Reti elettriche e accumulo, il paradigma che cambia

L'accumulo sarà il driver del futuro del sistema elettrico. Nell'articolo di GB Zorzoli, pubblicato sull'ultimo numero della rivista QualEnergia, si prende in esame la necessità di adottare diverse tecnologie di accumulo, da quelli di grandi dimensioni associati alla rete di trasmissione ai piccolissimi installati presso i consumatori finali.

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Il crescente apporto delle rinnovabili e della piccola cogenerazione alla produzione di energia elettrica introduce nel sistema elettrico impianti produttivi parzialmente programmabili.

Se l’aleatorietà è caratteristica degli impianti eolici e fotovoltaici (entro certi limiti, come vedremo, è però possibile aumentare la loro programmabilità o, per lo meno, prevedibilità), anche la piccola cogenerazione alimentata da combustibili fossili e gli impianti a biomassa che, per realizzare una buona efficienza energetica e garantire un’accettabile redditività, devono operare in cogenerazione, non sono in grado di funzionare a tavoletta, in quanto la domanda termica è funzione della dinamica dei processi produttivi o del fabbisogno di calorie/frigorie, se destinata alla climatizzazione degli edifici: le conseguenti variazioni temporali della produzione elettrica, per quanto in larga misura prevedibili e di solito tali da modificare solo parzialmente la potenza elettrica disponibile, si verificano quasi sempre all’insaputa del gestore della rete, per il quale diventano quindi assimilabili a fonti aleatorie.

Sulla base delle loro dimensioni, tali impianti, come i parchi eolici, vanno allacciati alla rete di trasmissione in alta tensione oppure a quelle di distribuzioni in media o bassa tensione. Inoltre, essi non alterano solo il funzionamento delle reti di distribuzione, che tradizionalmente dovevano gestire solo un flusso unidirezionale di potenza proveniente dalla rete di trasmissione; l’eventuale eccesso rispetto alla domanda in media/bassa tensione provoca un controflusso verso la rete di trasmissione, inesistente prima dell’avvento della generazione distribuita.

Queste novità stanno obbligando tutte le reti a un triplice cambio di paradigma:

  • un upgrading della loro “intelligenza”, anche se per la distribuzione si tratta di innovazioni radicali e nella trasmissione solo di innovazioni incrementali;
  • la necessità e non solo la convenienza di adottare appropriate tecnologie di accumulo a tutti i livelli, non escluso il consumatore finale;
  • la generalizzazione a tutti i livelli di metodologie per il demand side management.

Al crescere dell’apporto al mix produttivo elettrico delle rinnovabili e della cogenerazione distribuita, si andrà quindi verso una gestione sempre più integrata di tutte le linee elettriche, chiamate a gestire problematiche molto simili, fino a diversificarsi essenzialmente solo per il livello di tensione. Dei tre cambi paradigmatici sopra elencati nel seguito ci si occuperà prevalentemente del secondo.

Le funzioni dell’accumulo. L’accumulo può essere richiesto per necessità tecniche, ma anche perché economicamente conveniente. Inoltre, in funzione del servizio che è chiamato a svolgere, deve essere in grado di mettere a disposizione una potenza elevata per un breve periodo oppure, all’estremo opposto, un’energia elevata per un lungo periodo; ovviamente con situazioni intermedie fra le due. La prima famiglia di accumuli funge da power balancing, compensa cioè le variazioni rapide di produzioni aleatorie e/o di carico, oppure da power quality, interviene cioè ancora più rapidamente (in meno di un secondo) per mantenere la frequenza e la tensione entro valori che consentono alla rete di funzionare in condizioni ottimali.

Diversa è la funzione di time shift, quando l’energia viene accumulata per ore con finalità diverse:

  • renderla disponibile quando la domanda di potenza dell’utente altrimenti supererebbe il limite contrattuale (peak shaving);
  • ridurre gli investimenti nelle reti, evitando che il flusso superi determinati valori;
  • utilizzarla quando il prezzo di vendita è più elevato.

