Risorse, energia, economia: la via circolare per uscire dalla crisi

Uscire dalla e ripensare i paradigmi dell’economia occidentale: da un modello lineare ad uno circolare. Progettando i beni in modo da creare un ciclo chiuso di risorse e trasformando i consumatori in utenti, l'industria manifatturiera europea può risparmiare 700 miliardi $ l'anno, a beneficio di ambiente, innovazione ed occupazione.

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La crisi recessiva che ha colpito tutto il mondo “sviluppato” deve rappresentare anche un’occasione per ripensare i paradigmi che dominano l’economia occidentale. In questo contesto, caratterizzato anche da una continua crescita dei prezzi delle materie prime e dei combustibili fossili, appare del tutto insufficiente lo sforzo per minimizzare gli sprechi di energia e di risorse. Negli ultimi anni è stato messo a fuoco un concetto, quello di “economia circolare”, che descrive in modo preciso e dettagliato – almeno dal punto di vista teorico – i passi da compiere per una riforma sostenibile della produzione di beni e servizi (si veda il rapporto “Toward a Circular Economy: economic and business rationale for an accelerated transition”, a cura della Ellen Macarthur Foundation – 2012). Non solo: ci sono aziende che hanno intrapreso questo cammino con convinzione, dimostrando l’effettivo valore pratico, oltre che teorico, dell’economia circolare.

La crisi dei consumi non può farci dimenticare che – dall’inizio della Rivoluzione industriale – i Paesi sviluppati hanno beneficiato di un’impressionante aumento della capacità produttiva e quindi della disponibilità di beni di consumo. Nel corso del XX secolo, il prodotto interno lordo globale è cresciuto di oltre 20 volte; nei Paesi che ne hanno beneficiato, questa crescita ha generato una notevolissima ricchezza diffusa. Alla base del prepotente sviluppo occidentale c’è un modello di produzione ad alta intensità di energia e di risorse naturali che può essere definito “lineare”, dove i prodotti industriali derivano da uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali che – al termine del ciclo di vita dei beni – diventano rifiuti.

I concetti di riuso e di rigenerazione, centrali in un’economia di sussistenza, sono stati a lungo abbandonati a favore del modello lineare “prendi-usa-getta”. Ancora oggi circa l’80% dei materiali a fine vita finisce in discarica o in un inceneritore. Gli innegabili benefici del modello lineare hanno costi “esterni” particolarmente elevati, finora ignorati o tollerati. Tuttavia questo quadro sta entrando in crisi a causa dei prezzi in aumento delle risorse naturali, oltre che dei costi dello smaltimento dei rifiuti. La tendenza al recupero dei materiali è ancora troppo contenuta, soprattutto a fronte della prevista espansione della platea mondiale di consumatori, dovuto all’aumento della classe media con capacità di spesa (basta considerare i  3 miliardi di abitanti dei BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Mantenendo inalterato il modello lineare di produzione e consumo, la pressione ambientale crescerebbe a dismisura, con effetti ecologici ed economici potenzialmente devastanti.

Il sistema economico mondiale, secondo un rapporto di PriceWaterhouseCoopers, consuma annualmente circa 65 miliardi di tonnellate di materie prime, e in prospettiva nel 2020 arriverà a utilizzarne 82 miliardi. In passato la discesa dei prezzi delle risorse naturali ha supportato la crescita economica nelle economie avanzate e, anche per questo motivo, il loro recupero non è mai diventato una priorità economica. L’efficienza nei cicli produttivi è stata perseguita soprattutto riducendo i costi del lavoro (oltre che trascurando le cosiddette “esternalità”).

Tuttavia dal 2000 i prezzi delle risorse naturali sono in costante ascesa: nel McKinsey’s Commodity Price Index 2011, la media aritmetica dei prezzi dei sub-indici riferiti a quattro commodity (alimentari, prodotti agricoli non alimentari, metalli ed energia) si colloca al livello più alto del secolo. E i segnali fanno ritenere che la scarsità di risorse e la volatilità dei prezzi siano destinate a permanere, se non ad aggravarsi. Nel loro complesso, tali dinamiche mettono in tensione il tradizionale modello lineare.

L’economia circolare nasce per dare risposta a queste criticità ed è basata – in modo intenzionale e progettuale – su recupero e rigenerazione dei prodotti e dei materiali. Risultati che possono essere ottenuti solo attraverso un re-design di sistema, che rivisiti prodotti, processi produttivi, modelli di business. Uso e consumo dei materiali debbono essere distinti: l’enfasi è su un modello di “servizio funzionale” in cui produttori e distributori, invece di cedere la proprietà dei loro prodotti, agiscono come service provider. Alla base di questa rivoluzione produttiva, alcuni semplici concetti, mutuati anche dai cicli organici:

  • rifiuti zero: l’economia circolare tende a eliminare la produzione di rifiuti, grazie al reinserimento dei cicli naturali dei componenti biologici e al recupero dei componenti tecnici di un prodotto. È un’ambizione che si spinge oltre i concetti di riciclaggio e recupero. Si tratta piuttosto di pianificare il ciclo di vita dei componenti durevoli e dei componenti di consumo di un prodotto;
  • energie rinnovabili: per alimentare l’economia circolare, l’energia dovrebbe provenire da fonti rinnovabili, al duplice scopo di ridurre la dipendenza da risorse naturali e aumentare la resilienza dei sistema (per esempio a shock energetici);
  • utilizzatori, non consumatori: è necessario sviluppare un “nuovo contratto” tra le imprese e i loro clienti basato non più sulla vendita dei prodotti, ma sull’erogazione di servizi basati su beni durevoli, recuperabili, rigenerabili, che possano essere ceduti in possesso, affittati, condivisi. Nel caso debba essere ceduta la proprietà, ne viene incentivato il recupero al termine del periodo di uso primario;
  • approccio sistemico: ponendo maggiore attenzione ai flussi e alle connessioni, piuttosto che ai singoli componenti, è più facile aumentare la capacità rigenerativa del sistema produttivo.

