Nuovo spalma-incentivi rinnovabili e tagli retroattivi? Una mostruosità economica e giuridica

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Per tenere fede all'impegno di ridurre del 10% la bolletta elettrica delle PMI, il Governo Renzi, tramite i tecnici del Ministero dello Sviluppo Economico sta pensando di tagliare retroattivamente del 20% la remunerazione degli impianti a fonti rinnovabili esistenti a fronte di un’estensione di 5-7 anni del periodo di incentivazione. L'ennesima bastonata al settore? Una nota di Giuseppe Artizzu.

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Il Governo Renzi vuole tagliare del 10% la bolletta delle PMI. Servono 1,5 miliardi di euro. Nel primo trimestre il prezzo dell’elettricità in Borsa è sceso del 17,8% (11,35 €/MWh) rispetto al 2013. La semplice discesa del prezzo, se non si fermasse ai grossisti e arrivasse alle utenze, conseguirebbe due terzi dell’obiettivo. Il resto potrebbe venire da minori agevolazioni ai grandi energivori.

Invece nei giorni scorsi il Ministero dello Sviluppo Economico ha bussato ai produttori da fonti rinnovabili, ipotizzando di tagliare retroattivamente del 20% la remunerazione degli impianti esistenti, a fronte di un’estensione di 5-7 anni del periodo di incentivazione (sembrerebbe obbligatoria, ndr). Ora, al costo medio ponderato del capitale (proprio e di debito) investito in fonti rinnovabili, un euro fra vent’anni vale 20-30 centesimi oggi: se parlassimo di debito pubblico, l’ipotesi si chiamerebbe prestito forzoso.

Qui non si parla infatti di mere aspettative di guadagno basate su schemi di politica industriale oggetto di ripensamento. Si parla, nella sostanza e in molti casi anche nella forma, di contratti: gli impianti sono stati realizzati perché il Governo ha deciso che erano opere di pubblica utilità e urgenza, impegnandosi fermamente a piani specifici di remunerazione. Senza l’impegno contrattuale del Governo, gli investimenti non sarebbero mai stati intrapresi.

Intervenire forzosamente sugli schemi contrattuali di remunerazione è una mostruosità senza precedenti, economica e giuridica. Una misura da economia di guerra. È inconcepibile che il Ministero si permetta anche solo di ventilarla, ignorando una serie di questioni fondamentali:

  • Al di là della propaganda interessata, sulla base di quali criteri ed analisi empiriche si ritiene che gli investimenti in fonti rinnovabili stiano generando sovraprofitti sistematici? Esiste uno studio in proposito su un campione significativo di casi reali?
  • Si è considerato l’effetto leva dell’indebitamento finanziario sulla resa del capitale di rischio? Ci si rende conto che un taglio del 20% alla remunerazione lorda porta alla decimazione del capitale proprio investito negli impianti?
  • Il Ministero ha valutato l’impatto cumulativo di misure già intraprese quali: revisione dei coefficienti convenzionali di perdita sulle reti, estensione della Robin Tax, commissioni introdotte per i servizi resi dal GSE, revisione dei coefficienti di ammortamento fiscale, inasprimento del regime IMU, introduzione di oneri di sbilanciamento, abolizione dei prezzi minimi garantiti, obblighi di retrofit per esigenze di sicurezza della rete, riforma del trattamento fiscale degli investimenti in fonti rinnovabili da parte delle imprese agricole?
  • Indipendentemente dalla legittimità e merito dei singoli interventi, quali altri settori dell’economia sono stati sottoposti ad una comparabile, disorganica grandinata di misure con effetti economici sistematicamente penalizzanti? Cosa dicono, i fatti, sull’attuale considerazione del Governo italiano per un settore che a parole dovrebbe essere strategico? È questo l’ecosistema immaginato in ‘Destinazione Italia’ per attrarre investimenti? Lo sa il MiSE che nelle rinnovabili italiane ha investito il fiore dei fondi pensione e assicurativi europei, la base della finanza ‘non speculativa’ del continente?
  • Qual è la logica, in questo momento storico, di devastare finanziariamente la filiera che negli ultimi cinque anni ha contribuito in misura maggiore alla riduzione della dipendenza dal gas di importazione?
  • Intervenendo retroattivamente, l’Italia imiterebbe la Spagna (con la prospettiva di analoghi contenziosi miliardari in ogni sede giurisdizionale). Ma la Spagna soffriva un deficit tariffario di decine di miliardi, con garanzia pubblica sui titoli che lo finanziavano. Durante la crisi del debito sovrano, la Spagna fu costretta a misure eccezionali per supportare conti pubblici a rischio default, misure che colpirono tutti gli anelli della filiera elettrica – con tagli draconiani alla remunerazione delle reti e imposte ad hoc su nucleare e idroelettrico. Il nostro sistema tariffario invece è in equilibrio; i prezzi di elettricità e gas sono già in discesa; la fattura energetica di importazione sta crollando; la cultura dell’efficienza sta riducendo strutturalmente e virtuosamente i consumi; l’industria è in lento recupero. C’è un problema localizzato di costo dell’energia, non un’emergenza, e lo stiamo affrontando. Ci sono numerosi cantieri normativi e regolatori aperti, e se ne potrebbero aprire altri, ben più ambiziosi e innovativi. In questo contesto, cosa giustifica, oggi, una misura dirompente, discriminatoria e palesemente emergenziale?

Pane al pane: finché questi interrogativi restano senza risposta, l’ipotesi del Ministero non merita neanche considerazione. Ora basta.

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