Car sharing: l’auto condivisa cambia pelle

Un settore ancora piccolo ma che sta vivendo un momento di vivacità e sconvolgimenti. Ora si affaccia un nuovo modello di car sharing che potebbe coesistere con quello attuale. Gli attori di mercato e la pianificazione. Un articolo di Marco Mastretta, direttore di Iniziativa Car Sharing, pubblicato sulla rivista QualEnergia.

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Il piccolo mondo del car sharing sta vivendo un momento di estrema vivacità e notevoli sconvolgimenti. Sono molte le iniziative, le novità, gli avvenimenti che portano sempre più in primo piano un fenomeno che fino a poco tempo fa stentava a trovare l’attenzione dei media ed era considerato a dir poco marginale. Sicuramente l’ultimo e più eclatante avvenimento è quello dell’acquisizione da parte di AVIS di Zipcar, la maggiore azienda statunitense di car sharing. E questo è solo l’ultimo di una serie di ingressi di soggetti di peso su questo mercato: dal DB (Deutsche Bahn) a Daimler con il marchio Car2Go, a BMW, a Wolkswagen, a Hertz.

Alcuni importanti soggetti (Renault, Nissan) puntano sul car sharing elettrico. Così oggi il mercato del car sharing è abitato da soggetti molto differenti tra di loro, dalle piccole cooperative no profit alle grandi organizzazioni mirate (come Mobility, StadtAuto, ecc.) che propongono uno schema di car sharing “tradizionale”, fino ai grandi nomi del mondo della mobilità e dell’automobile che propongono anche nuovi schemi di gestione, nuovi modelli di interpretazione del car sharing. Sta avvenendo quello che non poteva non avvenire, ma ciò non significa che chi opera da tempo in questo settore “di nicchia” della mobilità non avverta sentimenti contrastanti.

È evidente che l’ingresso sul mercato di questi soggetti forti è una diretta conseguenza delle valutazioni ormai quasi unanimi sul futuro del mercato del car sharing: si prevede da molte parti una sostanziale espansione nelle grandi aree urbane di tutto il mondo, tanto da poter rappresentare un mercato interessante per grandi imprese. Da qualche tempo il segmento del car sharing è entrato a far parte del portafoglio di prospezioni delle grandi multinazionali degli studi di mercato (Frost & Sullivan in testa), che fino a poco tempo fa lo ignoravano. Questo non può che essere considerato un segnale positivo, nonostante si possa tranquillamente dire che il car sharing resterà ancora per lungo tempo un fenomeno “di nicchia” rispetto al mondo vasto della mobilità, ma con un andamento di crescita positivo e interessante.

Le pagine dei giornali riportano sempre più di frequente come la cultura del “possesso” stia gradualmente cedendo il passo alla cultura dell’ “utilizzo e condivisione dei beni”. Un’onda lunga che si può effettivamente percepire e che può certo favorire l’affermarsi del car sharing presso un pubblico più ampio.

Accanto a questi motivi di soddisfazione viene però spontaneo porsi anche alcuni quesiti sul futuro del car sharing, specialmente nella nostra realtà italiana. La sensazione è che si stia vivendo un periodo transitorio, e la domanda spontanea è: dove porterà questa parabola di trasformazione? I nuovi grandi attori del car sharing, al quale hanno certamente impresso una dinamica di espansione mai vista prima, sono soggetti che provengono in gran parte dal mondo dell’automobile e dei servizi a essa collegati (per esempio, l’autonoleggio) e propongono perlopiù modelli di utilizzo delle vetture ad accesso libero e a rilascio libero (che chiameremo “a flusso libero”). Un modello che affascina pubblici amministratori e cittadini, perché  evoca  sensazioni di libertà. Niente prenotazione e rilascio pianificato.

Decidi all’ultimo momento e  prendi  l’auto;  se  non  la trovi, utilizzi un altro mezzo. Ma certo il modello non funziona per chi vuole utilizzare l’auto per il week end poiché occorre essere sicuri di poterne disporre ben prima dell’ultimo minuto. Le tariffe proposte sono generalmente molto superiori a quelle cui il car sharing tradizionale ci ha abituato e sono abbordabili per periodi e tragitti brevi.

