Scenari energetici futuri per l’Italia

La Strategia Energetica Nazionale (SEN) è troppo a breve termine e spiccano carenze importanti come quelle sulla costruzione di nuove centrali convenzionali. Sul fronte efficienza e rinnovabili gli obiettivi sono buoni ma gli strumenti carenti. L'editoriale di Gianni Silvestrini pubblicato sul numero in uscita della rivista QualEnergia.

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Finalmente, dopo essere stata annunciata per anni, è circolata a settembre una bozza della mitica Strategia Energetica Nazionale (SEN), uno strumento quanto mai necessario visti gli incisivi cambiamenti avvenuti nel mondo dell’energia e quelli ancora più radicali che verranno. Il documento prende atto del nuovo contesto e si allinea alla riflessione in atto in Europa, ma assume un orizzonte di breve termine, il 2020. Una decisione incomprensibile a fronte degli scenari UE che definiscono percorsi fino al 2050 e di Paesi come la Germania e la Danimarca che per quella stessa data hanno definito proprie “roadmap” verdi con obiettivi precisi sulle fonti rinnovabili.

È ovvio che la mancanza di un orizzonte di lungo periodo rende problematici gli investimenti o, peggio, consente di destinare risorse in impianti convenzionali che rischiano di non essere poi utilizzati con uno spreco di ricchezza e danni all’ambiente.

Investimenti nelle rinnovabili ed efficienza

Ma torniamo alla SEN per sottolineare alcuni segnali positivi, di rottura col passato. Iniziamo dalla previsione sui consumi di energia primaria. La Direttiva sull’efficienza energetica, approvata dal Parlamento Europeo lo scorso 11 settembre, prevede un impegno a ridurre entro la fine del decennio i consumi di energia primaria del 20% rispetto allo scenario tendenziale al 2020 e dell’11% rispetto ai consumi del 2010. Nel documento italiano i consumi al 2020 sono stimati in calo del 4% rispetto ai livelli del 2010, mentre quelli elettrici sono previsti stabili nel decennio. Un cambiamento netto rispetto agli scenari elaborati nell’ultimo mezzo secolo, che probabilmente dovrà essere rafforzato e che sarà raggiungibile solo con adeguate politiche sul lato dell’efficienza.

Altra novità viene dal mix delle fonti al 2020. Le rinnovabili dovrebbero soddisfare alla fine del decennio il 20% dei consumi finali totali, superando l’obiettivo del 17% richiesto dall’Europa. In particolare, la produzione elettrica verde dovrebbe balzare al primo posto con il 38%, superando di poco il gas. Un cambiamento di prospettiva non marginale rispetto al precedente Governo che ipotizzava una quota di rinnovabili elettriche solo del 25% al 2030 (ricordate: un quarto nucleare, un quarto rinnovabili e il resto idrocarburi), data in cui l’elettricità verde coprirà almeno il 45% della domanda.

Un altro elemento che sottolinea il cambio di prospettiva del documento è dato dagli investimenti da attivare entro la fine del decennio. Il 72% dei 180 miliardi € previsti sono infatti legati agli interventi sull’efficienza e sulle rinnovabili. Solo il 28% è attribuibile ai settori “convenzionali” quali l’estrazione di idrocarburi e la costruzione di centrali termoelettriche, elettrodotti, gasdotti, rigassificatori. Tutto bene dunque? Non proprio e per diverse ragioni. La distanza tra obiettivi e strumenti previsti, le strane dimenticanze, le proposte poco condivisibili.

Comparti green: buoni obiettivi, strumenti carenti

Partiamo dal primo aspetto. Il percorso normativo e di supporto appare molto incerto. Il caso più clamoroso è quello del fotovoltaico, gestito male già dal precedente Governo, per il quale si auspica un problematico passaggio a una diffusione senza incentivi, visto che il sostegno è destinato a esaurirsi entro la prossima primavera. Anche i meccanismi di incentivazione delle altre rinnovabili elettriche presentano irrigidimenti burocratici e scarsità di risorse. Nel caso delle rinnovabili termiche si ipotizza un raddoppio del loro contributo, ma il sostegno medio previsto di 0,9 miliardi €/anno pare difficilmente compatibile con questi risultati.

