Fotovoltaico, cosa risolverà il protezionismo Usa?

Fatta la legge, trovato l'inganno? I produttori di moduli FV cinesi riusciranno ad aggirare i super-dazi sull'import decisi dal dipartimento per il Commercio Usa? E ancora: il protezionismo aiuta l'industria del fotovoltaico a sopravvivere a questa fase difficile, o invece rallenta il dispiegamento dell'energia solare, frenando la discesa dei prezzi?

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Fatta la legge, trovato l’inganno? I produttori di moduli cinesi riusciranno ad aggirare i super-dazi sull’import decisi dal dipartimento per il Commercio Usa? E ancora: il protezionismo aiuta l’industria del fotovoltaico a sopravvivere a questa fase difficile, o invece rallenta il dispiegamento dell’energia solare, frenando la discesa dei prezzi?

In questi ultimi giorni si è scritto un nuovo capitolo della guerra commerciale sul fotovoltaico tra Usa e Cina. Da tempo la disputa era covata sotto la brace: i produttori cinesi sono accusati di dumping perché solo grazie ai generosi aiuti di Stato da Pechino riuscirebbero a praticare i prezzi stracciati con cui l’industria a stelle e strisce non riesce a competere. La prima fiammata si era avuta a marzo, quando il Department of Commerce Usa, sollecitato da una coalizione di industrie americane guidate da SolarWorld Usa, aveva deciso di imporre dei dazi sull’import da produttori cinesi.

I dazi imposti a marzo però erano quasi risibili: dal 3 al 5% del valore dei moduli importati. Ma il vero colpo è arrivato nei giorni scorsi, quando il Dipartimento per il Commercio degli Stati Uniti, al termine della seconda fase dell’indagine sul presunto dumping cinese negli Usa, ha deciso nuovi dazi sull’import di celle cinesi che vanno dal 31,2% per i prodotti di Suntech, Trina Solar e altre 59 società, al 250% per quelli di altri esportatori cinesi (qui la decisione, pdf).

I dazi, che hanno valore retroattivo di 90 giorni e dovranno essere confermati entro novembre, sono stati accolti con entusiasmo dalla Coalition for American Solar Manufacturing (Casm), l’associazione fondata dalle filiali Usa della tedesca SolarWorld e dell’italiana MX Solar e dalla statunitense Helios Solarworks, mentre hanno suscitato critiche dell’associazione anti-dazi Coalition for Affordable Solar Energy (Case), secondo la quale i dazi non faranno altro che rendere meno competitivo il fotovoltaico rispetto alle fonti fossili.

Ma in realtà quali saranno le conseguenze pratiche di questa guerra commerciale per il fotovoltaico mondiale?

Secondo un report preparato da The Brattle Group su commissione di Case, i dazi, tra posti di lavoro persi nella filiera del FV e restrizioni sull’import di silicio americano, che la Cina potrebbe mettere in atto da qui al 2014, costerebbero fino a 60mila posti di lavoro negli Usa, tenendo anche conto dei posti di lavoro negli stabilimenti di celle FV americane.

Tuttavia quanto le barriere riusciranno veramente a fermare l’import cinese è tutto da vedere. I nuovi dazi, sommati a quelli introdotti a marzo, dovrebbero pesare circa 0,30 $ a Watt sul prezzo dei moduli, che attualmente sono venduti in media a poco meno di 1 $/Watt. Tuttavia, stima GreenTechMedia, con un minimo costo aggiuntivo (0,06-0,08 $/W) i produttori cinesi potrebbero aggirare la barriera facendo passare moduli e celle da Taiwan.

Da un fenomeno simile mettono in guardia alcuni analisti citati dal “Financial Times”: i cinesi avrebbero già avviato programmi per approvvigionarsi di celle a Taiwan e in Corea del Sud, giacché le restrizioni all’import americane riguardano esclusivamente questi componenti e non i moduli o i pannelli. Con l’attuale sovracapacità produttiva del mercato delle celle non avranno certo alcun problema di approvvigionamento: in particolare, Taiwan ha una capacità produttiva di oltre 7.300 MW l’anno, mentre la Corea dispone di almeno altri 2.000 MW/anno.

Che i dazi non siano risolutivi par la situazione dei produttori Usa d’altra parte lo si capisce anche da quel che è accaduto al titolo dell’americana First Solar, che dopo un piccolo sobbalzo in Borsa all’annuncio delle tariffe, ieri ha toccato il suo minimo. Come fa notare un’analisi pubblicata sul Wall Street Journal, gli Usa sono un mercato troppo piccolo perché i dazi diano conseguenze significative: l’11% della domanda mondiale nel 2011 contro il 53% dell’Europa.

La stessa First Solar ha annunciato di recente che tra i mercati cui vuole rivolgersi ci sono Brasile, India, Australia e la stessa Cina: anziché dare sollievo all’industria domestica i dazi potrebbero rivelarsi controproducenti se altri Paesi adottassero misure analoghe nei confronti degli States.

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