Le utility italiane nel sistema elettrico che cambia

Overcapacity, calo della domanda, irruzione delle rinnovabili e, all'orizzonte, diffusione capillare della generazione distribuita e dell'autoconsumo: il sistema elettrico italiano sta cambiando rapidamente. Come stanno affrontando la situazione le utility? Ne abbiamo parlato con Andrea Gilardoni, presidente di Agici Finanza d’Impresa.

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Il sistema elettrico in questi ultimi anni è cambiato rapidamente. Il contesto attuale, caratterizzato da una situazione di overcapacity, con calo della domanda e aumento massiccio della produzione da rinnovabili, mette in seria difficoltà chi ha investito negli impianti a ciclo combinato a gas. La maggiore penetrazione della generazione distribuita e dell’autoconsumo rischia di creare altri problemi ai grandi dell’energia convenzionale.

Come stanno affrontando il cambiamento le utility italiane? Ne abbiamo parlato con Andrea Gilardoni presidente di Agici Finanza d’Impresa che mercoledì 5 marzo a Milano presiederà il 14° Convegno dell’Osservatorio sulle Alleanze e le Strategie nel Mercato Pan Europeo delle Utilities.

Gilardoni, quali sono le direttrici fondamentali del cambiamento del sistema elettrico avvenuto in questi ultimi anni e che conseguenze si sono prodotte per le utility italiane?

Sono ben note: crescita dell’offerta sia nel gas che nelle rinnovabili (in certe fasi tumultuosa) a fronte di un tendenziale calo dei consumi a partire dal 2008 e che probabilmente ha natura strutturale e non congiunturale. Calo dovuto alla crisi, ma anche allo sviluppo dell’efficienza energetica. Tutto ciò ha fortemente impattato sulle utility italiane molte delle quali si erano pesantemente indebitate per sostenere crescite rivelatesi errate o per remunerare gli azionisti pubblici. Da qui, programmi di riduzione dei costi, di recupero dell’efficienza e crescente attenzione a non perdere clienti ma, semmai, a guadagnarne “rubandoli” agli altri. Ma non tutte le imprese sono state colpite nello stesso modo: le multiutility hanno meglio assorbito i colpi (paradossalmente grazie all’idrico e ai rifiuti); l’idroelettrico è comunque molto solido. Certo i cicli combinati sono andati in crisi.

Perché al tempo si è deciso di fare questi investimenti in cicli combinati a gas che ora rischiano di non ripagarsi? La situazione attuale di overcapacity non era prevedibile? Si sarebbe verificata anche senza il contributo delle rinnovabili, che comunque era previsto dagli impegni presi a livello europeo?

Il sistema elettrico ha sempre una certa overcapacity ai fini della sicurezza. Ma i livelli attuali, prima del 2008, erano in effetti stati ipotizzati solo in scenari ritenuti poco probabili. Più grave è stata forse l’inerzia dopo il 2008: per almeno un paio di anni tutti hanno voluto credere che la crisi sarebbe stata passeggera, tra l’altro non mettendo in conto la crescita accelerata e gli effetti dello sviluppo delle rinnovabili, ad esempio, sui picchi di mezzogiorno. Anche il sistema bancario ha una certa responsabilità. Il paradosso è che gli investimenti nei cicli combinati erano ritenuti apprezzabili per i minori impatti ambientali e le minori opposizioni sociali, per la rapidità nella costruzione degli impianti, per la relativa economicità dell’investimento e per la flessibilità delle produzioni. Ora lavorano al 30%, rischiano di non ripagarsi e non è facile pensare ad una loro conversione.

Che conseguenze ci sarebbero state per il sistema elettrico italiano se il “rinascimento nucleare” voluto dall’ultimo governo Berlusconi si fosse veramente concretizzato? Che motivazioni hanno spinto alcune utility al tempo ad appoggiare il piano atomico?

Il “piano atomico” fu prospettato dal governo Berlusconi per fronteggiare una crescita dei prezzi del gas che nel 2008 sembrava senza fine. L’idea iniziale era quella di fare pressione sui fornitori di gas affinché venissero a più miti consigli. Nel frattempo Enel aveva comprato alcune aziende all’estero con impianti nucleari e fu in un certo senso “costretta” a sviluppare una politica in tal senso. Ovvio che se il progetto si fosse realizzato si sarebbe dovuta rivedere l’intera politica energetica, tenendo conto anche delle tempistiche e del mix delle fonti. Certamente il gas ne avrebbe molto sofferto … Il referendum e Fukushima hanno definitivamente cancellato un progetto che comunque doveva essere attentamente valutato sul lato anche dei costi.