L’efficienza energetica viene definita la priorità della SEN e i certificati bianchi vengono indicati come lo strumento principale dei prossimi anni. Peccato che, a soli 3 mesi dalla scadenza degli obiettivi che i distributori di energia elettrica e gas devono raggiungere (dicembre 2012), non si è ancora indicato il target al 2020, elemento decisivo per rendere la proposta credibile. Positiva invece l’indicazione della prosecuzione delle detrazioni fiscali del 55%, ma andranno analizzate le modifiche preannunciate.

Complessivamente, a essere benevoli, la sensazione che emerge rispetto ai comparti green e white è quella di un “vorrei ma non posso”, avendo indicato come “di gran lunga il primo obiettivo” della SEN la riduzione dei costi. Ma non si considera che una politica oculata sul mix efficienza e rinnovabili si giustifica anche dal punto di vista economico e aiuta il Paese alla radicale transizione energetica dei prossimi decenni. Passiamo poi agli aspetti poco condivisibili.

Criticità estrattive

Una delle novità del documento è la proposta di un improbabile raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi da raggiungere con una serie di facilitazioni come la riduzione della distanza minima dalle coste per l’estrazione a mare. Aldilà degli aspetti ambientali e di sicurezza, che fanno prevedere una battaglia durissima contro molti progetti, questa opzione viene enfatizzata per gli aspetti occupazionali, per le entrate nelle casse pubbliche e per la riduzione di 5 miliardi € delle importazioni rispetto ai 62 miliardi che attualmente vengono spesi. Mentre le prime due ricadute sono reali, ma inferiori rispetto ad altre soluzioni green, come vedremo fra un attimo, l’ultima è alquanto discutibile. Il greggio che Shell o Total contano di estrarre in Basilicata verrà venduto sul mercato internazionale e se l’Italia lo vorrà utilizzare lo pagherà alle quotazioni del momento. Diverso è il caso delle rinnovabili o dell’efficienza che al 2020 comporteranno, secondo gli scenari della SEN, un’effettiva riduzione fisica delle importazioni del valore di 18 miliardi l’anno.

In realtà esistono percorsi alternativi che possono portare benefici maggiori al Paese, come la riqualificazione energetica dell’edilizia, la produzione di biometano (peraltro inopinatamente bocciata dal documento), l’incremento delle rinnovabili. Vediamo come, per esempio, il fotovoltaico potrebbe garantire un risparmio di metano di 3,7 miliardi di mc/anno, analogo all’aumento estrattivo del gas del 45% ipotizzato nella SEN. In un tempo paragonabile a quello necessario alla ricerca, autorizzazione e messa in attività dei pozzi si potrebbero installare 14 GW solari evitando l’importazione della stessa quantità di metano. Si tratta di un obiettivo raggiungibile e che verrà peraltro oltrepassato nell’arco di una decina di anni. Parliamo infatti di una potenza inferiore all’incremento fotovoltaico registrato nel triennio 2010-2012. Si consideri che la Germania, che ha già 30 GW solari, godrà di incentivi fino al raggiungimento di 52 GW, traguardo previsto nei prossimi 4-5 anni.

Fatto importante, gli impianti fotovoltaici verranno connessi in rete nel nostro Paese senza incentivi e con ricadute occupazionali ed entrate per lo Stato maggiori rispetto all’accelerazione delle estrazioni di metano. Infine, sarebbe probabilmente più saggio conservare come riserva di emergenza questi idrocarburi per un futuro in cui i prezzi dell’energia schizzeranno alle stelle.

Incertezze sul gas

Ci sono poi alcuni aspetti poco chiari. Si punta molto per esempio a fare dell’Italia un “hub” del gas, anche per ridurre il prezzo, più alto della media europea, che si traduce in aumento delle bollette (a proposito: sarebbe interessante un’analisi storica di questa anomalia e delle responsabilità connesse). L’idea è condivisibile, ma il rischio è quello di avere una sovrabbondanza di infrastrutture (rigassificatori, gasdotti) rispetto a una domanda in calo e a un’Europa che si avvia verso la decarbonizzazione. Del resto si nota un’incongruenza tra le previsioni sul consumo italiano di gas al 2020 contenute nella SEN (-16% rispetto al 2010) e le valutazioni della Snam che ipotizza invece un aumento del 20%. In assenza di indicazioni programmatiche di lungo periodo – a questo dovrebbe servire la SEN – le scelte le faranno le compagnie con il rischio di sovradimensionare gli investimenti, ripetendo lo scenario già visto con le centrali a gas a ciclo combinato.

