La scappatoia di ridurre subito le emissioni di metano

Iniziative internazionali e studi scientifici suggeriscono che tagliare le emissioni di metano, un gas 20 volte più dannoso dell'anidride carbonica, possa essere una soluzione rapida al riscaldamento globale. Ma una strategia di lungo periodo non può non prevedere riduzioni della CO2, che resta in atmosfera per secoli.

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Ridurre il riscaldamento globale senza passare attraverso la riduzione della CO2 ma puntando su altri inquinanti. C’è chi vi vede una soluzione rapida ed efficace per combattere i cambiamenti climatici, e c’è chi ritiene che questo approccio possa essere controproducente.
Lo scorso febbraio gli USA hanno lanciato una strategia che sposta il focus delle azioni contro il riscaldamento globale dall’anidride carbonica verso inquinanti altrettanto – se non più – dannosi, ma dalla più breve permanenza in atmosfera.

La Climate and Clean Air Coalition to Reduce Short-Lived Climate Pollutants è un’iniziativa che mette insieme Stati Uniti, Bangladesh, Canada, Ghana, Messico e Svezia, con il coordinamento dell’Environmental Program delle Nazioni Unite (Unep). L’obbiettivo è di produrre vantaggi concreti per il clima, la sicurezza alimentare, la sanità e la gestione dell’energia attraverso la riduzione di inquinanti climalteranti dalla breve permanenza in atmosfera. In particolare, la coalizione intende concentrarsi sulla riduzione di metano, idrofluorocarburi e black carbon. La componente più importante di questa triade è data dal metano: un gas serra considerato 20 volte più potente dell’anidride carbonica ma che, a differenza di quest’ultima, nel giro di una dozzina d’anni scompare dall’atmosfera. Le azioni proposte dal piano USA prevedono di catturare il metano prodotto da discariche, attività minerarie e impianti di produzione energetica, per poi utilizzarlo come combustibile. 

L’iniziativa si basa su una serie di studi secondo cui la riduzione del metano sarebbe un modo più rapido per affrontare i cambiamenti climatici rispetto alle strategie che puntano sulla CO2. Oltre a una ricerca pubblicata lo scorso novembre dallo stesso Unep, a portare il dibattito sul metano è stato uno studio condotto dal Nasa Goddard Institute, in collaborazione con l’Earth Institute della Columbia University, intitolato Simultaneously Mitigating Near-Term Climate Change and Improving Human Health and Food Security. Gli autori della ricerca, pubblicata lo scorso gennaio sulla rivista Science, individuano 14 azioni mirate alla riduzione dell’ozono troposferico e del black carbon, attraverso cui – sostengono – si può ottenere un abbassamento di 0,5 gradi centigradi rispetto ai livelli di riscaldamento globale previsti dalla scienza entro il 2050. In un lasso di tempo minore rispetto alla tempistica richiesta dalla strategia di riduzione della CO2, si potrebbe evitare di superare quel limite di 2 °C che metterebbe a rischio l’umanità.

Questa strategia sarebbe inoltre in grado di evitare da 0,7 a 4,7 milioni di morti premature dovute all’inquinamento atmosferico e, grazie alla riduzione dell’ozono nel periodo fino al 2030, consentirebbe ai raccolti agricoli di ottenere tra i 30 e i 135 milioni di tonnellate di prodotto in più. In termini economici, i vantaggi della riduzione del metano, dice lo studio, vanno da un minimo di 700 a un massimo di 5.000 dollari per tonnellata di gas inquinante.

Lo studio non nega la necessità di ridurre la CO2 che, rimanendo in atmosfera per secoli, è il principale problema da risolvere per una qualsiasi strategia di lunga durata contro il riscaldamento globale. “Alla fine dovremo occuparci della CO2 – dice Drew Shindell, climatologo a capo del gruppo di ricerca – ma, nel breve periodo, puntare su questi altri inquinanti è più fattibile e porta rapidi benefici. Abbiamo identificato azioni pratiche che possiamo portare avanti con tecnologie esistenti. Proteggere la salute pubblica e le riserve alimentari, in molti Paesi potrebbe avere la precedenza rispetto a evitare i cambiamenti climatici, ma sapere che queste misure sono anche in grado di mitigare il climate change può aiutare a motivare la politica a mettere in pratica questi provvedimenti”.

Una posizione molto simile a quella espressa nel protocollo che istituisce la Climate and Clean Air Coalition: “Il lavoro della coalizione – si legge – amplierà e non sostituirà le azioni globali per ridurre l’anidride carbonica”. Altre iniziative stanno nascendo, anche in Europa, per ridurre le emissioni di metano.

Ma dubbi e perplessità nel mondo scientifico, come tra gli ambientalisti, non mancano. Una ricerca del Copenhagen Consensus Center conclude in modo piuttosto categorico che questa strategia non supera il test dei costi-benefici: la riduzione delle emissioni di metano non è in grado di invertire la tendenza delle temperature globali sul lungo termine, al di là di cambiamenti marginali. Lo studio, etichettando come “distorto” l’approccio che vede le due strategie in alternativa, propone che piuttosto vengano portate avanti azioni congiunte e contemporanee di riduzione del metano e della CO2. Infatti, mentre portare avanti azioni contro la riduzione del metano senza fare nulla per ridurre la CO2 non farebbe che ritardare il momento in cui le temperature globali raggiungeranno livelli di irreversibile rischio, puntare solo sull’anidride carbonica senza tagliare gli inquinanti di breve permanenza accelererebbe il riscaldamento nei prossimi decenni, ma darebbe risultati migliori nella seconda metà del secolo. Contro il riscaldamento globale non esistono soluzioni facili, né panacee: integrare le due strategie, dunque, sembra l’unica soluzione sensata. 

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