Perché l’Europa deve fare più con meno

Investire nell’efficienza energetica è importante anche per la ripresa economica e occupazionale dell’Unione Europea: non serve un inatteso breakthrough tecnologico, ma la realizzazione di azioni volte a rimuovere le barriere. Un articolo di Laura Cozzi, a capo della sezione “Modellistica Energetica” dell’Agenzia Internazionale per l’Energia.

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Nell’attuale contesto macroeconomico europeo, dove molti Paesi si confrontano con una contrazione dell’economia e crescenti livelli di disoccupazione, è importante comprendere se il sistema energetico europeo possa facilitare la spinta propulsiva sulla crescita o sia da freno. La domanda è particolarmente di attualità poiché Bruxelles comincia a riflettere sugli obiettivi del 2030 e sulle politiche da adottare per centrarli. Gli sforzi della politica energetica europea dell’ultimo decennio sono stati tesi a garantire una crescente sostenibilità e minore impatto ambientale, sfociando nel famoso “Pacchetto Clima-Energia”, o “20-20-20” per gli addetti ai lavori. Si tratta di un triplo obiettivo da raggiungere per il 2020 di riduzione delle emissioni di gas serra del 20%, accompagnato da un aumento delle rinnovabili nel mix di energia primaria al 20%, e infine un obiettivo di efficienza energetica, divenuto legge solo nel corso del 2012, fanalino di coda attuato solo anni dopo l’introduzione del sistema di scambio delle emissioni e di diversi sistemi nazionali di supporto alle rinnovabili. Quali sono le tendenze a oggi?

Le rinnovabili, idroelettricità esclusa, sono cresciute e rappresentano il 10% del mix energetico. La crescita assoluta e percentuale di queste fonti è ed è stata sostenuta nella maggior parte dei casi da varie forme di supporto, per un valore complessivo pari a quasi 40 miliardi di euro nel 2011, con il fotovoltaico che ha assorbito quasi 15 miliardi. Benché la regolamentazione sulle rinnovabili sia diversa tra Paesi, in un certo numero di casi il supporto si traduce in una tariffa elettrica più elevata per i consumatori.

Le emissioni di CO2 del settore energetico sono diminuite rispetto al 2000, ma gran parte della diminuzione è avvenuta in concomitanza della crisi economica del 2009. L’obiettivo del 2020 pare facilmente raggiungibile e l’efficienza energetica sta migliorando, ma non ai tassi richiesti per raggiungere l’obiettivo fissato al 2020. Guardando questi indicatori si potrebbe concludere che la politica europea sta portando i suoi frutti. Ma uno sguardo più approfondito rivela sfumature importanti e richiede un momento di riflessione.

L’aumento delle rinnovabili negli ultimi due anni è stato di recente accompagnato da un aumento nell’uso di carbone. Nel 2011 la domanda di carbone in Europa è cresciuta del 7%, una crescita più elevata della crescita media mondiale.

L’uso di gas naturale è crollato, raggiungendo nel 2011 livelli visti un decennio fa e ai prezzi correnti, con il carbone a circa 85 dollari la tonnellata, ovvero circa 40 dollari in meno di un paio di anni fa, trasformare centrali a ciclo combinato significa lavorare in perdita. La priorità sulle reti che possiedono le rinnovabili ha prodotto una riduzione significativa del numero di ore in cui i cicli combinati funzionano: un altro impatto sulla loro economicità. Al contempo, i prezzi dei certificati di emissioni hanno raggiunto un minimo storico: tre euro a tonnellata a fine gennaio 2013.