Amnesie sulle centrali

E a proposito di centrali, un aspetto curioso e anomalo del documento è che non se ne parla affatto. Va bene dare la giusta enfasi a rinnovabili ed efficienza, ma è inspiegabile l’assenza di un capitolo sulla necessità o meno di nuovi investimenti nella produzione convenzionale. Così non si parla degli impianti di Porto Tolle, Rossano Calabro, Saline Joniche, Sulcis, per limitarsi all’alimentazione a carbone, sui quali esistono progetti molto contestati. In una situazione di eccesso di capacità, di forte crescita delle rinnovabili e di domanda stazionaria, dalla Strategia Energetica Nazionale ci si aspetterebbe un’indicazione chiara sulle dinamiche dell’offerta “convenzionale”.

Per concludere sulla SEN e gli scenari futuri dell’energia, sarebbe utile che decisori politici, imprenditori e in particolare coloro che si occupano di tematiche energetiche leggessero l’ultimo libro di Amory Lovins, Reinventare il Fuoco, appena uscito anche in Italia. Ne trarrebbero utili sollecitazioni sulle opportunità che si aprono in questa fase di rapidissimi cambiamenti.

Dal mondo: segnali preoccupanti per il clima

Anche se se ne parla poco sui media, è bene tenere i riflettori accesi sul global warming, come evidenziano i dati riportati a pag. 88 (pdf).

Nel mese di settembre 2012 si è registrato un nuovo inquietante record. La superficie dei ghiacci artici si è ridotta a soli 3,5 milioni di chilometri quadrati, la metà rispetto a 40 anni fa. In sostanza la calotta artica si sta disintegrando a un ritmo di più del 10% ogni decennio. Parallelamente la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera continua a crescere e ha raggiunto i valori più alti degli ultimi 800.000 anni. Nel 2012 si toccheranno i 394 ppm, 44 in più rispetto alla soglia dei 350 da non superare per evitare conseguenze catastrofiche al Pianeta secondo James Hansen, il famoso climatologo che dirige il Nasa Goddard Institute for Space Studies. E proprio Hansen ha appena pubblicato una ricerca che analizza l’evoluzione nel tempo delle temperature delle terre emerse dell’emisfero Nord, selezionando quelle risultate “estremamente calde” nelle estati negli ultimi trent’anni. Quest’elaborazione statistica è servita a sgombrare il campo rispetto al ritornello che si ripete in presenza di eventi eccezionali, come la siccità che questa estate ha messo in seria difficoltà la produzione agricola statunitense, e cioè che non si può con certezza dire se essi siano legati al cambiamento del clima. Dall’analisi del Nasa GISS si evince infatti come le aree definite “extremely hot“, inesistenti nel trentennio precedente, siano progressivamente cresciute raggiungendo nel 2011 il 12% della superficie non oceanica del nostro emisfero.

A fronte di questi preoccupanti segnali e del continuo approfondimento scientifico che ha portato anche alcuni dei pochi scienziati rimasti scettici a ricredersi, le negoziazioni sul clima continuano a veleggiare su un basso profilo. Non pare che alla prossima Conferenza delle Parti della Convenzione (COP18) prevista a Doha in Qatar dal 26 novembre al 7 dicembre prossimi, possano emergere risultati esaltanti. Significativamente, la questione climatica è rimasta al di fuori della campagna per le elezioni presidenziali negli USA.

Ancora una volta c’è da sperare nel ruolo dell’Europa, che non ha messo nel cassetto la proposta di innalzare al 30% l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti al 2020. E nella sorpresa della Cina che puntando in modo sempre più incisivo sulle clean technologies, per esempio ha appena quadruplicato gli obiettivi sul fotovoltaico, potrebbe nei prossimi 2-3 anni ribaltare gli equilibri diplomatici consentendo di raggiungere un accordo per il post-Kyoto.

L’articolo è stato pubblicato sulla rivista bimestrale QualEnergia (n.4/2012)

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