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FV e sistemi di accumulo: cosa si sta facendo in Italia?

In Italia costi alti e normativa ancora da definire frenano per ora il boom delle batterie, soluzione ideale per massimizzare l'autoconsumo da fotovoltaico. Ma ce chi ha già iniziato a muoversi. Un viaggio nell'Italia dello storage domestico, tra inverter intelligenti, batterie abbinate a sistemi di domotica e accumuli collegati a impianti FV che non immettono in rete.

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La fase uno della rivoluzione energetica mondiale si può dire sia consistita nell’inserire a forza, grazie a finanziamenti pubblici, una quota di nuove fonti rinnovabili nei vecchi sistemi elettrici. Scopo, abbassarne i costi industriali delle fonti pulite e dimostrare che il vecchio mantra “non potranno che essere fonti marginali” non aveva fondamento. La fase due consisterà nell’adattare le reti elettriche, in modo che possano funzionare con percentuali crescenti di fonti non programmabili, come il solare e l’eolico, superando progressivamente il bisogno del back up da parte di fonti fossili. Tecnologia simbolo di questa nuova fase sono gli accumuli di elettricità.

Questi, nella forma di batterie collegate alla rete, secondo un studio pubblicato a fine dicembre dalla società di ricerche IHS, conosceranno un vero boom, salendo da una installazione di circa 200 MW nel 2013, a una di 6 GW nel 2017, per arrivare nel 2020 a 40 GW di potenza totale installata nel mondo. Parte di queste batterie si useranno per rendere programmabile la produzione di grandi impianti eolici o FV (in California si stanno già introducendo obblighi a riguardo e in Italia servirà per far accedere questi impianti al futuro mercato del dispacciamento), parte serviranno per evitare sovraccarichi in tratti sensibili delle reti (come sperimenta Terna in Italia), e parte finirà nelle case e nei capannoni, per massimizzare l’autoconsumo di energia fotovoltaica, rendendo disponibile di notte quanto accumulato di giorno.

La cosa sembra allettante per gli utenti del fotovoltaico, ma in Italia per ora tutto sembra tacere. O quasi. “Nel rapporto che abbiamo fatto per l’Energy & Strategy group del Politecnico di Milano (vedi qui, ndr) – spiega a QualEnergia.it l’ingegner Simone Franzò – abbiamo analizzato tecnologia e convenienza dello storage concludendo che è proprio l’uso a livello di utenti finali ad avere più possibilità di crescita nel prossimo futuro, anche se, al momento, il costo dei piccoli accumulatori è ancora troppo alto per garantire, in assenza di incentivi specifici come quelli tedeschi, un recupero dell’investimento in tempi appetibili per le famiglie e ancor meno per le imprese. Ma il prezzo delle batterie, anche grazie alle auto elettriche, sta scendendo, e la soglia della convenienza la si dovrebbe raggiungere entro 2-3 anni”.

Conferma Marco Pigni di Fiamm, il più grande costruttore italiano di batterie: “E’ vero, i costi sono ancora alti, tanto che per adesso abbiamo venduto le nostre batterie zebra al sodio-nickel, che offrono le stesse prestazioni del litio, ma usando materiali meno rari e più sicuri, solo a Terna e per sistemi staccati dalla rete o con rete poco affidabile. Ma l’aumento della nostra produzione dovrebbe portare a un calo drastico dei prezzi, del 30-50% entro 3-4 anni, e allora recuperare il prezzo dell’accumulatore tramite il maggior autoconsumo dovrebbe richiedere meno di 10 anni”.

Ma a frenare l’uso di batterie sono anche le incertezze normative. “Il GSE ha escluso la possibilità di usare sistemi di accumulo per gli impianti FV incentivati – ricorda Luca Zingale, direttore scientifico di Solarexpo-The Innovation Cloud – mentre per il nuovo si attende da anni un regolamento tecnico. A dicembre l’Aeeg ha presentato una bozza di consultazione, che dovrebbero portare a una normativa entro il 2014. Per questo il mercato italiano dei piccoli accumuli per ora è quasi fermo. Nonostante ciò a Solarexpo-The Innovation Cloud 2013 si sono già viste varie proposte di storage e ancora più numerose se ne vedranno quest’anno, dal 7 al 9 maggio a Milano. Sono sicuro che la possibilità di abbinare batterie e solare avrà un grande successo in Italia, paese dall’elettricità molto cara, rendendo più conveniente l’installazione nei tanti casi in cui l’utente è fuori casa durante il giorno, e aiutando, con l’aumento della quantità di energia risparmiata, quelle imprese che sceglieranno i SEU come mezzo per tagliare il costo dell’energia. Non trascuriamo poi la componente psicologico-politica dell’accumulo, che molti aspettano come mezzo per rendersi il più possibile indipendenti dalle grandi società energetiche”.

