pozzi. Operazioni che prima di tutto devono superare i problemi strutturali del Centro olio di Viggiano che, da gennaio, è oggetto di alcuni malfunzionamenti riconducibili a problemi di approvvigionamento elettrico. Ultimo quello del 24 settembre – uno dei quattro dal mese di agosto – che, a seguito di sopralluoghi, hanno spinto i tecnici dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse a dichiarare “lo stato di attenzione” e intimare alla società la risoluzione delle anomalie pena il fermo delle attività.

Anomalie alle quali i residenti dei piccoli nuclei abitativi adiacenti al Centro olio sono ormai abituati. “I rumori e le vibrazioni di notte sono insopportabili”, racconta Gaetano Sassano, allevatore di 49 anni, che insieme ad alcuni cittadini ha denunciato l’Eni. Gaetano vive a poche centinaia di metri da due pozzi petroliferi e a circa un chilometro in linea d’aria dall’impianto. “Vivere qui è difficile anche e soprattutto per le attività che svolgiamo”, aggiunge. Lui è un allevatore che produce latte da circa 100 capi di bestiame: 8-9 quintali al giorno, con importanti esportazioni in Germania e Stati Uniti. “Il latte è controllato, ancora non ho avuto problemi, a differenza di molti anni fa quando fui costretto a riconvertire la mia attività”.

Gaetano, infatti, prima dell’arrivo del Centro olio, insieme al padre produceva vino da quasi 6000 viti, ma a seguito dell’inizio dei lavori di estrazione è stato costretto a chiudere perché “non ne vendevo più un litro. La gente aveva paura dell’inquinamento”. La storia di Gaetano Sassano è un po’ l’esempio di come le economie locali, tipicamente l’agricoltura, hanno ceduto il passo all’attività industriale e altri casi potrebbero verificarsi con l’ampliamento del Centro olio. “Negli ultimi anni – spiega l’agronomo Terenzio Bove – è stato innescato un processo di evoluzione dell’economia non più legata alle produzioni del suolo, ma, appunto, del sottosuolo. Oltre 24mila aziende agricole lucane nell’arco di dieci anni chiudono i battenti (31,9%), con punte di circa il 60% nell’area della Val d’Agri; 25 mila ettari in meno di superficie coltivata. Valori quasi doppi rispetto ai dati regionali”.

Una vera e propria ecatombe che, insieme con le dinamiche demografiche nei comuni interessati dalle estrazioni – che, secondo l’Istat sono state peggiori che nel resto della regione: un calo della popolazione del 6,5% contro il 3,4 dei restanti comuni lucani – tracciano un quadro desolante di un territorio in cui il 25% delle famiglie rasenta la povertà.

Solo 206 residenti in Basilicata sono occupati nel Distretto Meridionale, secondo alcuni numeri forniti da Eni. Dimostrazione che il petrolio non ha portato ricchezza, ma preoccupazione per la salute e per l’ambiente, nonostante le royalties.

Lo stato di salute delle comunità

L’ultima indagine epidemiologica che ha fotografato lo stato di salute delle popolazioni residenti nelle aree interessate dalle estrazioni petrolifere risale all’anno 2000. Un progetto di supporto tecnico-scientifico e formativo allo sviluppo dell’Osservatorio epidemiologico regionale, frutto di una convenzione tra la Regione Basilicata e il Consorzio Mario Negri Sud, con l’obiettivo di implementare sistemi informativi orientati al monitoraggio sanitario delle comunità particolarmente esposte a rischi di inquinamento industriale. Le indagini, basate sulla valutazione delle schede di dimissione ospedaliera del triennio 1996-1998, utilizzabili per l’analisi epidemiologica degli eventi sentinella mediamente più gravi, riguardarono un territorio della Val d’Agri che all’epoca faceva registrare poco più di 11mila residenti.

“L’analisi condotta – come è possibile leggere nella Relazione sanitaria regionale del 2000 – mostra […] tassi di ospedalizzazione urgente per eventi sentinella cardio-respiratori mediamente più elevati rispetto all’insieme regionale”. In particolare, nell’area della Val d’Agri furono registrati tassi di incidenza da 2 a 2,5 volte superiori alla media regionale di “asma, altre condizioni respiratorie acute, ischemie cardiache e scompenso”. Risultati preoccupanti se si considera che l’aumento significativo di alcune patologie cardio-respiratorie si è verificato dopo nemmeno 3 anni dall’entrata in funzione del Centro olio Eni di Viggiano, inaugurato nel 1996. Poi nulla più.

Un vuoto epidemiologico che Giambattista Mele, medico e coordinatore dell’associazione “Laboratorio per Viggiano”, ha cercato di colmare con la Commissione di “Valutazione d’impatto sanitario” (Vis). Un progetto di vigilanza sanitaria e controllo dal costo complessivo stimato di 1.170.000 euro – che coinvolge i comuni di Viggiano e Grumento Nova, tra quelli maggiormente interessati dagli effetti pluridecennali dell’industria estrattiva – attuato dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa, in collaborazione anche con l’Istituto Superiore di Sanità e la Regione Basilicata. Ma la Commissione Vis – ufficialmente istituita nel 2009 – è ancora alla fase di screening, la prima delle 5 previste.

Le cause del ritardo andrebbero attribuite a numerose opposizioni di carattere politico che hanno portato all’esclusione di alcuni membri, compreso Giambattista Mele, animatore e promotore di quello che dovrebbe essere un organismo indipendente, fortemente orientato a far emergere l’impatto delle attività estrattive sulle comunità locali.

Invece, la Regione Basilicata con una delibera di giunta dell’11 novembre 2009 (la n.1984) approva il più costoso (2 milioni e mezzo di euro, ndr) progetto quinquennale “Salute e Ambiente”, naufragato dopo appena 2 anni e fortemente voluto dall’ex governatore Vito De Filippo, oggi sottosegretario alla Sanità del governo Renzi. Il progetto “Salute e Ambiente” nelle competenze dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) risulta essere in perfetta sovrapposizione con quello di “Valutazione d’impatto sanitario” dei Comuni di Viggiano e Grumento Nova, anche se dal Dipartimento ambiente dell’ISS ne sottolineano invece la complementarietà, rilanciando su una possibile istituzione di un “Tavolo permanente di interscambio tecnico-scientifico”.

Burocrazia, insomma. Ad oggi, uno stato di salute aggiornato della Val d’Agri non c’è. La Relazione sanitaria regionale del 2010 – redatta sui dati del triennio 2006-2009, gli ultimi disponibili – contiene solo il confronto epidemiologico tra le macro-aree Basilicata e Italia. Lo stesso vale per il Registro regionale dei Tumori, istituito solo nel 2011 e che fornisce dati del 2009. Anche questi aggregati.

ADV
×