La ragione di parte di questo cambiamento è da cercare in una più ampia trasformazione dei mercati energetici mondiali. L’introduzione delle perforazioni orizzontali e della fratturazione delle rocce ha permesso lo sfruttamento di grandi giacimenti di gas di scisto negli Stati Uniti, i cui effetti si sono sentiti su scala locale e mondiale. Il prezzo del gas naturale americano è diminuito fortemente, rendendo il suo uso più economico di quello del carbone, senza costi aggiuntivi per le emissioni. In concomitanza, la crescita della domanda di carbone in Cina, il più grande mercato al mondo, ha reso disponibile carbone a basso prezzo sul mercato mondiale. A gennaio 2013 il differenziale di prezzo tra gas e carbone era di 6 dollari a MBtu. Un sistema di certificati di emissioni efficiente darebbe un segnale circa il prezzo della CO2 verso il rialzo, ma una serie di problemi, non ultimo un’allocazione troppo generosa di quote, esacerbati dalla crisi economica, non stanno producendo risultati positivi. Le aziende produttrici d’elettricità, dove possibile, sostituiscono il gas con il carbone.

Guardando al prossimo decennio, quali saranno le tendenze principali a cui il sistema energetico europeo dovrà far fronte? La produzione di idrocarburi in Europa è in declino, e al 2035 sarà approssimativamente la metà di quella del 2011. Nonostante la presenza di vari giacimenti di gas di scisto nella regione, una serie di fattori fanno pensare che questa risorsa non sarà in grado di giocare lo stesso ruolo chiave che sta giocando in Nord America. Geologia e densità abitativa sono la chiave di questa lettura. Se la domanda di energia in Europa continua a crescere in linea con il quadro macroeconomico atteso, il risultato sarà che la fattura pagata ai Paesi esportatori è destinata a crescere da circa 400 miliardi nel 2011 a quasi 500 miliardi al 2035, creando un forte deficit nei bilanci degli Stati. Ma sono i prezzi ai consumatori che destano preoccupazione.

I consumatori residenziali e industriali europei pagano l’elettricità ben più dei consumatori americani o cinesi. Al 2035, il divario è destinato ad aumentare per raggiungere il 40% rispetto agli Stati Uniti e il 100% rispetto alla Cina, con ovvie ripercussioni sulla competitività di questi Paesi.

A fronte di questo quadro, l’opzione dell’efficienza energetica deve essere rianalizzata e deve ricoprire il primo posto in ogni riflessione futura circa la politica energetica europea e italiana, come recentemente detto nella Strategia Energetica Nazionale. È opinione diffusa che l’efficienza energetica rappresenti un’opzione chiave nelle mani dei decisori politici, ma gli sforzi finora hanno consentito solo un limitato sfruttamento del suo potenziale economico. Lo scorso anno tutti i principali Paesi consumatori mondiali d’energia hanno annunciato nuove misure: la Cina si è posta l’obiettivo di ridurre del 16% la sua intensità energetica entro il 2015; gli Stati Uniti hanno adottato nuovi standard di efficienza volti a ottimizzare il consumo di carburanti; e il Giappone mira a ridurre del 10% i suoi consumi elettrici entro il 2030. Anche nell’ipotesi che tutte queste politiche vengano implementate, come fatto nello Scenario Nuove Politiche del World Energy Outlook 2012 dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, ciò porterebbe a sfruttare solo un terzo del potenziale economico dell’efficienza energetica.

L’Europa gode di un certo vantaggio con un numero di prodotti, tecnologie e processi efficienti che potrebbero essere propulsivi per la crescita economica grazie a un aumento dell’export, anche producendo più occupazione, per esempio nel settore della ristrutturazione edilizia. Smart grid, veicoli ed elettrodomestici efficienti, caldaie, solo per citarne alcuni, sono tutti esempi di mercati dove l’industria europea e italiana si posizionano tra i leader mondiali.

Lo scenario “Mondo Efficiente” proposto nel World Energy Outlook 2012 dell’AIE dimostra che, superando gli ostacoli agli investimenti in efficienza energetica, è possibile sfruttare appieno il citato potenziale e conseguire immensi vantaggi per la sicurezza energetica, la crescita economica e l’ambiente. I benefici ottenibili non derivano dal raggiungimento di un importante o inatteso breakthrough tecnologico, ma unicamente dalla realizzazione di azioni volte a rimuovere le barriere che ostacolano l’implementazione delle misure di efficienza energetica economicamente fattibili.