La “regola d’oro” dell’economia circolare fa riferimento alle “potenzialità del circolo più stretto”: meno un prodotto deve essere cambiato per il suo riuso o rigenerazione, più velocemente torna in uso, più alto è il potenziale di risparmio. I processi di riciclo tradizionali sono “laschi”, ovvero basati su cicli inversi lunghi che riducono l’utilità dei materiali al loro livello più basso, disperdendo buona parte del valore aggiunto. Un altro meccanismo fa riferimento alla massimizzazione del tempo in cui la risorsa rimane in un circolo e alla massimizzazione del numero di circoli consecutivi (sotto forma di riuso/rigenerazione dei prodotti o di semplice riciclaggio dei materiali).

Un terzo meccanismo si riferisce al potenziale degli “usi a cascata”. L’esempio classico è quello dei prodotti tessili in cotone, che possono essere dapprima riutilizzati per confezionare abiti, poi utilizzati nell’arredamento e più tardi nell’edilizia (per l’isolamento termico e acustico) per ritornare, infine, nella biosfera. Un’ultima potenzialità risiede nella capacità di progettare prodotti che permettano flussi di materiali “puri”, non tossici e facili da separare: ciò consente un significativo aumento dell’efficienza dei processi di recupero.

La razionalità economica ed ecologica dell’economia circolare non è di per sé sufficiente a determinarne il successo. Cosa serve affinché la rivoluzione prenda piede? Va detto anzitutto che ogni prodotto/business ha le proprie specifiche caratteristiche e non esiste una ricetta sempre valida. Tuttavia, possono essere individuate quattro categorie di elementi critici:

  • design di prodotto: in tutti i casi di successo, miglioramenti nelle fasi di design del prodotto e accurata selezione dei materiali hanno portato a significative riduzioni dei costi associati all’attivazione di cicli inversi sempre più stretti, senza compromettere l’integrità e la qualità complessiva dei prodotti. Oltre alla scelta dei materiali, è premiante l’adozione di componenti modulari e standardizzati, e un accurato design per il disassemblaggio. Allo stato attuale sono ancora sottoutilizzati i principi della separazione dei nutrienti tecnici da quelli biologici e l’eliminazione di sostanze tossiche dai prodotti e dai processi produttivi;
  • nuovi modelli di business: design dei servizi e formule di business più attraenti sono essenziali per il successo dell’economia circolare. I prodotti devono diventare “miniere”, da cui continuare ad attingere. È necessario passare da modelli di business basati sulla proprietà del bene da parte dell’acquirente a quelli basati sull’utilizzo e sulla performance (leasing, noleggio, ecc.);
  • cicli inversi e usi a cascata: senza sistemi di trattamento e raccolta efficienti, la perdita di risorse e materiali continuerà minando le fondamenta del design circolare. È necessario migliorare le abilità e le infrastrutture che permettono di chiudere il cerchio;
  • altri fattori abilitanti: affinché il riuso dei materiali e una più elevata produttività diventino tanto comuni quanto lo sono oggi i rifiuti, i meccanismi di mercato dovranno essere supportati da politiche, azioni formative ed educative, dalle istituzioni finanziarie.

I risultati delle analisi e simulazioni svolte da McKinsey per la Ellen Macarthur Foundation mostrano che l’approccio circolare può portare a significativi miglioramenti nella produttività dei materiali e può essere realmente profittevole per le imprese. Ma vantaggi e benefici non si limiterebbero alle imprese, avendo un effetto sistemico e generando un impatto positivo sull’intero sistema economico, inclusi i consumatori/utenti finali.

Il sistema economico potrebbe beneficiare di un sostanziale risparmio di materiale netto con conseguente abbassamento del livello di volatilità dei prezzi e dei rischi di fornitura. In Europa il potenziale di risparmi si aggira nell’ordine dei 700 miliardi di dollari all’anno: solo nel mercato dei prodotti di largo consumo, l’economia circolare potrebbe permettere ben 630 miliardi di dollari all’anno di risparmi, cifra pari al 23% dell’attuale spesa per le materie prime e a circa il 3,5% del PIL europeo del 2010.

Non solo: un’economia centrata sull’utente vedrebbe aumentare i tassi di innovazione, occupazione e produttività del capitale (tutti fattori moltiplicatori a loro volta), promuovendo uno spostamento verso il settore terziario (servizi). Verrebbero ridotte le esternalità negative (risultato dell’avere meno materiali in circolo). Tale riduzione sarebbe maggiore di ogni possibile miglioramento incrementale di efficienza all’interno del sistema attuale.

Infine aumenterebbe la “resilienza” del sistema: la capacità di reagire a shock di ogni tipo (fattori geo-politici, climatici, ecc.). Un modello, dunque, che mostra come la sostenibilità e il risparmio possano rendere più competitive le aziende e le nostre economie sulla base di competenze, innovazione ed efficienza nell’uso delle risorse.

L’articolo è stato pubblicato sul n.4/2013 della rivista bimestrale Qualenergia, con il titolo “Il circolo dell’economia”.

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