Fotovoltaico, premio ‘Made in Europe’ sotto attacco della Cina

La Cina ricorre al WTO contro la UE per violazione della clausola del trattamento nazionale e degli accordi internazionali del commercio per quel premio del 10% sui prodotti solari fabbricati nella UE concesso dal conto energia italiano e da altri Paesi. In un fioccare di denunce si perdono di vista essenziali obiettivi di lungo periodo.

ADV
image_pdfimage_print

Guerra commerciale continua sul fotovoltaico tra USA ed Europa, da una parte, e Cina dall’altra. Ora di mezzo c’è anche l’Italia con il suo premio “made in Europe” del 10% che, sebbene con un certo ritardo, viene additato dal Ministero del Commercio cinese come una “violazione della clausola del trattamento nazionale” per la disparità di trattamento dei beni importati e anche come “violazione degli accordi internazionali del commercio” per quanto riguarda l’uso di prodotti interni rispetto ai prodotti di importazione. Questo il contenuto del ricorso presentato dalla Cina all’organo di conciliazione del WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, contro l’Unione Europea e alcuni Paesi membri, Italia inclusa.

Ce l’aspettavamo e ne avevamo parlato già alla nascita del quarto conto energia, considerando il provvedimento del bonus del 10% di difficile applicazione e dubbia giustificazione, oltre alle sue scarse possibilità di successo. Siamo solo sorpresi del ritardo con cui tale “disputa”, come viene chiamata, al WTO viene posta in essere da parte dei cinesi, visto che in Italia il premio “made in UE” è in vigore dal maggio 2011.

La piccola industria italiana del fotovoltaico, oggi in grave crisi, per overcapacity e anche per la forte riduzione dei prezzi imposti anche dai cinesi, ha sempre ribattuto a queste accuse affermando che la protezione alle produzioni nazionali, come il premio del 10%, serviva per ristabilire le condizioni per un’equa competizione tra produttori europei e asiatici: “basti pensare al recupero dell’IVA delle industrie cinesi, per una percentuale di circa il 10%; un motivo valido per cui noi produttori italiani abbiamo chiesto quel premio ‘made in UE’ per i componenti europei”, disse nel corso di un convegno Paolo Andrea Mutti, amministratore delegato di Solsonica. Per parte della filiera nazionale, insomma, questo non è protezionismo, ma un atto di difesa nei confronti di produttori il cui Stato elargisce un importante incentivo all’esportazione.

Per molti osservatori le forme di protezionismo di questo tipo portano però solo a mantenere artificialmente alto il prezzo del fotovoltaico in Italia e in Europa e a poco servono per mantenere in vita un’industria locale. Ciò in parte si è dimostrato vero e in parte no, visto che è molto probabile che proprio quel premio, adottato in Italia, Francia e Grecia, quindi da una buona fetta del mercato mondiale almeno nel 2011, abbia spinto a una rapida e forse eccessiva discesa dei prezzi da parte dei produttori cinesi, anche con una certa dose di autolesionismo per alcuni di essi. E dunque, alla fine, proprio per questo dumping il bonus “made in Europe” poco è servito a mantenere in salute industrie nazionali ed europee. Industrie che probabilmente hanno fatto investimenti di lungo periodo e ad alto rischio in un settore tumultuoso, che poi a distanza di due o tre anni si è venuto a trovare in piena fase di consolidamento. Come abbiamo scritto recentemente, uno studio di GTM Research ritiene che il 60% dei produttori FV esistenti uscirà dal mercato tra il 2012 e il 2015 e il numero più alto di ‘vittime’ si conterà nei mercati dove produrre costa di più come USA, Europa e Canada.

Le importazione italiane di prodotti solari cinesi sono diminuite dai 4,8 miliardi di dollari nel 2010 ai 3,9 del 2011, secondo il Ministero del Commercio cinese. Va anche ricordato che dal 2001 la Cina ha fatto ricorso 10 volte al WTO per casi simili e per 6 cause i cinesi hanno vinto. Ora l’Unione Europea deve decidere entro 10 giorni se accogliere la richiesta di consultazione della Cina. La consultazione dovrebbe risolvere la controversia in meno di due mesi. In caso contrario la disputa verrebbe sottoposta a un panel di esperti che dovrebbero esprimere un giudizio in 6-9 mesi.

Il ricorso della Cina, che la scorsa settimana aveva fatto aprire un’indagine per dumping sull’importazione dall’Unione Europea, dagli USA e dalla Corea del Sud di silicio di grado solare, arriva a due mesi dall’avvio da parte della Commissione Europea di un procedimento anti-dumping sulle importazioni in Europa di moduli, celle e wafer fotovoltaici prodotti in Cina. In un tripudio di ricorsi e denunce sulla violazione del libero commercio internazionale, di cui tutti si riempiono la bocca, tranne scordarsene di tanto in tanto, si noti che l’Unione Europea aveva attaccato e denunciato il Canada all’Organizzazione mondiale del commercio per una normativa che impone alle aziende di realizzare impianti fotovoltaici con almeno il 60% di componenti prodotti nel Paese nordamericano. Insomma, il bue che dice cornuto all’asino. Ed è probabile che il WTO dia ragione alla UE.

Sempre in auge poi la battaglia dei dazi tra USA e Cina. A ottobre il Governo americano ha confermato i dazi anti-dumping sui prodotti solari cinesi importati negli Stati Uniti. Il dipartimento del Commercio ha annunciato di essere giunto alla conclusione definitiva che i prodotti in arrivo dal gigante asiatico siano stati venduti sottocosto grazie a sovvenzioni che hanno costituito una concorrenza sleale nei confronti dei produttori statunitensi.

Questa estrema conflittualità ha bisogno però di placarsi per consentire a tutti di guardare più avanti. Visto che i prezzi non potranno abbassarsi ancora di molto in modo artificiale, il rischio di proporre misure protezionistiche, quando ormai si impone ovunque un forte taglio degli incentivi, è quello di far lievitare i costi e rendere questa tecnologia meno competitiva nei confronti delle fonti convenzionali. Questo dovrebbe essere il vero baricentro per gli operatori industriali del settore. L’amministratore delegato dell’italiana Coenergia, Giulio Arletti, recentemente ha dichiarato: “fornitori di materie prime, produttori di attrezzature, sviluppatori di progetto, fornitori, costruttori, installatori e manutentori sarebbero colpiti da un ingiusto tentativo di proteggere pochi produttori che rappresentano soltanto una piccola parte dell’intera catena del valore”. Si allontanerebbe così l’agognata grid parity e verrebbero danneggiati anche i consumatori finali.

ADV
×