Questi nuovi modelli sono (se non alternativi) sicuramente difformi da quelli del car sharing come siamo abituati a intenderlo, soprattutto in Italia. Sono servizi che esplici-amente mirano solo alle zone centrali delle grandi città, dove l’offerta di trasporto è già elevata e variegata ma dove

la domanda è sempre molto alta. Il target del servizio è quello degli spostamenti brevi (sia come tempo che come chilometri) in ambito urbano, che originano nelle zone centrali. Si tratta di spostamenti che sarebbero già oggi altrimenti soddisfatti in gran parte dal trasporto pubblico o dai taxi.

Il motto del car sharing “tradizionale” è: «Lascia la tua auto: usa il trasporto pubblico e il car sharing quando serve». E il car sharing tradizionalmente ha offerto un’alternativa al possesso dell’auto. In Italia, dove questa impronta è stata sempre particolarmente forte, in questi 10 anni di servizio è stato possibile togliere dalle strada circa 10mila vetture disponendo di un parco vetture di circa seicento auto che servono quasi 23mila clienti.

Più del 60% degli abbonati al servizio ha rinunciato almeno a 1 auto e una gran parte di loro (52%) non ne possiede più una. Il 41% degli utenti possiede un abbonamento al trasporto pubblico e di questi la metà lo ha sottoscritto dopo essersi abbonati al servizio di car sharing.

Il car sharing si è diffuso sicuramente senza esplosioni, con una crescita costante ma limitata, ma ha offerto un’alternativa concreta all’auto e un servizio sicuramente complementare al trasporto pubblico. Ha svolto e svolge un ruolo di razionalizzazione della mobilità urbana e anche di consolidamento di comportamenti di mobilità più consapevoli e razionali.

Ne è un sintomo evidente il fatto che la percorrenza chilometrica annua con l’auto da parte degli utenti del servizio decresce con l’anzianità di utilizzo del servizio stesso: via via che il cliente sperimenta il servizio e percepisce il reale costo dell’utilizzo dell’automobile in confronto a quello degli altri modi collettivi, tende a limitare l’impiego dell’automobile a favore del trasporto pubblico.

Quindi la percorrenza chilometrica in auto diminuisce, fino a stabilizzarsi su livelli inferiori anche del 30% rispetto a quelli iniziali. Come a dire: ecco dimostrato che si può vivere senz’auto e utilizzarla (poco) quando serve.

È evidente che il car sharing, in questo senso, è un servizio e che quindi deve rispondere a leggi di mercato, ma è anche uno strumento in mano a chi pianifica il trasporto nelle aree urbane. Non a caso in Italia il servizio è spesso offerto dalle aziende di trasporto pubblico ed è comunque strutturalmente integrato con il trasporto pubblico stesso. I modelli targati “automotive” dispongono sicuramente della potenza necessaria ad “armare” considerevoli flotte di vetture, ma mirano soprattutto a massimizzare l’utilizzo del servizio, e cioè dell’auto, in gran parte in diretta concorrenza con i mezzi di trasporto pubblico. Sono dell’idea che un nuovo modo di trasporto “a uso collettivo” sia comunque utile e che tutto ciò che arricchisca l’offerta di mobilità alternativa al possesso dell’auto vada comunque favorito. Non credo però che questo nuovo modello di car sharing possa ancora sostituire quello che in questi anni si è sviluppato, potendo invece affiancarlo, magari con reciproco vantaggio.

L’Italia è pronta a cogliere queste nuove opportunità senza disperdere il patrimonio acquisito in questi anni? La chiave sta nel ruolo che sapranno avere gli operatori e le Amministrazioni. In Italia il servizio è molto frammentato e polarizzato tra grandi aziende di trasporto pubblico e piccole imprese. Le prime sono focalizzate a servire il loro territorio, senza vocazione a estendere il servizio ad altri ambiti territoriali. Le seconde non hanno la dimensione di impresa necessaria a fornire elevati volumi di servizio e a diffonderlo su un’ampia scala. Al momento attuale quindi, per ragioni diverse, non esiste in Italia una struttura dell’offerta in grado di garantire una diffusione omogenea e ampia del servizio di car sharing e di soddisfare appieno la domanda potenziale. Diverse città che potrebbero essere interessanti non dispongono ancora del servizio, e anche nelle maggiori aree urbane c’è ancora un significativo spazio di ampliamento del mercato. In questo panorama di debolezza strutturale dell’offerta non è impossibile che nuovi soggetti, attraverso una politica di mercato aggressiva e un’offerta di servizio massiccia, possano coprire gli spazi di mercato più interessanti lasciati liberi e magari anche conquistare quelli già occupati.

