L’Eni tra oscuri legami e interessi poco nazionali

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La trasmissione Report su Eni ha aperto numerosi interrogativi sulla nostra azienda energetica: una politica industriale poco razionale e scelte a dir poco opache, interessi privati sullo sfondo e controllo della stampa. Con queste premesse, davanti al colosso Eni, possiamo pensare a una vera politica per la transizione energetica?

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In Italia paghiamo il gas il 25% in più che nel resto d’Europa, cosa che oltre a pesare sulle bollette per il riscaldamento riguarda anche moltissimo il prezzo dell’elettricità, visto che il prezzo del gas per gli operatori delle centrali termoelettriche è ancora più elevato rispetto alle media europea, come ci ha spiegato lo scorso anno l’Autorità. Un fattore che contribuisce ad acuire la crisi delle centrali a ciclo combinato e le spese per i cittadini.

Ma se paghiamo così tanto, lo dobbiamo anche a scelte di politica industriale fatte dalla politica e da Eni sotto la direzione dell’amministratore delegato Paolo Scaroni (stipendio di quasi 5 milioni di euro nel 2011, con quotazione delle azioni in picchiata), che sembrano favorire i russi di Gazprom a scapito degli interessi nazionali. Della questione si è occupata la puntata di domenica 16 dicembre di Report, a cura di Paolo Mondani, di cui consigliamo la visione (qui trovate il video e il testo in pdf).

Le scelte dell’azienda, controllata al 30% dallo Stato, non sono però spiegabili se non tirando in ballo oscuri interessi privati: “I nostri contatti nell’opposizione e nel partito di Berlusconi hanno suggerito una malvagia connessione. Credono che Berlusconi e i suoi amici stiano traendo un considerevole profitto personale dagli affari sull’energia tra Italia e Russia”, scriveva a gennaio 2009 l’ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, in una comunicazione riservata e poi resa pubblica da Wikileaks. Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, intervistato da Report, ha rincarato la dose affermando che i servizi  segreti  britannici  ritengono  che  l’ex presidente del Consiglio abbia con  Putin  “relazioni  corrotte  sulle questioni riguardanti il gas”.

Il nostro Paese consuma 78 miliardi di metri cubi di gas all’anno, 20 dei quali ci arrivano dalla Russia. A parte il fatto che nessuno conosce i prezzi di acquisto del gas russo – uno dei segreti industriali più protetti, si dice – c’è poi anche la questione dei contratti a lungo termine con la Russia, i cosiddetti take or pay, cioè la clausola per cui si prenota il gas per gli anni a venire, ma se non lo si ritira occorre pagarlo ugualmente. Il 10 ottobre scorso Paolo Scaroni aveva comunicato al Senato che il “take or pay” costa all’Eni 1,5 miliardi di euro all’anno e proponeva che parte di questa cifra poteva essere fatta gravare sui conti dello Stato o meglio sui cittadini.

La domanda che ci si pone è: perché nel 2007, quando i segni della crisi erano già tutti lì e si sapeva che il prezzo del gas sarebbe sceso come in effetti sta avvenendo, Scaroni si è precipitato a prolungare contratti che scadevano dopo 20 anni senza chiedere la revisione del prezzo? È stato solo un errore o qualcuno si è avvantaggiato di questo favore fatto ai russi, con evidenti danni per gli italiani?

L’inchiesta tocca anche altri aspetti inquietanti. Uno riguarda il fatto che lo scorso aprile Eni ha ottenuto il raddoppio dell’estrazione in Val D’agri, dove persistono gravi problemi ambientali, tuttavia di difficile valutazione visto che è Eni stessa che ha installato e controlla le centraline per il monitoraggio. Nello stesso periodo, il ministro Passera annunciava di voler fare dell’Italia l’hub europeo del gas. La Basilicata si troverà proprio nel mezzo dei gasdotti che vengono dall’Algeria e dalla Libia e dei tubi che porteranno gas dalla Turchia e dall’Azerbaigian. Svuotare celermente i 472 pozzi della Basilicata potrà servire per stoccare gas. Forse perché è questo oggi il vero affare dei grandi gruppi energetici. Ma ci sarà nei prossimi anni una forte domanda nazionale ed estera di questo gas?

Altro controverso aspetto toccato, anche se marginalmente dall’inchiesta, che poi spiegherebbe bene tutto il resto, è il sospetto più che fondato che Eni, oltre a finanziare lautamente fondazioni e gruppi di pressione, abbia a libro paga numerosi giornalisti, anche in veste di consulenti.

Non ci sorprendiamo troppo per queste rivelazioni, ma possiamo dire che il lavoro giornalistico fatto dalla trasmissione condotta da Milena Gabbanelli ha sicuramente aperto altri numerosi interrogativi sulla nostra grande corporation energetica. Alla luce di tutto ciò nasce la consapevolezza della difficoltà per il nostro Paese di procedere con decisione a una vera azione di risparmio ed efficienza energetica, quando un colosso come Eni e i suoi opacissimi legami si frappongono a ogni possibile cambiamento del sistema energetico.

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