Vento, sole e futuri scenari energetici nel ‘laboratorio’ Germania (prima parte)

Con l’uscita del rapporto 'Electricity production from solar and wind in Germany in 2012' del Fraunhofer Institut, Qualenergia.it coglie l’occasione di intervistare il suo curatore, il professor Bruno Burger, per capire la situazione delle rinnovabili in Germania, gli errori del passato, le prospettive dell'energia pulita e i possibili sviluppi del sistema energetico. Qui la prima parte dell’intervista.

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L’Istituto Fraunhofer, il più importante centro di ricerca tedesco impegnato nello studio delle energie rinnovabili, ha pubblicato a gennaio un primo rapporto, non definitivo, sulla produzione eolica e solare tedesca nel 2012 (Electricity production from solar and wind in Germany in 2012 – pdf). Il rapporto presenta alcune sorprese e anche qualche ombra. Fra le prime il sorpasso della potenza fotovoltaica su quella eolica: la prima ha raggiunto i 32,3 GW (+29% sul 2011), contro i quasi 30 GW dell’eolico (quasi al palo, +1%).

Per il maggiore fattore di carico del vento sul sole, però l’eolico domina ancora la produzione rinnovabile tedesca con 45,8 TWh (-6% sul 2011), contro i quasi 28 del solare (+44%). Insieme le due fonti (73,8 TWh) hanno raggiunto il 13% della produzione elettrica tedesca. La produzione elettrica complessiva, però, rimane dominata dalle fonti fossili, con 249 TWh da carbone (+7% la lignite e +9,8% l’antracite) e 49 TWh dal gas (-17,8%), e da un nucleare in calo a 94 TWh (-8,4%) per la chiusura delle prime otto centrali.

Come si vede, la crescita delle rinnovabili sembra penalizzare più il gas, più costoso e più flessibile, che il carbone, con il rischio che le emissioni di CO2 finiscano per aumentare. Se è una buona notizia il fatto che la Germania sia rimasto un esportatore netto di elettricità, nonostante si predicessero disastri dopo la limitazione del nucleare, preoccupa che queste esportazioni avvengano soprattutto nei giorni di forte vento, come se il sistema tedesco avesse problemi ad assorbire questa elettricità, e fosse costretto ad esportarla a basso costo.

Per capire meglio stato e prospettive future del sistema elettrico tedesco, abbiamo rivolto qualche domanda all’estensore del rapporto il professor Bruno Burger.

Professor Burger, dal vostro rapporto sembra che l’eolico tedesco si sia fermato. Come se lo spiega?

In realtà i dati nel rapporto non sono definitivi; gli ultimi indicano una crescita del 4%. Ma ci sono sicuramente problemi, per esempio per l’offshore, che è quello che dovrà crescere di più in futuro, è rallentato da problemi di costo e di connessione. E per l’eolico contano molto di più che per il solare anche le fluttuazioni del meteo: fino al 20% in più o in meno da un anno all’altro. 

Invece continua l’enorme crescita del FV. Ma molti criticano la scelta di questa fonte, dato che il solare in Germania ha un fattore di capacità molto basso, mentre gli incentivi stanno iniziando a pesare in modo molto pesante sulla bolletta delle famiglie. Anche la vostra speranza di diventare i leader nell’industria fotovoltaica, sembra tramontare davanti all’avanzata cinese.

Il costo del FV era alto in passato e lo dovremo pagare nei prossimi anni. Ma ora le tariffe incentivanti sono di 11,78 cent/kWh per i grandi impianti e 17,02 cent/kWh per i piccoli. Per fare un confronto un litro di olio da riscaldamento costa 9 cent/kWh termico. Il FV, che può fruttare appunto circa 17 centesimi, è quindi già oltre la ‘oil parity’, anche se utilizzato allo scopo di riscaldare l’abitazione. E’ vero, i moduli sono oggi prodotti soprattutto in Cina, ma i macchinari per farli li produciamo in Germania, così come inverter, sistemi tecnologici e installazione. Nel complesso la maggior parte del valore di un impianto solare resta qui. Non trovo sorprendente che il FV produca soprattutto fra primavera e autunno, ma in quei periodi è una fonte affidabile ed economica. Arrivassimo a installarne 200 GW, coprirebbe oltre il 30% dell’elettricità tedesca, come oggi la lignite.

