Efficacia delle politiche per le rinnovabili. Intervista a Lorenzoni

Con un'intervista ad Arturo Lorenzoni dello IEFE Bocconi di Milano e dell’Università di Padova, iniziamo un dibattito con esperti del settore sull’efficacia e l’efficienza delle politiche per la promozione delle fonti rinnovabili in Italia e sui processi decisionali sottostanti. I punti critici e qualche suggerimento ai decisori politici su strumenti e principi.

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Le politiche per la promozione e lo sviluppo delle energie rinnovabili in Italia hanno come punto di riferimento il cosiddetto pacchetto Energia e Clima e, all’interno di esso, la Direttiva 20-20-20 (2009/28/CE) che fornisce agli Stati Membri un quadro di riferimento per la promozione delle rinnovabili attraverso:

  • la determinazione, per ogni Stato, di “obiettivi nazionali obbligatori per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e per la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti”,
  • la determinazione di una serie di strumenti che gli Stati devono adottare per raggiungere tali obiettivi. I settori che devono contribuire al raggiungimento degli obiettivi al 2020 sono tre: “elettricità”, “calore e freddo”, “trasporti”. Diversi gli strumenti che la Direttiva chiede di adottare, tra cui: semplificazione delle procedure amministrative, informazione, incentivi, obbligo di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici, certificazione degli installatori.

L’Italia ha risposto a quanto richiesto dalla Direttiva sostanzialmente attraverso due provvedimenti: il PANER (Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili) inviato alla CE nel giugno del 2010 e il D. Lgs. 28/11, pubblicato nel marzo dello scorso anno.

Il PANER ha in particolare definito e quantificato obiettivi e traiettorie nei tre settori di cui sopra e, all’interno di essi, per ciascuna tecnologia. Mentre il Decreto 28, legge quadro che a sua volta rimanda per gli aspetti più tecnici, a numerosi decreti attuativi, ha delineato gli strumenti la cui implementazione dovrà permettere di raggiungere, entro il 2020, gli obiettivi fissati all’interno del PANER, con il conseguente abbattimento delle emissioni di CO2.

In questo quadro, e forse ancora prima che tale quadro prendesse forma, il dibattito sull’efficacia e l’efficienza delle politiche per le rinnovabili è sempre stato, in un certo senso, “sotto traccia”, non riuscendo, però, di fatto a influenzare e indirizzare i processi decisionali. Partendo da tali premesse, diamo parola a chi da anni si occupa di fonti rinnovabili e della valutazione delle relative politiche, affinché, dal loro privilegiato punto di osservazione, possano “illuminare” alcuni punti critici e, perché no, dare alcuni suggerimenti a chi tali politiche deve pensare, progettare e implementare.

Il nostro primo interlocutore è il professor Arturo Lorenzoni dello IEFE Bocconi di Milano e dell’Università di Padova.

V.V. Diversi sono gli strumenti che il legislatore ha a disposizione per promuovere l’utilizzo delle fonti rinnovabili. Pensiamo all’obbligo di rinnovabili negli edifici, agli incentivi, all’informazione e sensibilizzazione, alla formazione di professionisti e installatori … solo per fare alcuni esempi che la stessa Direttiva 20-20-20 cita esplicitamente. Ma come fa il decisore politico a decidere tra diverse opzioni? Ritiene che l’economista potrebbe dare un contributo importante da questo punto di vista?

A.L. L’incentivazione alle fonti rinnovabili deve rapportarsi agli obiettivi della politica energetica. Perché si sostengono le fonti rinnovabili? Per motivi ambientali? Di sicurezza degli approvvigionamenti? Di innovazione? Di sviluppo industriale? Sulla base del proprio obiettivo, gli strumenti di sostegno vanno scelti, cercando di massimizzarne l’efficacia e l’efficienza. In particolare, le misure che danno un risultato maggiore a parità di denaro speso vanno privilegiate. Avere una progettualità chiara è indispensabile per orientare l’intervento del decisore pubblico; l’economista può aiutare a valutare costi e benefici delle misure.

