Le sabbie bituminose in Europa e gli interessi dell’Eni

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L'Unione Europea rimanda la decisione sulla Direttiva Fuel Quality che dovrebbe assegnare un certo impatto ambientale ai combustibili fossili, associando, per esempio, alle sabbie bituminose un quantitativo di CO2 maggiore del 23% rispetto al petrolio tradizionale. Il Governo italiano con le compagnie petrolifere e gli interessi dell’ENI.

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La decisione sul sistema di tracciabilità e di carbon footprint dei carburanti fossili è stata rimandata per approfondire lo studio dei loro impatti. Plaudono le lobby del petrolio, secondo le quali la proposta europea avrebbe avuto “costi amministrativi sproporzionati”. Anche se, secondo un report indipendente commissionato da Transport & Environment, la tracciabilità di filiera del carburante fossile costerebbe solo mezzo centesimo in più per un pieno di benzina.
In realtà dietro ad aspetti di natura tecnica si nasconde una battaglia di vitale importanza per il clima e per il futuro energetico dell’Europa: l’ingresso nel continente del petrolio proveniente dalle sabbie bituminose. Una battaglia nella quale fino a ora l’Italia è stata dalla parte delle compagnie petrolifere.

La storia nasce nel 2009 dalla Direttiva Fuel Quality (n. 30/2009), che prescrive per l’Europa un obiettivo sulla CO2 associata ai carburanti: ridurre le emissioni del 10% entro il 2020. Di questo 10%, il 2% dovrebbe essere assolto con progetti realizzati nei Paesi emergenti, partecipando ai CDM – Clean Development Mechanism – del Protocollo di Kyoto e un altro 2% grazie ad attività di CCS – Carbon Capture & Storage. Rimane quindi un 6%; ma per calcolare realisticamente di quanto si è ridotto l’ammontare di CO2 servirebbe una metodologia appropriata, che dal 2009 non è stata ancora approvata.

Solo a ottobre 2011 la Commissione è arrivata a formulare una proposta di calcolo che prevede un sistema del tutto speculare a quello già in vigore per i biocarburanti, attribuendo, cioè, valori di default per i carburanti.
Secondo questo sistema, il petrolio proveniente dalle sabbie bituminose avrebbe per esempio un quantitativo di CO2 associato superiore del 23% rispetto al petrolio tradizionale, determinando un probabile differenziale di prezzo tra petrolio tradizionale e petrolio “pesante”.
Non a caso il Governo canadese sta portando avanti determinate azioni di lobbying a livello europeo e in singoli Stati, Italia compresa. La Canadian Association of Petrolium Producers (CAPP) ha organizzato diversi incontri presso ambasciate europee. “Con l’eccezione dell’Italia, tutti gli incontri a cui abbiamo partecipato si svolgono su base regolare” – ha dichiarato Davies, portavoce della CAPP. Sembra quindi che quello italiano sia stato proprio un incontro ad hoc per parlare della Fossil Fuel Directive e delle sabbie bituminose. Inoltre, presso la sede romana dell’Ambasciata canadese si è anche svolto il convegno “Energia sicura e responsabile: Canada-Italia a confronto“, in cui si presentava il petrolio da sabbie bituminose come “un’energia pulita e sicura”. 

L’Italia, attraverso il Ministero dell’Ambiente, ha mostrato di essere contraria alla proposta europea. Infatti il 23 febbraio a Bruxelles c’è stata la votazione in Commissione, in cui i tecnici inviati dal Ministero italiano hanno votato contro la proposta di calcolo della UE. Hanno invece indicato un’ulteriore proposta che prevede di spostare l’onere delle attività di reporting sulla Commissione Europea, invece che sulla catena di produzione della raffinazione e distribuzione del petrolio, deresponsabilizzando così le compagnie petrolifere. La controproposta italiana ha rischiato di far saltare tutto l’iter di approvazione. 

Forse perché dietro ci sono notevoli interessi dell’ENI proprio sulle sabbie bituminose? Sappiamo che in Congo c’è già un accordo con il Ministero locale per lo sfruttamento di un’area di 1.790 kmq. In Venezuela l’ENI ha avviato un investimento da 7 miliardi per l’estrazione del petrolio pesante nell’area dell’Orinoco. Infine, la controllata Saipem ha un contratto nel miliardario progetto Horizon Oil Sands per la costruzione di un impianto per l’estrazione del petrolio delle sabbie bituminose canadesi.

Le riserve mondiali di sabbie bituminose secondo l’ENI sono stimate in 1.300 miliardi di barili, considerando che producono il 23% in più di CO2 del petrolio normale, sono in grado di rilasciare circa 3.500 miliardi di tonnellate di CO2: oltre 100 anni di emissioni umane. In un mondo in cui la rivoluzione energetica in corso sta trasformando la produzione di energia orientandola verso le rinnovabili, il petrolio da sabbie bituminose e le altre fonti petrolifere non convenzionali sembrano l’ultimo appiglio dell’industria dell’oro nero per ritardare un inevitabile declino.

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