Ma forse vi converrebbe fare impianti in paesi più assolati, come Spagna, Italia e Grecia, e importare l’elettricità.

Non è più economico costruire impianti nei paesi del sud Europa, per gli alti tassi di interesse e la necessità di creare o potenziare i collegamenti. E poi ogni nazione dovrebbe costruirsi il proprio FV, e poi usare le interconnessioni con l’estero a scopo di bilanciamento, non per muovere l’energia in una sola direzione.

Però una cosa è evidente nei dati che avete presentato: la grande crescita della generazione a carbone, un grosso problema se la Germania vuole veramente abbassare le sue emissioni di CO2. Dipende, come molti dicono, dalla chiusura parziale del nucleare? E prenderete in considerazione l’uso del CCS, la cattura e lo stoccaggio della CO2?

Personalmente non credo nel CCS, che è solo un modo per passare il problema ai nostri figli. Non penso ce ne sarà bisogno. E’ vero, c’è stato un aumento di uso del carbone fra 2011 e 2012, ma se si considerano periodi più lunghi, si vede che l’uso è più o meno costante. Il calo di energia nucleare, invece, è stato largamente compensato dall’aumento di solare e idroelettrico. Per ora non ci sono problemi con le emissioni di CO2: fra il 1990 e il 2011 sono scese del 22%, nello stesso periodo la Francia è calata del 9%, l’Italia è rimasta costante e la Spagna le ha aumentate del 48%. In futuro le rinnovabili compenseranno interamente la chiusura del nucleare e, integrandosi in modo interattivo con le forniture di calore e gas, faranno calare ancora di più le emissioni. Per esempio l’eolico è già più economico del gasolio da riscaldamento: perché non usare la sua elettricità per il riscaldamento? E si deve infine considerare che abbiamo esportato 20 TWh di elettricità nel 2012, senza questo export non ci sarebbe stato bisogno di più carbone.

A proposito di esportazioni, è sorprendente che la Germania abbia esportato così tanto, nonostante gli scenari foschi che molti prevedevano per la chiusura del nucleare. Però i critici dicono che siete costretti a esportare soprattutto nelle notti ventose (ed effettivamente i grafici della produzione eolica e delle esportazioni, coincidono molto bene), energia a basso costo, che non riuscite ad assorbire, per poi reimportarla ad alto costo il giorno successivo, dopo che è stata accumulata in bacini idrici in Norvegia, Austria e Svizzera.

L’alto tasso di esportazione non mi ha sorpreso, i titoli catastrofisti di due anni fa in occasione dell’annuncio della chiusura del nucleare, furono soprattutto propaganda di chi gestisce queste centrali. Il problema dell’export dovuto al FV non si pone, in quanto questo produce nelle ore di maggior costo e maggiore domanda. Ma esiste effettivamente per l’eolico notturno. Lo si potrebbe risolvere semplicemente diminuendo la potenza delle centrali convenzionali, ma non è una decisione che qualcuno deve prendere a tavolino: è il mercato che preferisce l’esportazione. Quanto al reimportare energia in eccesso da chi ha i bacini idroelettrici, cosa c’è di nuovo? E’ sempre successo con il nucleare, data la sua scarsa capacità di modulazione.

Tornando un attimo al carbone, in Germania, ma anche in Spagna, sta avvenendo un fenomeno preoccupante: la crescita del vento penalizza più il gas che il carbone, con conseguente aumento delle emissioni. Come si può evitare questo paradosso?

Il gas costa più del carbone solo in Europa, perché i russi tengono alto i suoi prezzi. In America sta accadendo l’opposto, con il gas diventato tanto economico da sostituire il carbone nelle centrali. Ma queste dinamiche non c’entrano con l’energia eolica, il vero problema è che i certificati di CO2 nel sistema di scambio europeo sono troppo economici. E’ questo che spinge a usare le fonti più sporche.

La seconda parte dell’intervista a Bruno Burger del Fraunhofer Institut

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