Quanti e quali capitali ci sono dietro ai massicci investimenti in centrali a gas fatti negli anni scorsi? Cosa comporterebbe per l’economia italiana, oltre che per il sistema elettrico, un eventuale fallimento di questi impianti?

Sono soprattutto le banche a soffrire, in particolare se hanno operato con project financing. Non vedo gravi impatti per l’economia italiana dalla uscita dal quadro di una serie di impianti a gas. Anzi, l’industria forse trarrebbe un sospiro di sollievo, riducendosi il divario tra domanda e offerta. Dobbiamo comunque mantenere una certa capacità di riserva e capire come effettivamente si svilupperà la domanda negli anni a venire.

Come si potrebbe gestire la crisi della generazione a gas: come dovrebbe essere disegnato un sistema di capacity payment per fare veramente gli interessi del sistema elettrico, senza rischiare di ridursi a mero paracadute per investimenti sbagliati?

Qualcuno dice: ri-nazionalizziamo. Io direi: razionalizziamo. Qualcuno pensa di spostare gli impianti in altri paesi, dove servono. Bisogna studiare se ci sono paesi più o meno vicini che potrebbero assorbire le nostre produzioni: la Turchia è un esempio ma ci vorrebbe un elettrodotto fino a lì. La vera soluzione starebbe nella riduzione del 80% del prezzo del gas e allora sì che diventerebbe competitivo! Il capacity payment non deve in ogni caso ricadere sulla bolletta. Penso che si debbano responsabilizzare i produttori di rinnovabili che potrebbero/dovrebbero stringere accordi con chi ha impianti flessibili, gas e idroelettrico, per garantire continuità/affidabilità delle forniture.

Una rete elettrica intelligente, in cui si implementino i sistemi di accumulo (oltre ad usare in maniera più efficiente quelli esistenti) e nella quale anche i piccoli impianti a rinnovabili, gestiti in forma aggregata, possano partecipare attivamente alla fornitura di servizi di bilanciamento danneggerebbe gli interessi di chi ha investito in impianti flessibili come i cicli combinati a gas? Le utility si stanno preparando ad operare in uno scenario del genere o si limitano a frenarlo?

Se il modello passato è gravemente malato, quello futuro è ancora avvolto nelle nebbie. Soprattutto sul piano della economicità: anche qui bisogna stare attenti perché investire ancora significa appesantire la bolletta ulteriormente e già siamo con una bella palla al piede.

Uno dei rapporti più noti di Agici è quello sui “costi del non fare”: sul versante elettrico, quali sono le principali infrastrutture la cui mancanza rende più inefficiente il sistema? Come cambierebbe il mercato elettrico se venissero completate o potenziate le opere di interconnessione tra i diversi mercati zonali italiani e con i mercati europei?

Il calo, crediamo, strutturale dei consumi ha cambiato un po’ il quadro. Le infrastrutture esistenti sono nel complesso adeguate. Inutile un ulteriore rigassificatore visto che già quello di Livorno non sarà utilizzato. Possono essere necessari investimenti puntuali (ad esempio collegamento con la Sicilia o sbottigliamenti vari) o anche revamping. Ma oggi sarebbe utile pensare ad una moratoria sugli investimenti per almeno un quinquennio limitandosi a quelli veramente strategici. E l’Autorità credo che sia proprio su questa linea.

Come si stanno muovendo le utility italiane sul fronte rinnovabili? La sensazione è che, almeno a livello nazionale, i grandi dell’elettricità non stiano investendo molto sulle fonti pulite: perché?

Le grandi utility locali stanno disinvestendo dalle rinnovabili perché sono indebitate, Eni non fa nulla (solo una ricerca molto futuribile con l’MIT), Enel Green Power sta aumentando gli investimenti all’estero e fuori dall’Europa. Così fanno anche altre grandi utility: il mercato mondiale delle rinnovabili continuerà a crescere, quello europeo molto meno anche se credo che il venire meno degli incentivi rallenterà ma non ucciderà il mercato.

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