La Figura 1 illustra sinteticamente le tipologie di accumulo in funzione dei tempi di intervento (di scarica) loro richiesti. L’utilizzo del volano, come pure di aria compressa all’interno di cavità sotterranee (non indicato in Figura 1), è oggi assai limitato e non sarà preso in considerazione.

La tecnologia di accumulo oggi più diffusa è quella degli impianti di pompaggio (circa 100 GW a livello mondiale), costituiti da un invaso superiore dove, nelle ore notturne, viene pompata acqua da un invaso inferiore, utilizzando l’energia elettrica prodotta da una centrale termica, mentre nelle ore diurne l’acqua ridiscende a valle in una condotta forzata, generando quindi energia elettrica nelle ore di punta. Malgrado la perdita in termini di energia (il rendimento complessivo è di circa 2/3), l’operazione presenta una convenienza economica se di notte per il pompaggio impiego un impianto che produce energia a basso costo, mentre immetto in rete energia di giorno nelle ore di massima domanda, quando anche il suo valore economico è quindi massimo.

L’Italia dispone di impianti di pompaggio per circa 8.000 MW, ma il loro utilizzo da qualche anno è in calo (Figura 2). Il fenomeno è strettamente correlato alla crescente sovraccapacità produttiva degli impianti a cicli combinati (Tabella 1), che si traduce in un numero decrescente di ore medio di utilizzo annuo: secondo dati non ancora ufficiali, nel 2010 questo è sceso sotto 4.000 ore. Poiché il costo proporzionale degli impianti a ciclo combinato è molto elevato (70-75% del costo tale), utilizzarli per alimentare centrali di pompaggio, con una perdita di energia pari a circa un terzo, diventa conveniente solo quando si prevedono prezzi di vendita del kWh nelle ore di punta sufficientemente elevati. In pratica durante le ore diurne i cicli combinati stanno dunque sostituendo in misura rilevante le centrali di pompaggio, svolgendo il ruolo di “accumuli virtuali”. Questo, grazie alla loro flessibilità, ulteriormente accentuata se si utilizza soltanto il ciclo a gas.

In tal modo, al crescere dell’apporto della generazione distribuita solo parzialmente programmabile, l’eccesso di capacità produttiva diventerà gradualmente un’utilità, questi impianti potranno continuare a svolgere questa funzione in futuro per compensando in tempo reale i deficit produttivi.

Come è emerso con chiarezza il 5 giugno scorso dalla tavola rotonda sul tema “L’impatto delle rinnovabili sul disegno e sul funzionamento del mercato elettrico”, organizzata in concomitanza con la presentazione della relazione annua annuale del GME, è infatti necessario introdurre modifiche alle

regole che attualmente governano questo mercato, innanzi tutto adeguando strumenti come il capacity payment, che incentivino i produttori a rendere disponibili impianti a cicli combinati in grado di intervenire immediatamente su richiesta, per rendere compatibile un elevato apporto delle rinnovabili alla generazione elettrica del nostro Paese. Questa innovazione, che l’Autorità per l’energia intende introdurre entro il 2011, sancirà anche formalmente la nuova funzione che i cicli combinati andranno ad assumere.

Viceversa le centrali di pompaggio sarebbero molto utili quando si ha una produzione da fonti rinnovabili così elevata che la rete non è in grado di veicolarla completamente: dato il costo proporzionale praticamente nullo di questa energia, in qualunque ora ciò si verifichi si ha convenienza sia economica, sia ambientale a utilizzarle per il pompaggio. È quanto si verifica oggi in Italia per una parte della generazione degli impianti eolici. Purtroppo le centrali esistenti sono quasi tutte ubicate nel settentrione, mentre i parchi eolici sono in larga misura concentrati in alcune zone del Sud, dove esistono regimi del vento favorevoli. È dunque indispensabile realizzarne di nuove in quelle parti d’Italia. Secondo l’amministratore delegato di Terna, Flavio Cattaneo, in Italia c’è un potenziale per impianti di pompaggio di 5.000 MW, in parte significativa localizzati nel Mezzogiorno.

