Carbone prima fonte mondiale al 2020?

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Secondo uno studio della società di consulenza Wood Mackenzie presentato ieri, nel 2020 il carbone diventerà la prima fonte energetica globale, superando anche il petrolio. Una previsione che si spera non si avveri.

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Nel 2020 il carbone diventerà la prima fonte energetica globale, superando anche il petrolio. La previsione arriva da uno studio della società di consulenza Wood Mackenzie, presentato ieri al XXII World Energy Congress di Daegu, in Corea del Sud. Entro la fine del decennio, si stima, il consumo di energia prodotta da questa fonte micidiale per il clima crescerà del 25% a 4,5 miliardi di tep, contro i 4,4 miliardi di tep del petrolio.

Ad aumentare drasticamente sarà soprattutto la domanda di Paesi come Cina e India, mentre i consumi di Europa e Usa rimarranno stabili. La metà della capacità installata da Pechino tra il 2012 e il 2020, prevede il report, sarà alimentata dal carbone e il colosso asiatico, da solo, sarà responsabile di due terzi dei progressi mondiali.

Uno scenario potenzialmente disastroso: il futuro del carbone, salvo ormai poco probabili progressi tempestivi nella tecnologia della cattura della CO2, è incompatibile con quello del pianeta. Oltre che per i costi sanitari ed ambientali (ogni mille miliardi di chilowattora prodotti da carbon causano 170.000 morti, contro i 36.000 del petrolio, i 4.000 del gas e i 150 dell’eolico, stima l’OMS) per il pesantissimo impatto sul clima: già ora il carbone è responsabile del 43% delle emissioni mondiali di CO2 e stando alla letteratura scientifica (si veda studio del Potsdam Institute), se bruciassimo anche solo da un terzo alla metà delle riserve provate di questo minerale ci giocheremmo ogni possibilità di far rimanere il riscaldamento globale sotto la soglia critica dei 2° C.

Segnali che le cose possano andare in maniera diversa da come previsto da Wood Macanzie per fortuna ce ne sono: se in Europa è probabile che questa fonte lungi dal rimanere stabile, subisca un progressivo declino nei prossimi anni (vedi qui), anche in Cina la sua crescita sta rallentando.

Come abbiamo raccontato (vedi qui), Pechino sta frenando sul carbone (e spingendo sulle rinnovabili) perché ci si sta rendendo conto degli altissimi costi sanitari di cui la fonte è responsabile (ben il 7,1% del Pil secondo uno studio del 2008). A questo si aggiunge il problema delle risorse idriche: il grande fabbisogno d’acqua del carbone si sta rivelando un serio problema (QualEnergia.it, La Cina e lo stress idrico da centrali a carbone )

Simile la situzione in India. Qui il piano per costruire 455 nuovi impianti, riporta un articolo di Yale Environment 360, si scontra con la limitatezza delle riserve di carbone: il paese dovrà andare ad importare carbone a caro prezzo o scavare in territori che ospitano popolazioni tribali e riserve naturalistiche, superando una forte opposizione.

Insomma, speriamo che Wood Mackenzie si sbagli.

 

 

 

 

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