Obama si gioca la faccia sul progetto dell’oleodotto Keystone

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Contro la realizzazione del controverso oleodotto si schiera anche Al Gore. L'amministrazione Obama è davanti a un banco di prova e l'approvazione o meno della grande infrastruttura, che dovrebbe portare il petrolio 'sporco' verso il Golfo del Messico, sarà un segnale alla nazione e al mondo sulle sue politiche contro il global warming.

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Anche Al Gore si scaglia contro il progetto di costruzione del Keystone pipeline, l’oleodotto che dovrebbe trasportare il bitume liquefatto estratto dalle sabbie dell’Alberta (Canada) fino alle raffinerie del Texas e del Golfo del Messico. La settimana scorsa, l’ex vice presidente degli Stati Uniti, convinto sostenitore delle battaglie contro i cambiamenti climatici, ha espresso la speranza  che il presidente Obama segua l’esempio della British Columbia, il distretto del Canada che ha di recente respinto un progetto simile. “Spero vivamente che (Obama) porrà un veto su quel progetto, ora che i canadesi hanno pubblicamente concluso che far passare un oleodotto attraverso la British Columbia fino ad arrivare ai porti sul Pacifico non è sicuro”, ha detto Gore in un’intervista al quotidiano The Guardian.

L’amministrazione Obama è consapevole di essere davanti a un banco di prova. Dopo il discorso di insediamento di gennaio, quando Obama aveva dichiarato che combattere i cambiamenti climatici è un dovere morale della nazione, poco è stato fatto in concreto e il mondo ambientalista sta diventando impaziente. Per cercare di tenere fede alle promesse e di placare gli animi degli ecologisti, l’amministrazione ha annunciato che a giorni verrà reso pubblico un attesissimo pacchetto di politiche per la mitigazione dei cambiamenti climatici e la riduzione dei gas serra. Ma ancora nulla si sa sulle intenzioni rispetto al controverso progetto dell’oleodotto che, secondo gli oppositori, rischierebbe di far aumentare l’utilizzo del petrolio da sabbie bituminose.

Di certo, più che i rischi reali di questo progetto, a preoccupare e far discutere è il segnale che la realizzazione dell’oleodotto manderebbe alla nazione e al mondo: da un’amministrazione che si è detta decisa a combattere il climate change non ci si aspetta certo l’approvazione di una mega infrastruttura intesa a facilitare lo sfruttamento di una risorsa ad alto impatto ambientale come il petrolio da sabbie bituminose.

L’oleodotto dovrebbe trasportare circa 830.000 barili al giorno attraverso un percorso di 1.700 miglia che toccherebbe sei Stati. Ma se gli ambientalisti ritengono che costituisca una minaccia al territorio e alle riserve idriche del paese, l’industria petrolifera sostiene che la realizzazione del progetto creerebbe migliaia di posti di lavoro e darebbe una spinta al processo per il raggiungimento dell’indipendenza energetica degli Stati Uniti. E mentre il Dipartimento di Stato sta ancora valutando gli impatti del progetto sulla base delle ricadute economiche, delle relazioni commerciali con il Canada oltre che dei fattori ambientali, la TransCanada, l’azienda che dovrebbe realizzare l’oleodotto, continua a dirsi convinta che alla fine il progetto riceverà il via libera. E tuttavia la società sembra essersi messa sulle difensive: di recente, infatti, la TransCanada ha assunto un esperto di comunicazione con l’incarico di rendere più incisivi i contenuti del proprio blog.

Gli ambientalisti hanno letto questa mossa come un segnale che le campagne contro l’oleodotto stanno avendo successo: “Il fatto che stiano giocando in difesa sui mezzi di comunicazione significa che il nostro messaggio sta arrivando a destinazione – ha detto Erich Pica, presidente di Friends of the Earth – Nel loro tentativo finale di spingere per l’approvazione, ha senso che si concentrino di più sul blog e su una più ampia comunicazione mediatica”. E tuttavia l’amministrazione finora sembrerebbe più orientata a un’approvazione che non al veto. Non soltanto Obama ha già dato l’ok alla sezione meridionale dell’oleodotto, ma da una prima bozza delle valutazioni del Dipartimento di Stato si evince che è opinione della commissione che, con o senza oleodotto, il petrolio estratto dalle sabbie bituminose del Canada troverebbe una sua strada verso gli Stati Uniti. Come a dire che le relazioni internazionali e la necessità di mantenere dei buoni rapporti commerciali con i vicini sono al di sopra delle preoccupazioni ambientali.

I risultati delle analisi del Dipartimento di Stato sono attesi nel giro di poche settimane, mentre il governo dovrebbe prendere una decisione finale entro l’autunno. Ma è chiaro che a determinare gli umori non sarà soltanto la decisione sul Keystone pipeline, ma la complessiva politica ambientale dell’amministrazione. Come ha ricordato Josh Freed, direttore del gruppo di area democratica Clean Energy Program at Third Way, “Il Keystone è una battaglia, ma la guerra è il clima”. 

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