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Eolico ad alta quota, clima e ‘svarioni’

  • 16 Dicembre 2011

“L'eolico ad alta quota fa male al clima? Solo svarioni”. Le osservazioni critiche di Massimo Ippolito, fondatore del progetto Kite Gen, che qui pubblichiamo, sullo studio del Max Planck Institute e sui possibili impatti climatici dell'eolico ad alta quota di cui abbiamo parlato la settimana scorsa.

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La settimana scorsa su queste pagine abbiamo parlato di una recente pubblicazione del Max Planck Institute: “Jet stream wind power as a renewable energy resource: little power, big impacts” (Qualenergia.it, L’eolico ad alta quota fa male al clima?). Lo studio metteva in guardia sul fatto che sfruttare correnti d’alta quota, come le jet-stream, possa provocare seri impatti climatici. Una visione contestata seccamente da Massimo Ippolito, fondatore del progetto italiano di eolico ad alta quota Kite Gen. Riceviamo e pubblichiamo le sue osservazioni.

Anche se fosse scientificamente ineccepibile, e non lo è, lo studio si presenterebbe inutile già dal titolo, essendo una critica preventiva ad un’impresa che nessuno al mondo intende tentare: estrarre energia dal jet stream. Gli svarioni che esso contiene rivelano l’intento di demolire il concetto di eolico di alta quota allineando a casaccio argomenti, anche poco “digeriti” dagli stessi autori (…). La scarsa serietà scientifica del testo emerge già dove afferma che si può estrarre esattamente 7,5 TW dall’atmosfera, senza offrire quelle opportune barre di errore che sono ottenibili, nel ciclare il modello, variando le assunzioni nel loro ambito di plausibilità. E’ fastidioso poi leggere tanto spesso confusi i concetti di potenza e di energia. E anche a pag. 202 del paper l’intero primo paragrafo mescola ripetutamente i due concetti (*). Ma perché poi considerare sempre il Jet Stream?

Perché esso alimenta sogni esagerati, che inducono a parlarne, anche a sproposito. La velocità media del vento a quelle quote è infatti di ben 90 nodi – come dire circa 16 kW/mq di fronte vento – con picchi di oltre 100 kW/mq. Una ventola di soli 20 cm di diametro potrebbe perciò alimentare largamente un’abitazione tutto l’anno. Però una macchina da immergere in pieno Jet Stream, a 9000 metri di altezza, è difficile perfino da immaginare. Solo fantasie tecnologicamente immature possono ipotizzare di sfruttare quel potentissimo quanto ingestibile flusso. L’eolico di alta quota reale, in tutte le sue forme, si indirizza invece al flusso residuale, quello che si propaga dai jet streams, scende a quote più basse e disperde energia in calore tra le montagne e le foreste.

Si deve pensare che gli estensori del paper non lo sapessero? Cioè che si fossero azzardati a criticare una tecnologia pur ignorandone perfino le basi? E’ un’ipotesi quasi offensiva ma, fra le due possibili, è la più benevola. L’altra è infatti quella che fa considerare i grossi interessi minacciati dall’eolico di alta quota: quelli di chi lucra sulle fonti fossili e anche quelli dei 56 produttori di turbine eoliche attivi nel mondo, di cui 10 sono giganti industriali.

E ancora, i lavori di Christina Archer e Ken Caldeira, sono citati nel paper a preteso sostegno, ma non si concentrano invece affatto sull’ipotesi di sfruttamento del jet stream. Il loro atlante dei venti di alta quota prende in esame tutte le latitudini e longitudini alle varie altezze.

La magia dell’eolico troposferico è proprio la possibilità di modulare l’altezza operativa in modo da trovare sempre una brezza non troppo forte né troppo debole col fine primario di fare concorrenza alla stabilità e alla costanza delle centrali termiche. Esso presenta inoltre il vantaggio di trovare concentrata questa energia approssimandosi al regime stazionario atmosferico, al quale si può accedere praticamente da qualunque luogo della superficie terrestre, senza richiedere di dispiegare decine di migliaia di installazioni sui territori.

