Incentivi al biometano: “muoveranno investimenti per 2 miliardi nei prossimi 5 anni”

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Il decreto che stabilisce regole e incentivi per immettere in rete o usare come carburante il biometano apre prospettive interessanti per le aziende agricole italiane. Una buona opportunità soprattutto per produrre biogas da trasformare in metano da autotrazione. Ne abbiamo parlato con Stefano Bozzetto dell’European Biogas Association.

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Il decreto per il biometano è stato pubblicato in Gazzetta ieri dopo circa due anni di attesa. L’interesse nel mondo delle rinnovabili, ma anche in quello dell’agricoltura, è comprensibilmente alto. Dei nuovi incentivi per il ‘metano rinnovabile’ (che abbiamo sintetizzato qui allegando il testo del provvedimento) si è parlato lunedì a Bologna in un affollato convegno promosso dal Consorzio Italiano Biogas (CIB), a cui hanno partecipato oltre 400 operatori dell’industria, dell’agricoltura e della ricerca. A margine dell’incontro abbiamo parlato con Stefano Bozzetto, rappresentante italiano dell’European Biogas Association.

Bozzetto, finalmente il biometano italiano può contare su un sistema di regole e di incentivi per l’immissione in rete e l’utilizzo come carburante da autotrazione, cosa pensa di questo decreto giunto dopo un’attesa così lunga?

Il ritardo nell’approvazione del decreto non è dovuto tanto a un’inerzia della burocrazia, ma a una visione riduttiva delle rinnovabili, viste come un obbligo da raggiungere al minor costo. Il tema dei costi prevale nel dibattito sino a dubitare sulla possibilità stessa di promuovere le filiere. In questo clima è stato approvato un decreto che a differenza di quanto avviene Oltralpe non riduce i costi di upgrading e immissione in rete del biometano, che restano a carico dei produttori, e prevede una feed in tariff a carico della tariffa del gas, con livelli di incentivo molto bassi.

La partita più interessante vedendo i nuovi incentivi sembra giocarsi sul fronte carburanti per autotrazione.

Certo, la maggiore attenzione è sul mercato dei biocaburanti attraverso il sistema dei certificati di immissione, al fine di sostituire con un biocarburante made in Italy quanto già oggi i consumatori pagano per l’acquisto di biodiesel ed etanolo prodotti altrove. In questo modo il biometano non comporterà alcun costo aggiuntivo ai consumatori di quelli già previsti dalla SEN per il raggiungimento del 10% di biocarburanti al 2020.

Dunque ci sono i margini economici per far partire una filiera del biometano?

Io credo di sì, a condizione che ci sia la volontà di non creare pastoie burocratiche, trabocchetti, ma anzi vi sia la volontà di migliorare alcuni aspetti attuativi del decreto. Lo capiremo nelle prossime settimane quando alcuni regolamenti attuativi dovranno essere pubblicati per permettere al GSE di qualificare i primi impianti. Ma, se la volontà continuerà a essere quella che ha permesso la pubblicazione del Decreto, possiamo farcela ad avere i primi investimenti operativi entro i prossimi 12 mesi.

Si possono azzardare delle stime sulle dimensioni del mercato potenziale?

Stimiamo un potenziale di 1-2 miliardi di investimenti nei prossimi cinque anni. Saremo allora tra gli ultimi ad arrivare ad avere anche nella rete del gas una componente rinnovabile, ma è anche vero che il 77% dei veicoli a gas naturale che circolano in Europa sono italiani; e italiani sono il 5% dei veicoli che circolano nel mondo. Abbiamo insegnato al mondo ad andare a metano, possiamo farlo anche con il biometano.

Quali vantaggi può dare il biometano al paese?

I vantaggi saranno molteplici. Metano e biometano migliorano in modo sensibile la qualità dell’aria delle nostre strade e riducono le emissioni di gas serra in modo consistente. Caso unico tra le rinnovabili, con il biometano il consumatore da subito potrà risparmiare sino al 50% dei costi pagati alla pompa. La filiera industriale del biometano poi è molto estesa, dalle macchine agricole alla componentistica per l’industria del gas, ai veicoli a gas metano: sono settori in cui l’industria è già molto orientata all’esportazione. Il biometano potrà aumentare la gamma di prodotti che la nostra industria potrà esportare in mercati mondiali in rapida crescita. La sfida è questa: produrre più metano con tecnologie made in Italy. Non solo risparmio per i consumatori, dunque, ma anche occasione per nuovi investimenti in ambito agricolo e industriale. Adesso viene il momento di agire e dimostrare che le rinnovabili non sono solo un costo, ma soprattutto una occasione di sviluppo economico e di creazione di greenjob.

I biocarburanti – biogas e biometano compresi – sono però piuttosto controversi dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Certe coltivazioni e certe filiere sono addirittura controproducenti dal punto di vista della riduzione delle emissioni e c’è poi il problema del consumo di suolo indiretto, il cosiddetto ILUC, e della competizione con le produzioni alimentare, che può fare notevoli danni socio-economici. Come difendersi da possibili impatti negativi dello sviluppo del biogas?

Efficienza energetica, mobilità elettrica e biocarburanti sono soluzioni complementari ma indispensabili per una transizione dalla dipendenza del petrolio nei trasporti. Negare ai biocarburanti la possibilità di svilupparsi significa solo favorire lo status quo, e le Big Oil hanno potenti uffici stampa. L’ILUC è una teoria econometrica non dimostrata e soprattutto inadeguata a favorire migliori politiche. L’1% dei suoli agricoli è utilizzato a fini agroenergetici, e quest’anno con raccolti di cereali record a livello mondiale e con la concomitante riduzione del 20% dell’obbligo dell’etanolo, il prezzo del mais è crollato del 40% rispetto al 2012. Con questi prezzi in Italia non paghiamo i costi di produzione. Non si può parlare indistintamente di biocarburanti senza essere capaci di valutarne la loro efficacia in termini di uso del suolo e di riduzione le emissioni di carbonio. Il “biogasfattobene” prodotto in ambito decentrato alla scala dell’azienda agricola in grado di riciclare i nutrienti in loco, prodotto utilizzando biomasse locali che non competono con le produzioni foraggiere e alimentari, è non solo un’occasione di produzione di energia rinnovabile ma una occasione irripetibile per migliorare la sostenibilità ambientale dell’agricoltura e della zootecnia, che ricordo sono responsabili per oltre il 20% delle emissioni di gas serra. Cosa c’è di meglio di un agricoltura che si rende indipendente dai carburanti e concimi di origine fossile e ripristina il ciclo della sostanza organica nei terreni anche ove non v’è più zootecnia?

Cosa significa questo per l’agricoltura nazionale?

Il biogas italiano, quello fatto bene, dimostra che si può produrre energia migliorando la competitività e sostenibilità delle aziende agricole, permettendo loro nel contempo di produrre di più e meglio prodotti agricoli di qualità. E per farlo sempre meglio è necessario continuare ad avere una stretta collaborazione tra agricoltura e industria italiane. Il lavoro di squadra paga, lo sviluppo del biometano è la sfida che apre nuovi mercati.

 

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