Affari sporchi, la lobby fossile vuole il via libera per le tar sands in Europa

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Dietro i segreti negoziati della TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, agiscono anche potenti lobby delle società petrolifere e delle raffinerie che vogliono depotenziare la direttiva europea sulla qualità dei carburanti per lasciare il campo libero al commercio degli idrocarburi non convenzionali, come le sabbie bituminose canadesi. Un documento denuncia questi accordi sottobanco tra Usa, Canada e Commissione Europea.

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Pochi in Italia hanno sentito parlare dei negoziati della TTIP, la Transatlantic Trade and Investment Partnership, che alcuni chiamano anche Accordo di libero scambio transatlantico (TAFTA). Dietro questi accordi, voluti da Obama e Barroso, agiscono nel massimo della segretezza anche le potenti lobby delle società petrolifere e delle raffinerie che vogliono depotenziare la Fuel Quality Directive europea (FQD), la Direttiva 30/2009 sulla qualità dei carburanti che nasce per ridurre l’impatto ambientale di alcuni combustibili fossili utilizzati nei trasporti, particolarmente dannosi per il loro contenuto di carbonio e quindi per le emissioni di CO2 in atmosfera. Stiamo parlando di idrocarburi non convenzionali come shale oil, carbone liquefatto e sabbie bituminose. Queste ultime hanno emissioni superiori del 23% rispetto al petrolio convenzionale.

Queste lobby stanno finanziando una forte campagna contro la direttiva,che a loro giudizio andrebbe a discriminare in modo iniquo le tar sands, cioè le sabbie bituminose, considerate in quanto a valori e contenuti inquinanti in modo differente rispetto agli altri carburanti e, soprattutto, andrebbe ad ostacolare gli interessi commerciali degli Stati Uniti.

Ovviamente questa azione di contrasto è partita da subito dal governo del Canada, dove le tar sands sono presenti in quantità massiccia. Le pressioni sull’Unione Europea si sono fatte più intense in questa ultima fase anche sotto la minaccia del governo del paese nordamericano di esporre la questione davanti all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). La Transatlantic Trade and Investment Partnership, che racchiude un ampio blocco del commercio mondiale, cioè Europa e Stati Uniti, ha l’ambizione, secondo i suoi esponenti, di diventare un accordo modello per tutti i futuri accordi commerciali internazionali. Un ulteriore esempio di come le lobby fossili siano sempre pronte ad indebolire o ritardare la regolamentazione ambientale, cosa che peraltro sembra stia riuscendo. La minaccia per gli obiettivi di riduzione delle emissioni e alle aspetti sanitari e sociali del vecchio continente è evidente.

A gennaio una coalizione di Ong ambientaliste composta da Transport & Environment, Greenpeace e Friends of the Earth, aveva annunciato un’azione legale contro i ritardi della Commissione europea nell’implementazione della direttiva. Le stesse organizzazioni (oltre a Sierra Club e The Council of Canadians) hanno pubblicato da pochi giorni un breve rapporto che descrive gli accordi sottobanco di queste lobby. Si intitola “Dirty Deals” (pdf), cioè Affari sporchi, e spiega come queste trattative indirizzate dalle lobby stiano di fatto minando le politiche europee per il clima e provando a portare le inquinanti tar sands nel mercato dei carburanti del vecchio continente.

Ad esempio nel documento si denuncia come si sia scoperto, dalla visione di email e lettere, che dietro dichiarazioni di circostanza, funzionari del governo degli Stati Uniti abbiano in realtà agito in piena sintonia con gli interessi della lobby del settore, come l’American Fuel & Petroleum Manufacturers (AFPM) che rappresenta società di estrazione del petrolio e raffinerie, proprio al fine di ridimensionare l’impatto della direttiva europea, opponendosi al trattamento delle sabbie bituminose canadesi previsto originariamente dalla FQD.

Al momento sembrerebbe che la Commissione Europea abbia deciso di portare gli standard regolatori della direttiva 30/2009 sulle posizioni dell’industria petrolifera, dei negoziatori Usa e del governo canadese. La lobby sporca sta vincendo?

Sul tavolo c’è anche una proposta che darebbe alle grandi società del settore un eccessivo diritto di modellare e sfidare le normative sull’ambiente ad esempio attraverso una posisbilità di arbitrato internazionale per le controversie tra Stati e aziende (investor-to-state dispute settlement mechanism) che ha portato spesso queste ultime a citare in giudizio interi Paesi e governi, di fatto bloccati nella loro azione di protezione ambientale e sociale della cittadinanza e dei propri territori.

Secondo uno studio di una delle più importanti associazioni ambientaliste statunitensi, la Natural Resources Defense Council (NRDC), l’impatto di una mancata applicazione della Direttiva su questo aspetto significherebbe per l’UE un aumento delle emissioni di CO2 al 2020 di circa 32,5 milioni di tonnellate. Contando che un’auto in media causa emissioni per 5 tonnellate di CO2 l’anno, restare senza regole sulla qualità dei carburanti sarebbe come avere 6,5 milioni di auto in più che circolano sulle strade europee.

Come denuncia il sito italiano  “Campagna Stop TTIP”, i testi sui quali si discute per questo partneriato di libero scambio tra Usa e UE non sono accessibili. Ne possono prendere visione solo i team tecnici che se ne occupano e, per parte politica, il Governo Usa e la Commissione Ue. Nemmeno i Parlamenti e i Governi degli Stati Membri sono obbligatoriamente coinvolti e a conoscenza dell’andamento delle trattative. In teoria, per parte europea, dopo la riforma del Trattato di Lisbona, il Parlamento europeo avrà diritto a un solo voto finale, ma non di emendamento. L’obiettivo di questo sito e di coloro che si oppongono a questo negoziato è proprio quello raccogliere tutti i documenti ufficiali che realtà sociali, stampa e altre fonti dirette o indirette stanno sottraendo alla segretezza del TTIP.

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