Porto Tolle, priorità strategica, ma solo per Zaia ed Enel

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Una nuova legge regionale vuole modificare quella che già regola la presenza di centrali termoelettriche nel territorio del Parco del Delta del Po dove si vorrebbe convertire a carbone la centrale di Porto Tolle di Enel. Una saldatura di interessi tra Regione Veneto e l'azienda energetica per un progetto ambientalmente ed economicamente assurdo.

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Poco più di un mese fa il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, diceva in merito alla centrale a carbone di Porte Tolle: ”La nostra sfida su Porto Tolle è la medesima dell’Enel e la sfida dell’Enel su Porto Tolle è la nostra”. Una saldatura perfetta tra politica e interessi di una grande azienda energetica come spesso accade in Italia. Enel ha più volte detto che la conversione a carbone “pulito” della centrale, è una scelta aziendale prioritaria e strategica. Aziendale, appunto. Quindi avanti tutta, perché la centrale a carbone (pulito), dice Zaia, è una priorità anche della Regione. Strano sentirlo dire da un veneto, ex ministro dell’Agricoltura che si è battuto sulla qualità della produzione agricola nazionale e che addirittura ha fatto della limitazione degli spazi a terra su terreni agricoli per gli impianti fotovoltaici una vera e propria crociata in nome della sostenibilità.


Le argomentazioni necessarie a convincere l’opinione pubblica battono sempre sui soliti punti, ormai stanchi e poco credibili, i soliti ricatti come i posti di lavoro a rischio (non certo migliaia come dice Zaia, ma circa 200) e lo sviluppo e il progresso del territorio. Ma quale sviluppo del territorio? Una centrale a carbone nel cuore della fragile area protetta del Parco del Delta del Po, è questa è l’idea di sviluppo di questa classe dirigente? Nessuno dice quanto si perderebbe in termini di turismo e soprattutto di qualità della vita.


Il progetto di conversione a carbone della vecchia centrale a olio combustibile di Porto Tolle era stato già bocciato dal Consiglio di Stato, che aveva accolto il ricorso di varie associazioni. Si dichiarava illegittimo il decreto con cui nel 2009 il Ministero dell’Ambiente aveva dato parere positivo al progetto. Ora una nuova legge regionale vorrebbe modificare quella che già regola la presenza di centrali termoelettriche nel territorio. Se ne sta discutendo proprio oggi alla Regione Veneto. Per Greenpeace sarebbe una norma “ad aziendam”.


La presa in giro del carbone pulito i cittadini non se la bevono più e sanno benissimo che dietro questo progetto ci deve essere un notevole profitto per Enel. Ma quali sarebbero poi i ritorni per la Regione e per il paese? Perché invece la centrale non viene convertita a gas, considerando che davanti alla vecchia centrale a olio c’è un enorme terminal gasifero offshore e che un progetto simile costerebbe, a parità di potenza, la metà?


Convertire la centrale di Porto Tolle a carbone avrebbe un notevole impatto ambientale non solo nell’area interessata, ma anche su larga parte del nord-est e della pianura Padana, producendo ogni anno l’emissione di oltre 10 milioni di tonnellate di CO2, cioè l’equivalente di oltre 4 volte le emissioni annuali di una città come Milano. Porto Tolle diventerebbe la seconda centrale termoelettrica in Italia in termini di emissioni, dopo quella Brindisi, sempre dell’Enel.


Questa centrale a carbone andrebbe a riversare ogni anno sul territorio 2.800 tonnellate di ossidi di azoto (quanto 3,5 milioni di auto nuove in un anno) e 3.700 tonnellate di ossidi di zolfo, pari a 2,3 volte le emissioni annue dell’intero settore trasporti in Italia. