ETS, industrie che finanziano i concorrenti e i CER ‘finti’ dell’Ilva

Le industrie energivore europee, anziché tagliare la CO2 in casa, preferiscono acquistare certificati di riduzione sul mercato. Finanziando così a volte i concorrenti o progetti che invece di ridurre le emissioni le aumentano. Come i CER da distruzione del gas serra HFC-23, al bando dal 2013, ma oggi tra i preferiti dalle industrie europee.

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Le industrie energivore europee si lamentano dell’ETS, ma poi, anziché tagliare la CO2 in casa, preferiscono addirittura finanziare i concorrenti nei Paesi in via di sviluppo o nell’Est Europa comperando da loro permessi a emettere e certificati di riduzione. Titoli che, per di più, in gran parte sono esplicitamente riconosciuti come “finti”, come quelli ottenuti da progetti per distruggere il gas HFC-23, che non producono reali riduzioni di gas serra e saranno banditi dal 2013, ma di cui intanto le aziende europee stanno approfittando a piene mani. La nostra Ilva di Taranto, per esempio, ha fatto ricorso a questi crediti ‘fasulli’ per circa 1,8 milioni di certificati sui circa 2 milioni acquistati nel 2011.

Evidentemente c’è qualcosa che non va nell’ETS, il sistema di mercato europeo di riduzione delle emissioni, la cui efficacia sembra fortemente minata da un prezzo dei permessi a emettere troppo basso. L’ennesima denuncia arriva da un report di Sanbag, Ong sempre in prima linea nel vigilare sulle distorsioni dell’emission trading (vedi allegato). Vi si segnala come le più grandi aziende dell’acciaio e del cemento europee (ma anche quelle elettriche) stiano facendo acquisti massicci di permessi a emettere o certificati di riduzione dalle industrie siderurgiche e chimiche est-europee e dei Paesi in via di sviluppo.

Anziché promuovere l’efficienza delle industrie europee, l’ETS sta portando al paradosso di spingerle a sovvenzionare i loro concorrenti, comperando crediti inutilizzati o tramite i meccanismi di compensazione, come il Clean Development Mechanism o il Joint Implementation che traducono in crediti riduzioni delle emissioni realizzate nei Pvs.

Nel 2011 il ricorso ai meccanismi di compensazione è cresciuto dell’85% ed è pesato per il 13% di tutte le emissioni coperte dall’ETS. Le acciaierie sono ricorse ai meccanismi di compensazione internazionali per coprire il 45% delle loro emissioni. Il motivo è che, grazie ai prezzi stracciati dei certificati di riduzione delle emissioni (CER o ERU) e dei permessi a emettere (EEA), dato dal surplus sul mercato, ora per le industrie europee è più conveniente pagare che tagliare la CO2 nei propri impianti. Alcune, come anticipato, hanno acquistato ingenti quantità di crediti da aziende dello stesso settore, sovvenzionando così dei concorrenti. È il caso di ThyssenKrupp, ArcelorMittal e Tata Steel.

La distorsione è aggravata dal fatto che gran parte dei certificati di riduzione delle emissioni acquistati nei Pvs si riferiscono a riduzioni ‘finte’. L’esempio è quello dei CER ottenuti con la distruzione dell’HFC-23, un gas sottoprodotto industriale con potere climalterante 11mila volte superiore a quello della CO2. Dal 2005 molte industrie hanno prodotto questo gas serra in eccesso per il solo scopo di distruggerlo e acquisire così i titoli da rivendere, con l’effetto perverso di far produrre più gas serra e tenere basso il prezzo dei CER sul mercato, penalizzando così progetti più efficaci.

L’Europa ha deciso di bandire i CER da distruzione di HFC-23 dal 2013, ma questi al momento pesano per oltre il 80% dei crediti spesi sul mercato europeo delle emissioni e le industrie, proprio in vista del bando, vi stanno ricorrendo come mai in passato. Se andiamo a guardare i dati dello stabilimento Ilva di Taranto (si vedano qui le mappe interattive di Sandbag) scopriamo che dei 2.050.215 certificati di riduzione acquistati tramite meccanismi di compensazione 1.838.374 sono venuti proprio da progetti di distruzione dell’HFC-23 e, come si vede dalla mappa sotto (cliccare per ingrandire), l’Ilva non è certo l’unica industria italiana a fare massiccio ricorso a questi certificati che invece di ridurre le emissioni le aumentano.

Il report di Sandbag (pdf)

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