Legati a filo doppio con il gas russo

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Sull'import di gas siamo stati e saremo spesso in situazione di emergenza per il freddo o per le tensioni politiche. Quella di questi giorni non è una novità. Cosa va rivisto nell'infrastruttura e nelle politiche nazionali? Ne parliamo con GB Zorzoli che spiega come sia necessario diversificare di più in siti di stoccaggio, terminal e gasdotti, il tutto finora troppo nelle mani dell'Eni.

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“Per noi la dipendenza da gas è un tallone d’Achille, più di altri paesi europei. Ma soprattutto va detto che la presenza di un grosso complesso come Eni ha sostanzialmente bloccato la diversificazione degli approvvigionamenti. Questo è un paese che ha difficoltà a fare terminali di gas naturale e siti di stoccaggi. Eni per molto tempo ha continuato a parlare di ‘bolle di gas’, ma non era così. C’è stata anche la difficoltà di fare gasdotti alternativi a quelli di Eni e il fatto che finora che abbia avuto la gestione della rete nazionale di trasporto ha fatto sì che tutto lo stoccaggio è nelle sue mani”. Questo ci dice il professor Gianbattista Zorzoli, esperto energetico e attuale presidente di Ises Italia, interpellato sulla crisi dei rifornimenti di gas dalla Russia per l’ondata di freddo che ha colpito quel paese così come tutta l’Europa.

Gianni Di Giovanni dell’Eni intanto ha fatto sapere che ieri abbiamo avuto una richiesta record del 40% superiore rispetto all’anno scorso. Questi picchi di domanda vengono affrontati con gli stoccaggi, ha spiegato. Ed ha aggiunto che “siamo in una situazione di attenzione molto seria per cercare di dosare le opportunità per far fronte alle esigenze”.

Ma cosa si può fare veramente con gli stoccaggi nostrani? Qual è il legame tra il numero degli stoccaggi e la quantità delle riserve effettivamente disponibili? Zorzoli ce lo chiarisce: “Il gas nei depositi è in pressione. Questi funzionano bene all’inizio, ma appena fuoriesce un certo quantitativo, la pressione cala e la portata si riduce tantissimo. Noi abbiamo messo i depositi di gas nei giacimenti esauriti della valle padana, dove il gas non aveva più pressione per uscire. Ma anche qui, dopo un certo utilizzo la portata diminuisce drasticamente. Il punto è che bisogna avere molti stoccaggi per i momenti di emergenza. La quantità di gas che c’è dentro dice poco”.

Il dato ufficiale è che fino a sabato il deficit di gas russo è stato compensato anche con maggiori erogazioni da stoccaggio: +6,4 mln mc il 1 febbraio, +11,2 mln mc il 2, +26,8 il 3 e +17 il 4 febbraio). La massima riduzione percentuale di import di gas russo si è registrata il 4 febbraio: 30,5 mln mc contro 103,1 richiesti (-29,6%).

Comunque al momento le alternative non sono così tante; il grosso continua ad arrivare dalla Russia e dall’Algeria, oltre che un po’ dalla Libia e dal nord Europa. Poi con la situazione di maltempo a complicare la situazione ci si è messa anche la difficoltà di rifornire il terminale di gas liquefatto di Rovigo.

“L’Eni ha un rapporto pluridecennale con la Russia, ma non si può pensare di restare legati a filo doppio con Gazprom”, ci dice Zorzoli. “Altri gasdotti, che dovrebbero portare in Europa gas dalle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, fanno fatica ad andare avanti. Quando si ha che fare con il gas devi avere molte alternative. Se ci fosse stata ancora in corso la guerra civile libica probabilmente saremmo stati al freddo”. In effetti dalla Libia in questi giorni stanno arrivando circa 17 milioni di mc/giorno, anche se la capacità tecnica del gasdotto Greenstream è di circa 33.

Costruire nuovi rigassificatori potrebbe essere un po’ rischioso alla luce dell’aumento della domanda globale e visto il numero limitato di navi metaniere oggi a disposizione nel mondo. Chiediamo a Zorzoli se troppi rigassificatori non potrebbero diventare cattedrali nel deserto o, quanto meno, strutture per così dire sproporzionate all’offerta? “Questo è possibile. Ma per l’Italia l’unica scelta da fare sul gas è diversificare al massimo. Ma questo costa. Diversificare significa avere una sovraccapacità che spesso verrà sottoutilizzata e di conseguenza i maggiori costi si andranno a scaricare sul consumatore. Per questo va spezzata una lancia per le misure di efficienza energetica e per le rinnovabili, specialmente quelle termiche, perché non dimentichiamo che una grossa parte del consumo del gas nel nostro paese serve per gli usi termici”.

In Italia ritrovano fiato i nuclearisti che ci raccontano che con il nucleare staremmo stati al calduccio. Ma il deficit di offerta elettrica dei transalpini in questi giorni sembra dire una cosa diversa. “La Francia ha fatto tanto nucleare e sappiamo che questa è una forma di generazione non flessibile. Per questo nel paese è stato molto promosso il riscaldamento elettrico, infatti circa il 35% del riscaldamento delle case è elettrico. E quando c’è un freddo intenso come in questi giorni il nucleare francese non ce la fa. Bisogna ricordarsi che per ogni grado di temperatura in meno la domanda cresce di 3.500 MW elettrici”, ha spiegato GB Zorzoli, aggiungendo che “è un paradosso che un paese con una mostruosa potenza elettrica da nucleare sia costretto in questo ore a importare molta elettricità. L’Italia che la produce soprattutto con cicli combinati alimentati a gas, in questo momento non può venderla e allora i francesi vanno in difficoltà; sono anche costretti a riaprire o a dare fondo a vecchie centrali a olio combustibile o a carbone. Un’ennesima riprova che quando hai una monocultura energetica alla fine la paghi”.

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