Quando si scende a livello della media e bassa tensione, gli impianti che per numerosità e aleatorietà maggiormente impattano e sempre di più impatteranno sul funzionamento della rete, sono quelli fotovoltaici. In futuro non sarà trascurabile anche il contributo dei minieolici, ma la mappa italiana delle velocità medie dei venti fino a poche decine di metri d’altezza non suggerisce una loro diffusione, come numero e potenza, comparabile al fotovoltaico. Innanzitutto, la variabilità diurna dell’irraggiamento solare è in parte di natura deterministica, dovuta al movimento apparente dell’astro durante il giorno; a questa si può ovviare dotando l’impianto di un sistema di inseguimento solare. Quella di natura stocastica, dovuta all’intercettamento della radiazione solare da parte di nuvole, è più difficilmente governabile, anche se parte della radiazione indiretta viene ugualmente assorbita dalle celle fotovoltaiche. L’effetto sulla generazione elettrica della componente stocastica, per la legge dei grandi numeri, diminuisce però al crescere del numero di impianti installati e della loro distribuzione territoriale.

Lo studio più recente, completo e organico in materia è quello dell’Energy Lab dell’Università di Berkeley, che ha utilizzato i dati storici dell’Atmospheric Radiation Measurements nel Southern Great Plains (SGP): esteso su 143.000 km2 nell’Oklahoma e in piccola parte nel Kansas, una superficie pari a poco meno della metà di quella italiana, SGP è il più vasto e più strumentato campo di ricerca sul clima al mondo.

I dati solari utilizzati dallo studio sono relativi alla media minuto per minuto dal 2004 al 2009 in 23 siti diversi, che distano fra loro tra 20 km e 440 km. La Figura 3 riporta l’andamento della potenza resa disponibile in rete in una giornata parzialmente nuvolosa da un solo sito, da 5 siti adiacenti, da tutti i 23 siti presi in esame.

Come si vede, il moltiplicarsi delle installazioni porta a una rilevante riduzione dell’aleatorietà. Per un Paese come il nostro, molto esteso longitudinalmente, con un’orografia complessa e con impianti fotovoltaici già oggi diffusi in tutto il territorio nazionale, gli andamenti di Figura 3 potrebbero essere ulteriormente migliorati, purché si superino le attuali strozzature nella rete. Considerazioni analoghe valgono in misura minore nel caso del grande eolico, concentrato in aree relativamente ristrette, mentre si applicheranno in toto al minieolico, se avrà uno sviluppo e una distribuzione territoriale adeguati. È altresì possibile aumentare la prevedibilità di impianti eolici e fotovoltaici mediante l’utilizzo di previsioni meteorologiche il più possibile locali in modelli previsionali sufficientemente accurati.

In Italia il GSE ha operativo da qualche anno un sistema del genere per impianti eolici. Che in tal modo si ottenga un notevole miglioramento nella loro producibilità, lo dimostra la sperimentazione condotta da TERNA in una regione poco connessa, qual è la Sicilia (Figura 4).

La generazione distribuita ha promosso lo sviluppo delle smart grid. I vantaggi per la gestione delle smart grid che verrebbero dagli accumuli distribuiti dei veicoli elettrici in fase di ricarica, ha convinto i distributori elettrici ad associarsi all’industria automobilistica nel promuovere la loro diffusione, a sua volta resa possibile dalla disponibilità, a prezzi decrescenti e prestazioni in aumento, di batterie a ioni di litio il cui sviluppo, a chiusura del cerchio, è stato promosso proprio dalla domanda di prestazioni adeguate alla mobilità elettrica.

Le batterie a ioni di litio hanno buone prestazioni, se confrontate con i tradizionali sistemi di accumulo elettrochimico, in termini di tempi di risposta, di efficienza (Figura 5), di durata (Figura 6) e di costo (Figura 7). Se si escludono soluzioni destinate solo a interventi di brevissimo periodo, come i supercapacitori, o come le batterie Redox ai sali di vanadio (VRB), operativamente interessanti più che altro in situazioni stand alone, per le altre applicazioni di interesse per il buon funzionamento delle reti trovano spazio anche le batterie sodio/zolfo.

