Ecco chi paga i mercenari del negazionismo climatico

Dietro lobby e campagne comunicative per frenare il taglio delle emissioni ci sono le stesse grandi corporation che ufficialmente si dicono preoccupate per il global warming. Un report della Union of Concerned Scientists esamina la condotta contraddittoria di 28 grandi aziende. Un viaggio nel retrobottega del negazionismo prezzolato.

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A molti potrà sembrare incredibile, ma c’è ancora chi fa campagne (dis)informative in grande stile per affermare – contro ogni evidenza scientifica – che il riscaldamento globale antropogenico non esiste. Iniziative che a volte fanno sorridere, come l’ultima del noto think-tank conservatore americano Heartland Institute. Una campagna basata su una solida argomentazione: Bin Laden, Unabomber e anche Marylin Manson credono nel riscaldamento globale, per cui se ci credi anche tu facile che sei un pazzo omicida (vedi immagine, con Unabomber).

Rispondere all’Heartland Institute che sembra anche che Adolf Hitler fosse convinto che la Terra sia rotonda è abbastanza facile. Più difficile è affrontare altri negazionisti che, mentre ufficialmente ammettono il problema e spesso dichiarano pure il loro impegno per risolverlo, nella realtà si spendono per frenare le leggi contro le emissioni e minimizzare la questione, anche finanziando segretamente fondazioni come lo stesso Heartland Institute. È il caso di molte grandi corporation la cui condotta contraddittoria in materia di global warming viene smascherata in un report appena pubblicato dalla Union of Concerned Scientists (qui in pdf).

La ricerca mette sotto la lente d’ingrandimento le attività di boicottaggio della lotta per il clima negli Usa per negli anni 2009 e 2010 di 28 grandi aziende quotate in borsa. Giganti dell’energia come ConocoPhillips, ExxonMobil, e la utility DTE energy ne escono malissimo, ma non fanno una bella figura neanche aziende come General Electric che, mentre ufficialmente pone il riscaldamento globale come perno delle sue politiche aziendali, supporta lobby e think-tank che negano o minimizzano la questione.

Sono diverse le cose interessanti che si scoprono dal report riguardo la doppia faccia delle corporation. Ad esempio Caterpillar Inc, nonostante il suo impegno pubblico alla sostenibilità, ha speso 5 volte di più per azioni di lobbying volte a bloccare leggi contro le emissioni che per sostenere politiche pro-ambiente.

La peggiore tra le aziende monitorate, Peabody Energy Corporation, che produce carbone, ha stanziato più di 33 milioni di dollari per fare lobby al Congresso statunitense contro leggi che tagliassero le emissioni e per supportare gruppi che fanno disinformazione sulla questione global warming.

Molto probabilmente però le aziende in questione hanno speso e fatto molto di più per frenare la lotta al global warming di quanto sta scritto nel report, dato che, come sottolineano gli autori, gran parte di queste operazioni avvengono in maniera ben poco trasparente.

Interessante è invece come tutte e 28 le compagnie a parole si dicano preoccupate per il cambiamento climatico: un segnale che ci dice come ormai negare l’opportunità e l’urgenza di dare un taglio alle emissioni di CO2 sia una posizione non più sostenibile pubblicamente. Un lavoro sporco da lasciar svolgere ai lobbysti nella discrezione dei corridoi della politica o, per quel che riguarda il tentativo di convincere l’opinione pubblica, da affidare a mercenari della comunicazione, anche a quelli più rozzi, come l’Heartland Institute.

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