L’allarme di Moody’s: le rinnovabili danneggiano le fossili

Lo sviluppo delle rinnovabili sta danneggiando seriamente gli interessi dei produttori di elettricità da fonti convenzionali: ora lo denuncia anche l'agenzia di rating Moody's. Un problema piuttosto serio in Italia, dove con scarsa lungimiranza sono stati investiti circa 25 miliardi in cicli combianati a gas, ora in perdita.

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Lo sviluppo delle rinnovabili sta danneggiando seriamente gli interessi dei produttori di elettricità da fonti convenzionali: ora lo denuncia anche l’agenzia di rating Moody’s che proprio su questo ha fatto uscire ieri un report (qui l’abstract, pdf).

“Il forte incremento delle rinnovabili –  vi si legge – ha avuto un profondo impatto negativo sui prezzi della produzione e la competitività delle società attive nella generazione termoelettrica in Europa. Quelle che un tempo erano considerate aziende stabili hanno visto il loro modello di business sconvolto e noi ci aspettiamo che la crescita progressiva della produzione rinnovabile intacchi ulteriormente la qualità del credito delle utility europee”.

Fino a qualche anno fa, quando le fonti pulite erano ancora marginali, era impensabile che potessero mettere in crisi il settore termoelettrico. Con il boom di solare ed eolico degli ultimi due anni, la situazione è cambiata nettamente: tra i primi su queste pagine abbiamo fatto notare come l’energia a costo marginale zero prodotta da sole e vento stesse facendo una dura concorrenza alle centrali termoelettriche, soprattutto i cicli combinati a gas, tanto da mettere a rischio gli investimenti fatti su questi impianti (vedi per esempio qui).

Il freno alle rinnovabili imposto con il quinto conto energia e il decreto rinnovabili elettriche, è la lettura di molti, arriverebbe più dalla volontà di difendere il termolettrico da uno sviluppo incontrollato di fotovoltaico ed eolico, che dalle preoccupazioni per il peso degli incentivi in bolletta. Un sospetto confermato da particolari come il fatto che la prima bozza del quinto conto energia fotovoltaico sembra sia uscita dal computer di un’analista Enel.

Ora Moody’s –  che lunedì ha declassato il rating di Enel da “Baa1” a “Baa2” con outlook negativo anche per la concorrenza che l’azienda deve subire dalle rinnovabili (vedi qui, pdf) –   ribadisce le motivazioni che i grandi del termoelettrico hanno per temere lo sviluppo delle energie pulite.
E anche la ragione per cui i grandi dell’energia tradizionale frenano sullo sviluppo di sistemi di accumulo: questi potrebbero “penalizzare ulteriormente i prezzi di picco” incrementando la competitività delle rinnovabili ed emarginando ancor più la produzione termoelettrica.

A salvare il termoelettrico potrebbe essere il capacity payment,  ossia la remunerazione di certi impianti, come appunto i cicli combinati a gas, per la potenza messa a disposizione anziché solamente per l’energia prodotta. Una misura allo studio di vari Governi, tra cui il nostro (vedi Qualenergia.it), che potrebbe avere un impatto positivo sul rating dei produttori da fossili – spiegano da  Moody’s – sottilneando però che “la tempistica e le modalità rimangano incerte”. Senza contare che tali politiche di sussidi potrebbero contrastare con le indicazioni del Terzo pacchetto UE per la rimozione delle barriere tra gli Stati e la maggiore interconnessione energetica.

Staremo a vedere come evolverà la situazione, che per quel che riguarda il nostro Paese è piuttosto seria. Come spiegava molto bene G.B. Zorzoli nell’ultima intervista a Qualenergia.it, in Italia infatti ci sono circa 25 miliardi di euro investiti nei cicli combinati a gas che ora, anche a causa della concorrenza delle rinnovabili, ma certo non solo per quella, rischiano di andare persi. Investimenti fatti relativamente di recente con scarsa lungimiranza, dato che già si conosceva la situazione di overcapacity cui si sarebbe andati incontro e lo sviluppo che le rinnovabili dovevano avere per soddisfare gli obiettivi europei. Ma anche un capitale, in gran parte investito dalle banche, tale da rendere realisticamente difficile che questi impianti, peraltro molto flessibili e meno inquinanti delle centrali a carbone, vengano lasciati al loro destino.

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