La carbon-tax non fa male all’economia: il caso British Columbia

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Nella provincia canadese British Columbia, che l'ha introdotta dal 2008, a fronte di una riduzione del 16% dei consumi di carburanti, su Pil e inflazione le performance sono addirittura leggermente migliori del resto del Canada. Anche l'Italia, stando all'ultima legge di delega fiscale, potrebbe introdurre una tassa sulla CO2. Ma per ora tutto è bloccato.

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La carbon-tax può essere un modo efficace per ridurre le emissioni, senza frenare l’economia. La dimostrazione arriva dalla British Columbia. La provincia canadese, in contrasto con le politiche nazionale del Canada, tra le nazioni più refrattarie ad adottare serie politiche contro il global warming, già dal 2008 ha messo in campo la tassa sui combustibili fossili basata sul loro contenuto di carbonio.
Partita con circa 10 dollari canadesi per tonnellata di CO2 e cresciuta fino agli attuali 30 dollari a tonnellata (20,5 €), la carbon tax implica che i cittadini della British Columbia paghino ad esempio sulla benzina circa 7 centesimi di dollaro (quasi 5 centesimi di euro) in più come disincentivo.

Revenue-neutral, cioè compensata da tagli su altre imposte, la carbon-tax della provincia dell’Ovest, a fronte di entrate aggiuntive stimate in circa 5 miliardi di dollari canadesi per il periodo 2008-2014, ha visto il governo provinciale ridurre di un importo di 5,7 miliardi altre tasse. I prelievi fiscali sulle imprese (sullo stesso periodo) sono stati abbassati di oltre 3 miliardi; tagli per poco più di un miliardo sono stati effettuati sulle imposte sul reddito (ora per i redditi sotto ai 122mila dollari le più basse del paese), mentre un altro miliardo scarso è andato ad agevolazioni ai meno abbienti; queste ultime molto importanti per mitigare la natura sostanzialmente regressiva della misura (cioè il fatto che, mentre le imposte sul reddito sono proporzionali alla ricchezza, i 7 centesimi di carbon-tax per litro di benzina valgono per il povero come per il miliardario, pesando ovviamente in proporzione molto di più sul bilancio del primo).

Quando la carbon-tax fu introdotta in British Columbia gli oppositori avevano pronosticato che avrebbe danneggiato gravemente l’economia della provincia. Cinque anni dopo i dati mostrano che non è così: la tassa sulla CO2, mentre è riuscita nell’obiettivo di far ridurre emissioni e consumo di combustibili fossili, non ha impedito alla regione di avere performance economiche addirittura leggermente superiori al resto del Canada.

Partiamo dal primo punto: la domanda di combustibili fossili nella provincia è calata del 16%, mentre nel paese è salita del 3% (vedi grafico sotto, cortesia del sito Sightlight Daily).

Da notare, come ha dimostrato uno studio della University of Ottawa, che la carbon tax ha provocato un calo dei consumi di benzina molto superiore a quello che si sarebbe verificato con un aumento dei prezzi della stessa entità dovuto al mercato. La tassa, si spiega, ha infatti avuto un grande effetto psicologico nell’influenzare i comportamenti dei consumatori.

Quanto all’impatto economico, innanzitutto non c’è stata l’impennata dell’inflazione che alcuni temevano. Come mostra il grafico sotto, in British Columbia da questo punto di vista le cose sono andate addirittura leggermente meglio che nel resto del Canada:

Anche per quel che riguarda il Pil, la British Columbia dal 2008 in poi ha avuto risultati sostanzialmente analoghi al paese nel complesso:

Insomma la carbon-tax, se fatta bene, non fa male all’economia ed è efficace nel ridurre le emissioni. Potremmo pensarci anche da noi come metodo alternativo per sostenere la transizione energetica necessaria? Su queste pagine abbiamo pubblicato diversi interventi che caldeggiano questa soluzione (qui gli ultimi due, rispettivamente di Giuseppe Artizzu e di Michele Governatori e Edoardo Zanchini).

D’altra parte l’introduzione di una sorta di carbon-tax è già teoricamente prevista nel futuro della nostra fiscalità. Il nostro Governo, infatti, con l’articolo 15 della legge n. 23 del 2014, ha ricevuto la delega a “rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica, anche in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo”. Ciò “in conformità con i principi che verranno adottati con l’approvazione” della proposta direttiva del Consiglio europeo sulla tassazione dei prodotti energetici.

Il “maggior gettito” della revisione delle accise, continua lo stesso articolo 15 dovrà essere “destinato prioritariamente alla riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro generato dalla green economy, alla diffusione e innovazione delle tecnologie e dei prodotti a basso contenuto di carbonio e al finanziamento di modelli di produzione e consumo sostenibili, nonché alla revisione del finanziamento dei sussidi alla produzione di energia da fonti rinnovabili“.

Peccato che, mentre da una parte ancora mancano i decreti attuativi di quanto previsto dalla legge delega, dall’altro nemmeno la nuova direttiva Ue sulla tassazione dei prodotti energetici (alla quale la revisione delle accise è subordinata) è ancora stata approvata, per cui la carbon-tax italiana è destinata almeno nel breve termine a rimanere sulla carta.

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