Quali sono gli strumenti a disposizione dell’economista per valutare quali misure implementare e con quali modalità?

La valutazione delle politiche può ricorrere ad una molteplicità di strumenti, dall’analisi di scenario, ai modelli di previsione, fino alle simulazioni per dare sensibilità agli effetti delle azioni dei decisori pubblici. La valutazione quantitativa non è complessa; ad essere critica è la scelta delle priorità da dare all’intervento, che è di competenza esclusivamente politica. Per esempio, meglio favorire l’uso della biomassa in grandi o piccoli impianti? Entrambe le opzioni hanno pro e contro, ma non può essere l’economista che decide, egli fornisce gli strumenti per valutare.

Parliamo in particolare degli incentivi per le rinnovabili. Sarebbe interessante capire se e in che modo un’analisi costi-benefici potrebbe aiutare il decisore a capire quali incentivi implementare, di quale entità, su quale orizzonte temporale, come distribuire le risorse sulle diverse tecnologie a disposizione, ecc. Ci può dare un’idea su come lavora un’analisi costi-benefici e su quali variabili dovrebbe prendere in considerazione?

Innanzitutto ci sono misure a costo zero che dovrebbero avere priorità su tutto: le barriere non economiche sul piano amministrativo dovrebbero essere rimosse, con un’azione di svecchiamento normativo. Poi, il punto di partenza è certamente la disponibilità di spesa. Solo quando si sa quanto si può spendere, è possibile procedere con il confronto con i benefici, che non sono facili da valutare. Per fare un altro esempio, quanto vale l’avvio di un nuovo settore industriale nel campo del biogas o del solare termico? Sono fattori di competitività dell’intera economia che hanno valore strategico, per cui, se l’obiettivo di lungo termine è chiaro, si può dare un senso alle considerazioni economiche di breve periodo.

Passando dagli aspetti tecnici ad aspetti più di sistema, ritiene che fino ad ora si sia fatto abbastanza in questa direzione? Cosa si sentirebbe di suggerire a coloro che devono pensare e implementare le politiche per le rinnovabili?

Io ritengo che non si sia fatto abbastanza. Non tanto sulla spesa impegnata, che è rilevantissima, quanto sul piano culturale e dell’identificazione delle priorità. Non è possibile essere in ritardo sistematico nel recepimento delle direttive europee, anche quando questo può creare lavoro e attività economica locale, cioè sviluppo. Il consiglio che mi sento di dare è quello di recuperare il ritardo nell’attuazione dei decreti già emanati e di assumere un atteggiamento più propositivo. Che non significa spendere di più, ma identificare degli obiettivi e agire sulla definizione di regole semplici e chiare.

Nell’ultimo anno si è creata una sorta di polarizzazione, quando non di vera e propria conflittualità, fra il comparto delle rinnovabili elettriche e quello delle rinnovabili termiche o, ancora, tra diverse tecnologie all’interno dello stesso comparto (penso per esempio alle pompe di calore e al solare termico). Premesso che non possiamo non vedere che gli obiettivi sono comuni (rispondere alle direttive europee, ridurre le emissioni climalteranti, aumentare la sicurezza energetica, puntare sul risparmio energetico, ecc.), ritiene che politiche fondate su un’adeguata analisi costi-benefici potrebbero aiutare a superare tali contrapposizioni?

Sì, certo. Una valutazione serena del valore delle singole tecnologie aiuterebbe a indirizzare l’azione di politica energetica verso i settori più convenienti. L’azione della politica dovrebbe essere quella di mediare tra interessi contrastanti, mentre si è sperimentato che spesso le norme siano nate dalle pressioni delle parti, senza una mediazione ragionata. Valutare le conseguenze economiche generali degli investimenti è importante, perché le nuove fonti di energia possono essere un volano formidabile per l’economia del nostro paese.

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