Il problema acqua è l’altro ostacolo per lo shale gas

CATEGORIE:

Oltre ai problemi economici e di impatto ambientale, lo sviluppo degli idrocarburi da scisti potrebbe scontrarsi con un altro ostacolo: quello delle risorse idriche. Il 40% delle riserve shale si trova in aree ad alto stress idrico, nelle quali l'estrazione tramite fracking sarebbe molto problematica. Un recente report del World Resources Institute.

ADV
image_pdfimage_print

Il boom dello shale gas in cui molti confidano potrebbe scontrarsi con un altro ostacolo finora sottovalutato: quello della disponibilità d’acqua. A puntare il riflettore sul problema è un nuovo report del World Resources Institute. Uno studio che fornisce un altro argomento per raffreddare l’entusiasmo che molti nutrono verso l’estrazione di idrocarburi da scisti, che potrebbe aumentare di quasi il 50% le riserve estraibili di gas con un impatto positivo (in realtà messo in discussione da alcuni studi) anche dal punto di vista delle emissioni climalteranti, visto che il gas a basso prezzo, come accaduto negli Usa, sottrarrebbe fette di mix energetico al più inquinante carbone.

Tra i diversi punti deboli del fracking, la tecnica usata per estrarre dalle formazioni di scisti gli idrocarburi, infatti, ci sono gli enormi quantitativi di acqua necessari: per ogni pozzo circa 25 milioni di litri. Un prelievo insostenibile in molte aree in cui le risorse idriche sono limitate. Ecco dunque che il WRI con il suo nuovo report, Global Shale Gas Development: Water Availability and Business Risks (vedi link in basso), è andato a vedere se le zone del pianeta in cui sono concentrate le riserve di shale gas hanno la disponibilità di acqua necessaria ad estrarle, scoprendo che spesso non è così.

Analizzando la situazione nei 20 paesi con le più grandi riserve tecnicamente estraibili di idrocarburi da scisti, gli studiosi hanno infatti scoperto che i giacimenti nel 38% dei casi si trovano in aree soggette ad alto stress idrico. E’ il caso soprattutto delle riserve situate in Cina, Algeria, Messico, Sud Africa, Libia, Pakistan, Egitto e India (si veda mappa sotto ed elenco in fondo).

In Cina, la nazione che ha le più grandi riserve commercialmente sfruttabili di shale gas, il 60% dei giacimenti è in zone con troppa poca acqua per consentire uno sfruttamento dei pozzi che non crei problemi. Meglio va in Argentina, dove il 72% delle riserve è in aree con rischio idrico da basso a medio.

In generale – si spiega – l’estrazione di idrocarburi da scisti è vulnerabile quando l’acqua di superficie o di falda è limitata. In questi casi, dato l’enorme prelievo idrico del fracking, scatta la competizione per l’accesso all’acqua con le altre attività presenti nell’area, dall’agricoltura, all’industria, alla produzione energetica (abbiamo parlato due giorni fa di come la necessità di acqua sia un fattore limitante anche per il termoelettrico) fino al residenziale. Una competizione che potrebbe riguardare molta gente: sono in 386 milioni a vivere sopra a giacimenti di shale gas e shale oil.

Quello della disponibilità d’acqua per chi vuole estrarre gas e petrolio dagli scisti, dunque, è un problema che si associa ad altri, come la densità abitativa. Lo sanno bene nel Regno Unito, paese densamente popolato (e con il 32% delle riserve in zone ad alto stress idrico), dove l’industria dello shale si sta scontrando con un vasto movimento popolare contrario.

La scarsità idrica, d’altra parte, è solo uno dei vari ostacoli che potrebbero frenare o impedire la corsa allo shale gas. Per fare un veloce riepilogo, ricordiamo ad esempio l’aspetto economico. Come abbiamo scritto più volte, quella dello shale gas potrebbe rivelarsi una bolla: lo si capisce da quanto sta accadendo negli Stati Uniti dove i pozzi si esauriscono rapidamente e per mantenere la produzione sono necessari investimenti maggiori dei ricavi dati dalla vendita.

Ci sono poi le controindicazioni ambientali e sanitarie: si vedano le notizie di contaminazione di falde acquifere e relativi impatti sulla salute che stanno lentamente emergendo, per non parlare degli studi che hanno provato la correlazione tra fracking e lievi eventi sismici. Infine c’è l’impatto sul clima, dato soprattutto dalle fughe di metano che avvengono durante il processo di estrazione che recenti studi hanno mostrato finora erano state sottovalutate, tanto che alcuni ritengano che per il clima lo shale gas sia addirittura peggiore del carbone.

Lo studio WRI Global Shale Gas Development: Water Availability and Business Risks

ADV
×