Diverse possibili scelte, ma l’obiettivo resta decarbonizzare il sistema elettrico

Entro 38 anni si dovrà completamente decarbonizzare la produzione elettrica italiana. Quali scelte vanno fatte considerando gli interessi generali del paese, quelli dei vari attori e gli effetti in termini di riduzione delle importazioni di gas, maggiori entrate fiscali e impatti occupazionali? Se ne parlerà al convegno FREE del 16 aprile. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Martedì prossimo, 16 aprile, a Roma ci sarà un interessante confronto fra le diverse anime del sistema energetico italiano in un momento molto delicato: utilities in affanno economico, operatori delle rinnovabili in crisi alla ricerca di nuove prospettive, regolatori che dovranno intervenire sul mercato elettrico.

Dopo il pamphlet “Chi ha ucciso le rinnovabili” del presidente di Assoelettrica e le repliche del presidente di Assosolare, interviene anche il Coordinamento delle associazioni delle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, FREE, con l’organizzazione di questo convegno e la presentazione di un rapporto per rintuzzare le critiche e avanzare alcune proposte al prossimo Governo.

La situazione è nota. Domanda in calo, sovraccapacità termoelettrica, rinnovabili cresciute oltre ogni previsione. Come pure è chiaro il punto di arrivo: entro 38 anni si dovrà completamente decarbonizzare la produzione elettrica. C’è anche un riferimento temporale intermedio, quel 35-38% dei consumi (e potenzialmente oltre) che secondo la SEN dovrebbe venire soddisfatto dalle rinnovabili al 2020, cioè almeno 20-30 TWh in più.

Cosa fare dunque, anche alla luce della situazione di crisi economica? 

Bloccare i nuovi progetti di centrali termoelettriche: sono state presentate ai Ministeri ben 37 richieste di autorizzazione per una potenza di 22,6 GW (tre proposte per 2 GW sono state ritirate nelle ultime settimane). Considerando che, a fronte di un parco di 81 GW termoelettrici, la potenza di punta ha raggiunto 5 anni fa un massimo di 57 GW, non ha alcun senso pensare a nuovi impianti (che disastro si sarebbe profilato se si fosse avviata l’avventura nucleare?).

Chiudere gli impianti più inquinanti e con minore rendimento.

Intervenire sul mercato elettrico e favorire una maggiore competizione nell’accesso al metano per consentire la sopravvivenza degli impianti a ciclo combinato (e in prospettiva l’esportazione di elettricità) in considerazione del ruolo strategico sinergico con la produzione non programmabile delle rinnovabili.

Favorire l’introduzione di elettrotecnologie nell’industria, pompe di calore nel settore civile, veicoli elettrici, tutte soluzioni che comportano una riduzione dei consumi di energia primaria e che sono sempre più giustificate nel contesto di una produzione fortemente, e sempre più, connotata dal gas e dalle rinnovabili.

Accelerare gli interventi sulla rete e le trasformazioni in smart grids, un comparto nel quale Enel svolge già un ruolo di punta in Europa e che potrà vederci all’avanguardia nei prossimi anni con possibilità di esportare know how.

Semplificare le procedure autorizzative e contenere gli incentivi per i nuovi impianti a fonti rinnovabili.

Va considerata, in particolare, la possibile forte evoluzione nella seconda parte del decennio del fotovoltaico senza incentivi diretti. Secondo un rapporto del principale gruppo bancario svizzero UBS, in Italia, Spagna e Germania, dove esistono condizioni favorevoli, questa opzione potrebbe vedere un forte sviluppo (43 GW alla fine del decennio) riducendo l’utilizzo dei combustibili fossili e i prezzi elettrici, ma determinando un’ulteriore contrazione dei profitti delle aziende elettriche.

Nel grafico 37 del rapporto, che riportiamo qui sotto, viene rappresentato il calo dell’offerta termoelettrica in Germania al 2020 in presenza di una forte crescita del fotovoltaico non incentivato accoppiato a sistemi di accumulo (attenzione alla scala delle ordinate che non parte da 0…). Una situazione che porterebbe ad un calo del 10% del prezzo di Borsa dell’elettricità e ad un dimezzamento delle entrate delle utilities tedesche.

Per quanto riguarda il nostro paese, secondo UBS, il fotovoltaico non incentivato potrebbe generare 11 TWh al 2020. La crescita non sussidiata del solare, peraltro, si sta già manifestando nel Western Australia dove il 10% delle case ha il suo tetto fotovoltaico e l’installazione di impianti senza incentivi è aumentata rispetto ad un paio di anni fa quando il solare era ancora sostenuto.

Come si vede, la situazione è delicata. Dalle modalità (semplificazione + liberalizzazione) che verranno adottate dal Governo e dall’Autorità si deciderà se il mercato fotovoltaico non incentivato avrà dimensioni più o meno significative. Le scelte andranno fatte considerando gli interessi generali del paese e quelli dei vari attori e gli effetti in termini di riduzione delle importazioni di gas, maggiori entrate fiscali e impatti occupazionali. Avendo come riferimento la decarbonizzazione del sistema elettrico.

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