In realtà c’è chi non ha atteso le normative: “E’ dal 2009 che, con la collaborazione dell’Università di Ancona – racconta a Qualenergia.it Roberto Mattioli, dirigente vendite dell’anconetana Energy Resources – stiamo sperimentando, con ottimi risultati, sistemi di accumulo in famiglie e aziende. Il nostro approccio è stato quello di inserirli in un quadro complessivo fatto anche da impianti a rinnovabili, efficienza energetica, domotica e mobilità elettrica. Paradossalmente, però, ora che abbiamo il know-how e i dati della ricerca, la crisi del settore, la stretta creditizia e l’incertezza normativa, ci rendono difficile procedere con lo sviluppo dei prodotti”.

Il gigante Power One, secondo costruttore mondiale di inverter, non ha evidentemente di questi problemi. “Tra sei mesi – ci spiega Paolo Casini, direttore marketing dell’azienda che ha la sua sede principale in Toscana – metteremo in vendita il nostro nuovo inverter per fotovoltaico da 3,6 e 4,6 kW, con accumulo modulare al litio da 2, 4 o 6 kWh, secondo necessità. Il suo uso dovrebbe già essere conveniente in Italia, Germania e Gran Bretagna, dove, l’alto e crescente costo dell’elettricità, sui 20 anni di vita di un impianto, e con un cambio delle batterie dopo 10, dovrebbe assicurare una redditività media del 5-6%. Naturalmente, all’inizio, contiamo di venderne soprattutto in Germania, grazie agli incentivi, ma siamo sicuri che appena le normative saranno pronte e magari i prezzi degli accumulatori, che costituiscono il 70% del costo di questo prodotto, scenderanno, saranno richiesti anche in Italia. Per una nostra famiglia media, infatti, già la versione da 2 kWh, dovrebbe consentire di passare da un autoconsumo medio del 30% a uno del 70%, velocizzando di molto il recupero dell’investimento. Soprattutto se, come nel nostro caso, il sistema di accumulo contiene anche software per ottimizzare l’uso dell’elettricità durante la giornata, per esempio dialogando con elettrodomestici intelligenti e programmando il loro uso in base anche alla prevista produzione solare”.

Ma esiste anche una soluzione di accumulo, che aggira ogni problema normativo. Ci hanno pensato sia Solon Italia che Albasolar, un’azienda piemontese di impianti fotovoltaici. “Da alcuni mesi – ci racconta Alberto Giacosa di Albasolar – stiamo offrendo sistemi di accumulo abbinati ai nostri impianti, dove i pannelli ricaricano la batteria, ma non immettono elettricità in rete. Finché la batteria è carica l’utente usa la sua energia, quando questa termina si apre il collegamento alla rete. E’ un sistema che interessa chi consuma molto in ore non diurne”.

Soliberty di Solon, presentato a ottobre, si basa su un concetto simile, con batterie al piombo (meno care di quello al litio, ma anche meno longeve) da 3,3 fino a 10 kWh, utilizzabili sia da chi ha impianti incentivati (con accumulo che fa da back up alla rete di casa), che nuovi (con accumulo connesso direttamente ai pannelli). Alla Solon promettono di far aumentare l’autoconsumo dell’elettricità solare fino al 90%, senza immissione in rete dalle batterie. Il lato negativo di questi sistemi è che l’eventuale eccesso di elettricità solare, se la batteria è già carica, non può essere venduto in rete. Ma è uno svantaggio che può essere mitigato dalla giusta combinazione di potenza dell’impianto solare e capacità dell’accumulatore.

 

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