FV tra globalizzazione, protezionismo e model business

Contrari e favorevoli al premio "made in UE". Accuse di protezionismo e di distorsioni di mercato per alcuni, una forma di difesa in un mercato senza un'equa competizione con i cinesi, per altri. Un dibattito emerso nella conferenza CIS di Roma, ma che forse verrà presto superato dalle rapide dinamiche globali del settore.

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Quando un prodotto è su una scala globale con numeri importanti e la sua produzione diventa standardizzata questo diventa una commodity e non è più possibile pensare a piccole produzioni locali. L’industria fotovoltaica è in questa fase e, dunque, le produzioni tendono a spostarsi dove possono essere più competitive. Questo è sicuramente un approccio condivisibile in senso generale, ma contestato dai produttori nazionali di celle e moduli che lamentano l’iniqua competizione con le produzioni e il mercato asiatico e cinese in particolare. Due posizioni che sono emerse nel corso di un workshop nell’ambito della Conferenza dell’industria Solare (CIS-IT 2012) di Roma e ben rappresentate, la prima, da Giuseppe Sofia di Conergy e, la seconda, da Paolo Andrea Mutti di Solsonica.

Per Sofia su questi aspetti ci possono, certo, essere delle eccezioni e anche in Italia vi sono casi significativi. Si pensi alle produzioni italiane leader a livello internazionale nel campo degli inverter e, se si esce da questo settore, si può far riferimento  all’occhialeria, un prodotto facilmente replicabile, se vogliamo, anche in Cina o in Asia. “Ma – spiega l’Ad di Conergy – sono casi di successo non tanto legati alla produzione, ma alla formula aziendale nella sua interezza, come la forza del marchio, della strategia commerciale, dei servizi, della qualità e dei valori dell’azienda.

Per Giuseppe Sofia mantenere oggi la propria presenza sul mercato FV richiede la messa in campo di alcune strategie chiave e non tanto legarsi a forme di protezionismo in senso lato. Una prima azione è puntare sull’internazionalizzazione, perché dipendere da un singolo mercato è molto rischioso, specialmente se le sue dinamiche sono imprevedibili; altro approccio utile è di creare forti alleanze o partnership, visto che operare da PMI in un mercato così competitivo è diventato troppo complesso; alleanze strategiche potrebbero inoltre accelerare quel processo di internazionalizzazione, consentendo di ampliare il portafoglio di prodotti, e ammortizzando così le variabili legate ad un singolo paese, mercato o prodotto. Altro fattore citato da Sofia è quello relativo alla lunghezza della filiera: più corta è, meno si risente del fattore prezzo, quindi minori i ricarichi e prezzi più competitivi. Un esempio è la cosiddetta solar utility, in cui il produttore di componenti finisce anche per realizzare e gestire il suo impianto e vendere energia. Un quarto approccio è saper investire in nuove soluzioni e ricerca. Una nota dolente per l’Italia.

Ma in cosa consiste allora il divario con la Cina, ad esempio nella produzione di moduli e celle? Sappiamo che la competitività della produzione cinese nel fotovoltaico è da ricercarsi nel costo di produzione più basso, nelle facilitazioni governative, soprattutto per l’export, un più semplice accesso al credito e notevoli economie di scala e di filiera, con una forte presenza di aziende multi-megawatt e oltre 250 produttori nel paese.

Però l’Ad di Solsonica, azienda produttrice italiana di celle e moduli, preferisce sfatare alcuni luoghi comuni come quello che non si possa fare produzione di solare in Italia. Per Mutti il costo di produzione di un modulo al 75% è da imputare ai costi di materiali, in particolare silicio. “Quindi la regola aurea è: saper comprare bene”, dice. Più marginale sarebbe quindi il costo del lavoro.

Ma cosa ha portato a prezzi così bassi che stanno schiacciando molti operatori e industrie del settore?

“Quando l’intera filiera, fino al modulo, non è in tensione come ora, non ci sono più margini e allora capita, come sta succedendo anche in Cina, che anche gli operatori integrati verticalmente stiano perdendo tantissimo. Oggi le trimestrali dei produttori di wafer e celle sono in perdita operativa”, ha spiegato Mutti, aggiungendo che, in questo momento integrare la filiera “è un massacro dal punto di vista economico-finanziario”.

“Le aziende oggi stanno facendo girare le macchine, visti i loro notevoli costi di investimento”, aggiunge. “Stanno solo provando a recuperare i costi di cassa. Ecco il motivo dei prezzi bassi”.

Allora come la mettiamo sulla protezione alle produzioni nazionali, come è, di fatto, il premio del 10% previsto dal quarto conto energia? In generale non esistono per Mutti le condizioni per un’equa competizione tra produttori europei ed asiatici, “basti pensare al recupero dell’IVA delle industrie cinesi, per una percentuale di circa il 10%; motivo per cui noi produttori italiani abbiamo chiesto quel premio “made in UE” per i componenti europei. Questo non è protezionismo, ma un atto di difesa nei confronti di un produttore il cui Stato elargisce un importante incentivo all’esportazione”. Purtroppo, come sappiamo, questa regola si è annacquata e non ha dato i suoi frutti.

Nonostante ciò l’’Ad di Conergy, Sofia, ha spiegato di non essere favorevole a formule di protezionismo, perché mantenere artificialmente alto il prezzo di questi prodotti non è quello di cui il fotovoltaico ha bisogno. “Il nemico del FV oggi è la dipendenza dagli incentivi e prima si sdogana da questi e prima potrà diventare una soluzione mainstream dal punto di vista della produzione energetica e puntare ai veri grandi numeri”.

Alcuni ritengono anche che quel premio adottato da un mercato leader al livello mondiale come quello italiano, sia stata una causa della rapida discesa dei prezzi e della conseguente crisi di molti operatori extra-asiatici (giapponesi inclusi). Le dinamiche globali probabilmente spazzeranno presto tutto questo dibattito.

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