Nel caso europeo, misure nel settore edilizio e una spinta verso un parco veicoli più efficiente giocano un ruolo cardine. Queste misure richiedono investimenti cumulati al 2035 di 1,7 miliardi di euro, ma apporterebbero risparmi nelle spesa energetica dei consumatori pari a 3,8 miliardi di euro. Questo risparmio crea la possibilità di aumentare consumi e investimenti con l’effetto di aumentare il PIL di oltre 1,1% al 2035.

La domanda d’energia in Europa al 2035 risulterebbe del 13% inferiore a oggi, e le emissioni diminuirebbero del 17% – una diminuzione non sufficiente a centrare gli obiettivi, ma certo un contributo significativo. La Direttiva europea dello scorso anno è un passo importante verso la centralità dell’efficienza energetica, ma non è abbastanza ambiziosa per raggiungere la trasformazione descritta. Il settore edilizio è sicuramente centrale, ma anche molto difficile da gestire. Un sistema di finanziamenti adeguati, che possa superare problemi di “principal agent”, è fondamentale, ma anche la creazione di “one-stop-shop” dove i consumatori possano recarsi per trovare tutte le informazioni: dai meccanismi di finanziamento; alla stima dei costi e benefici per la loro abitazione; ai tecnici che possano eseguire i lavori – per minimizzare i costi di transazione e le asimmetrie informative.

Il settore trasporti, già uno dei più virtuosi a livello mondiale, può contribuire anch’esso. Gli Stati Uniti sono sulla strada per diventare indipendenti dall’import di petrolio. Il gas e il petrolio non convenzionale hanno un ruolo importante, ma i nuovi standard per le vetture che l’Amministrazione americana ha stabilito giocano un ruolo altrettanto importante. Il parco veicoli europeo è più efficiente di quello americano, ma in assenza di una nuova spinta tecnologica potremmo ritrovarci agli stessi livelli in pochi anni. Il margine di miglioramento esiste, sia nel  parco vetture che nei mezzi di trasporto pesanti. Il settore trasporti potrebbe contribuire a tagliare le importazioni di petrolio di un milione di barili giorno al 2035, e una riflessione su come centrare l’obiettivo dei 95 g di CO2/km (ancora in discussione) dovrebbe divenire centrale con un tavolo di trattative costruttivo con un’industria automobilistica anch’essa di fronte alla crisi. L’implementazione a livello mondiale delle sole misure economicamente fattibili avrebbe importanti implicazioni anche per l’effetto serra.

Le passate edizioni del World Energy Outlook dell’AIE hanno dimostrato che l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C sta diventando, ogni anno che passa, sempre più difficile e più costoso per il sistema energetico. Lo “Scenario 450” esamina le azioni necessarie per il conseguimento di questo target e conclude che circa i quattro quinti delle emissioni di CO2 consentite all’orizzonte 2035 sono già allocate dallo stock di capitale a oggi esistente (centrali elettriche, stabilimenti industriali, edifici, ecc.).

Se entro il 2017 non verrà intrapresa alcuna azione per ridurre le emissioni, le infrastrutture connesse al settore energetico esistenti in quel momento produrranno l’intero volume di emissioni di CO2 consentite nello “Scenario 450”. Una rapida diffusione delle tecnologie per l’efficienza energetica – come previsto nello scenario “Mondo Efficiente” – posticiperebbe, invece, la completa allocazione delle emissioni al 2022, consentendo di guadagnare tempo prezioso per conseguire un accordo globale sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

Per quanto riguarda l’Europa, solo una politica energetica che metterà l’efficienza al centro, considerandola una “fonte” a tutti gli effetti, potrà garantire un sistema energetico propulsivo per la crescita e rispettoso dell’ambiente.

Laura Cozzi è a capo della sezione “Modellistica Energetica” all’Agenzia Internazionale per l’Energia, nel dipartimento che redige il World Energy Outlook. La maggior parte dell’analisi riportata in questo articolo è basata sui risultati del WEO 2012. Le opinioni espresse sono quelle dell’Autrice.

L’articolo è stato pubblicato sul n. 1/2013 della rivista bimestrale QualEnergia

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