Tuttavia, rispetto alla situazione descritta in Figura 1, gli sviluppi recenti delle batterie a ioni di litio le stanno rendendo utilizzabili anche in reti elettriche cui sono allacciate quantità significative di generazione distribuita non agevolmente programmabile.

Per esempio a Tehachapi, nella California meridionale, dove è installato un parco eolico di circa 800 MW, saranno installati 8 MW di batterie agli ioni di litio con una capacità di 32 MWh. Progetti analoghi stanno decollando in Cile e sono programmati altrove. In Italia, TERNA ha presentato al Ministero dello Sviluppo Economico il progetto di accumuli elettrochimici per 130 MW con una capacità di 1.000 MWh, da localizzare principalmente in Puglia, Campania, Basilicata e Sicilia. Ovviamente è in fase di decollo anche l’utilizzo di accumuli elettrochimici a ioni di litio a livello delle cabine primarie delle reti di distribuzione e in prospettiva su cabine secondarie.

Infine, circolano le prime offerte di accumuli per utenze finali tipo uffici, ma anche per abitazioni, cui si potranno associare accumuli di altra natura, come lo storage di frigorie all’interno dei frigoriferi intelligenti. Se prendiamo in considerazione pure l’accumulo distribuito connesso alla futura ricarica dei veicoli elettrici e degli ibridi plug-in, si sta configurando un’articolazione dei sistemi di accumulo che va da quelli di grandi dimensioni associati alla rete di trasmissione ai piccolissimi installati presso i consumatori finali.

Non va infine dimenticato che tutte le reti, indipendentemente dal livello di tensione, in futuro saranno anche in grado di gestire il dispacciamento delle potenze loro allacciata. In questo caso l’innovazione radicale verrà dalle smart grid, capaci di gestire la generazione distribuita allacciata in media e bassa tensione in modo integrato e coordinato. In tal modo l’insieme di questi impianti funzionerà come un’unica centrale virtuale, in grado quindi di svolgere funzioni oggi di pertinenza degli impianti alimentati da combustibili fossili, quale per esempio il load following.

Poiché lo sviluppo della smart grid comporterà quello contestuale dello smart building, quest’ultimo consentirà la gestione del carico anche a livello dell’utenza finale. La non programmabilità di alcune fonti rinnovabili è tecnicamente superabile purché si abbia chiaro che l’obiettivo può essere conseguito con l’adozione combinata di tutte le tecnologie dotate di flessibilità adeguata a svolgere funzioni sia di time shift, sia di power balancing, sia ancillari di rete (come la regolazione frequenza/tensione) tramite sistemi di accumulo e/o di regolazione avanzata, anche se è tutt’altro da escludere la nascita di nuove criticità – oggi soltanto intuibili – provocate dalla coesistenza di interventi (di accumulo, di regolazione) a molteplici livelli, per loro natura poco gerarchizzabili.

Anche tenendo conto di questo caveat, sotto il profilo tecnico i problemi posti dalla prevalenza in futuro nel mix produttivo dell’apporto di energia generata da impianti a fonti rinnovabili sembrano in prospettiva risolubili.

Le difficoltà maggiori potrebbero semmai essere di natura economica. Secondo previsioni fatte a livello comunitario, di qui al 2020 il solo adeguamento delle reti elettriche nell’Unione Europea richiederà investimenti per circa 280 miliardi di euro. Ovviamente non tutti saranno correlati allo sviluppo di sistemi di gestione della generazione non integralmente programmabile, ma per una parte rilevante sì. Saranno integralmente finanziabili? Come? Da chi? Questi, gli interrogativi finora maggiormente privi di attendibili risposte.

L’articolo è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista QualEnergia 

Credit photo: http://www.flickr.com/photos/jasnimuda/

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