Avere una enorme risorsa energetica accumulata nei jet stream, non è certamente l’immaturo e inutile proposito di estrarre migliaia di TW, ma è la consapevolezza di poter cogliere il vantaggio di una macchina che può attingere ovunque dalle perdite di quel ampio serbatoio energetico per soddisfare le specifiche di funzionamento e di potenza erogabile. (**)

Spesso si sente dire che gli scienziati sono divisi su certi temi, come i modelli che descrivono il caos climatico e la responsabilità antropica. Molti politici non vogliono più sentir parlare di modelli, forse per aver visto dimostrare tesi opposte, supportata ciascuna da un modello. Ma è un peccato poiché l’essenza della politica dovrebbe essere la previsione del futuro con sufficiente anticipo per reagire correttamente.

Penso di aver focalizzato il principale fattore comune di guasti cognitivi su argomenti complessi. Si tratta di differenti percezioni dei fenomeni dinamici e retroattivi. C’è una netta demarcazione tra chi studia e percepisce fenomenologie multivariate, col loro corredo di forzanti e retroattività, e chi percepisce la scienza e i suoi fenomeni con rappresentazioni statiche o proiezioni tendenziali, come succede nel mainstream degli economisti o dei demografi. Purtroppo, è possibile confezionare i cosiddetti modelli previsionali con entrambe le mentalità, ma con risultati qualitativi ben diversi.

I tre autori del paper sembrano appunto carenti sulla dinamica dei sistemi. Infatti dicono di aver usato un modello ad elementi finiti, ma lo hanno applicato spalmando ovunque un freno fluidico ad imitazione di macchine eoliche di alta quota. Un errore che risulta evidente pensando che le macchine eoliche devono avere necessariamente una geolocalizzazione, mentre ciò è stato da loro completamente ignorato. Se i potenti flussi di vento di alta quota sono così mobili per mancanza di attrito, un eventuale ostacolo puntuale verrebbe in buona parte aggirato, creando scenari dinamici inediti, modellizzabili sì, ma con approcci più rigorosi.

Qui ho riprodotto un’immagine a dimostrazione che, mentre scrivevo, su Inghilterra, Francia, Italia e fino alla Grecia era presente un vento di oltre 200 km/h. Come si può notare, questi flussi accelerano, frenano e deviano, coinvolgendo immense masse d’aria a grande velocità e con grandi accelerazioni, in evoluzioni che in poche ore presentano con figurazioni completamente differenti e grandi scambi di energia.

Nell’immagine l’Italia risultava investita da una potenza eolica di oltre 200 TW, pari a circa 15 volte il fabbisogno mondiale primario. Lo studio di queste dinamiche atmosferiche emblematicamente ripropone le difficoltà citate. Eppure c’è chi, con somma presunzione, pensa di poter mettere giù una manciata di equazioni, che a gamba tesa intervengono in un modello; e pretende di ottenere risultati sensati.

 

* A pag. 202 del paper l’intero primo paragrafo mescola ripetutamente i due concetti. Ad esempio: “However, this estimate is almost twice the value of the total wind power of 900TW (Lorenz, 1955; Li et al., 2007; Kleidon et al., 2003;Kleidon, 2010) ” (“Tuttavia, questa stima è almeno il doppio del valore totale della potenza del vento di 900TW (Lorenz, 1955; Li et al., 2007; Kleidon et al., 2003;Kleidon, 2010″). Ebbene, affermare che la potenza totale del vento è di 900 TW è un grave nonsense fisico. Al limite, si potrebbe valutare l’energia del regime stazionario atmosferico, che però si misura in Twh o PWh (TeraWattOra o PetaWattOra). Quei 900 TW, se mai, potrebbero essere la potenza che il sole trasferisce all’atmosfera che si trasforma in forma cinetica. Dovrebbe bastare questo errore, che rivela confusione o ignoranza grave negli autori, per squalificare l’intero lavoro.
Se volessimo poi azzardare una valutazione dell’energia cinetica contenuta nell’atmosfera planetaria, otterremmo stime da 100 a 300 EJ o da 30 a 100 PWh, quindi ordini di grandezza assolutamente diversi.

** Grottesca, a pag 206, è la citazione della legge di Betz. Le sue formulazioni indicano infatti come frenare al meglio il flusso del vento per estrarne energia, ma sono preziose solo per le turbine eoliche, che hanno un fronte vento intercettabile limitato dalla dimensione delle pale. Nell’eolico troposferico di tipo ground-gen (generatore a terra), la legge di Betz perde invece importanza poichè il fronte vento intercettabile è decine di volte superiore a quello delle pale eoliche e quindi la velocità del vento viene ridotta solo leggermente. 

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