Il fotovoltaico italiano oltre il quinto conto energia

Che impatto avrà il V conto energia? Quanto potranno diminuire i prezzi degli impianti? Quali nuovi modelli di impianto permetteranno agli operatori di sopravvivere e magari rinunciare agli incentivi? Verso quali mercati esteri andare? Intervista a Vittorio Chiesa, direttore dell'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.

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Con il quinto conto energia fresco di approvazione definitiva, il mondo del fotovoltaico italiano si sta interrogando sul suo futuro. Molte le domande che ci si sta fecendo: quanto potranno diminuire i prezzi degli impianti? Quali nuovi modelli di impianto permetteranno di sopravvivere e magari rinunciare agli incentivi? Verso quali mercati esteri scappare? Abbiamo girato questi interrogativi a uno dei massimi esperti dell’economia del fotovoltaico italiano, il professor Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.

Professor Chiesa, che impatto avrà questo quinto conto energia sul fotovoltaico italiano?

La burocratizzazione della gestione dell’accesso, ossia il registro con una soglia così bassa, è forse il fattore più rilevante. Dall’altra parte c’è una riduzione delle tariffe significativa, ma alla quale gli operatori sapranno reagire. I tempi di rientro dell’investimento salgono significativamente, mentre la resa economica scende. Sicuramente il nuovo conto privilegia impianti piccoli e in autoconsumo. È un po’ un ritorno alle origini: dopo un intermezzo caratterizzato da approcci a volte speculativi e grandi impianti, il FV ritorna alla sua naturale vocazione alla generazione distribuita.

Si dovranno sviluppare nuovi modelli di business, più legati al consumo in sito?

Sì, per esempio i sistemi efficienti di utenza, un fronte molto interessante che però ancora deve essere regolato a livello normativo. Consentirebbero di vendere direttamente l’energia in loco senza passare per la rete, molti operatori si stanno attrezzando in questo senso ma, come detto, manca una declinazione normativa opportuna.

L’Autorità dell’Energia a Solarexpo ha promesso che la delibera sui SEU, attesa da oltre quattro anni, arriverà  a brevissimo (vedi Qualenergia.it, ndr). Una volta risolta la questione normativa, i SEU decolleranno o permangono altri ostacoli? Penso per esempio alle difficoltà di accesso al credito per un modello di business ancora poco conosciuto e che contiene alcune incertezze.

La sensibilità su questi temi è sempre più alta, ci sono già diversi operatori ed EPC contractor che stanno ragionando in questo senso, le banche dovranno fare di necessità virtù e aprirsi a queste applicazioni. Anche qualche operatore finanziario ha già messo gli occhi su queste soluzioni, per cui le prospettive sono buone. Dopo il periodo di transizione di questo quinto conto energia, il fotovoltaico dovrà contare per forza su soluzioni innovative del genere.

Che tipologia di impianto riuscirà per prima a reggersi in piedi senza incentivi?

Prescindendo dai SEU, per gli impianti tradizionali sono le soluzioni tra 200 e 400 kWp su edificio con autoconsumo che raggiungeranno per prime la grid parity.

E invece il modello di SEU ideale: quale impianto abbinato a quale utenza?

Ci stiamo studiando, certamente i SEU andranno abbinati ad attività produttive con consumi sostenuti e costanti.

Tornando agli impianti tradizionali, quanto dovranno costare affinché nelle situazioni migliori si arrivi alla grid parity?

Premettiamo che nel nostro concetto di grid parity noi intendiamo che prodursi l’energia deve essere conveniente rispetto ad acquistarla dalla rete e non meramente equivalente, cioè l’investimento deve avere un rendimento in termini di IRR attraente. Diversamente, in un’ottica di parità pura, nessuno sceglierebbe di installare l’impianto fotovoltaico. Detto questo, i nostri calcoli mostrano che un impianto da 400 kWp con una vita utile di 30 anni, al Sud Italia, con un autoconsumo del 50% della produzione, potrebbe arrivare alla grid parity, cioè avere un IRR del 6-7%, se venisse installato a un costo di 1.300-1.400 euro/kW.

Come prevede procederà il calo dei prezzi degli impianti nei prossimi mesi?

La discesa è stata molto forte in questo primo semestre 2012;con la riduzione degli incentivi si assisterà a una compressione ulteriore. Non credo però ci sia uno spazio molto grande per una riduzione ulteriore del prezzo dei moduli. La pressione dei produttori asiatici da questo punto di vista è alta, ma anche loro stanno avendo difficoltà, per esempio quelle legate alle misure anti-dumping americane, quindi non so se saranno in grado di spingere al ribasso sui prezzi come fatto finora. Probabilmente ci sarà spazio di compressione sulle altre componenti: inverter, progettazione e installazione.

Tra gli operatori con cui abbiamo parlato c’è chi si è prefisso l’obiettivo di riuscire a vendere tra qualche mese impianti da 3 kW chiavi in mano a 5mila euro. E’ una riduzione di prezzo verosimile?

È una riduzione molto pesante, un obiettivo molto sfidante. Si parla di 1.600-1.700 euro a kW: un prezzo da impianti da centinaia di kW. Già ora con un impianto da 3 kW, al prezzo attuale di circa 8.000-8.400 euro iva inclusa, qualche punto di IRR si porta a casa e il tempo di ritorno dell’investimento resta ragionevole, sotto ai 10 anni. Difficile prevedere come proseguirà la riduzione dei prezzi nei prossimi mesi: potrei azzardare per un 3 kW entro fine anno una riduzione fino a 7.000-7.500 euro.

Come impatterà sulla filiera italiana del FV il nuovo regime incentivante?

I produttori di moduli stanno vivendo un periodo difficile, anche per la concorrenza sottocosto delle industrie asiatiche. Abbiamo visto riduzioni di produzione e personale significative. Il premio “made in Europe” del quinto conto energia potrebbe aiutare, ma non credo in maniera significativa: nel panorama italiano resterà vivo solo un numero circoscritto di produttori in questo segmento della filiera. Sacrifici con riduzione dei margini di guadagno dovranno poi avvenire anche nel resto della filiera: produttori di inverter e componenti, progettisti e installatori.

Molti stanno guardando all’estero.

Sicuramente ci sono mercati interessanti che si stanno aprendo. Per esempio quelli dell’Est Europa, la Turchia, il Nord Africa mediterraneo. Mercati su cui non è sempre facile operare ma in cui stiamo vedendo nascere joint venture e collaborazioni. La tendenza è sicuramente quella di muoversi su altri mercati. Ho elencato i più vicini, ma ce ne sono altri di interessanti: per esempio il Sud Africa, il Brasile. Chiaramente serve la forza di fare investimenti commerciali opportuni, è questa la strada che prenderà chi sopravviverà in Italia.

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