È notizia recente che il Comune di Milano sta preparando un bando di gara per affiancare il servizio di car sharing tradizionale – svolto da ATM, l’Azienda Trasporti Milanesi – con un numero significativo di vetture (qualche centinaio) che operino per l’appunto con uno schema a flusso libero. Uno scenario in cui i grandi nuovi operatori occupino gli spazi di mercato delle grandi città (che in Italia sono molto poche) lasciando liberi solo spazi marginali nei centri minori, non è irrealistico. Ma ormai è consapevolezza consolidata che un servizio di car sharing, per reggersi, necessita di volumi minimi di servizio ben maggiori di quelli che le piccole e medie città possono garantire da sole (tratto caratteristico di tutto il comparto dei trasporti).

Il processo di concentrazione delle piccole aziende operanti nel settore all’estero è già avvenuto, ma in Italia non è ancora iniziato. Mettendo assieme la forte pressione dei nuovi grandi operatori sulle grandi aree urbane e la strutturale debolezza dell’offerta italiana, si può paventare uno scenario in cui solo poche grandi città in Italia abbiano un servizio di car sharing, il cui beneficio sociale si stemperi in un’operazione di ulteriore consumo più che di razionalizzazione del sistema globale della mobilità.

Molte esperienze hanno ormai chiaramente indicato che, nel settore dei trasporti, una pura logica di mercato – non controbilanciata da una programmazione pubblica in grado di indirizzare i servizi – crea squilibri di offerta e irrazionalità. Il car sharing non è certo il trasporto pubblico tradizionalmente inteso, ma risponde alle stesse necessità e dinamiche.

Non si può, quindi, pensare di poter limitare l’iniziativa privata nel settore, o fare barriere all’ingresso, ma non bisogna disperdere il patrimonio di razionalità e i benefici collettivi che il car sharing ha portato e porta a favore di una pura logica di mercato. In questo senso il ruolo delle città è fondamentale: la capacità di concepire il car sharing come una parte integrante del sistema della mobilità urbana e di programmarne quindi lo sviluppo in funzione delle esigenza di mobilità, sarà un elemento fondamentale per garantire il necessario equilibrio e preservare il beneficio che può venire da un adeguato impiego delle tecniche del car sharing.

D’altra parte, la creazione di un soggetto imprenditoriale forte a partire dagli operatori oggi presenti in Italia, che capitalizzi il lavoro finora svolto e valorizzi il portafoglio clienti e la qualità del servizio esistente, ritengo sia un passo importante e non procrastinabile. L’attuale offerta, così frammentata com’è oggi, non potrà, se non forse in alcuni rari casi, sostenere l’urto dell’ingresso sul mercato di soggetti forti. Questo nuovo soggetto dovrà essere in grado di operare a tutto campo sul mercato nazionale del car sharing, consolidando l’attuale presenza, innovando anche, naturalmente, forme e contenuti del servizio, ma mantenendo sempre la forte caratterizzazione di complementarietà al trasporto pubblico e di alternativa al possesso dell’auto. Queste sono le condizioni per un equilibrato sviluppo del settore e per garantire che l’ingresso sul mercato dei nuovi soggetti di matrice “automotive” si traduca in un miglioramento del panorama globale della mobilità e non solo in un’opportunità di business per qualche grande impresa, o un metodo per ristrutturare la propria presenza su un mercato in crisi o per cogliere un’innovativa forma di marketing per l’automobile.

Se queste condizioni si verificheranno si potrà davvero beneficiare della complementarietà tra queste forme diverse di car sharing per far crescere la domanda e offrire un sistema di mobilità urbana migliore.

L’articolo è stato pubblicato sul n.2/2013 della rivista bimestrale QualEnergia.

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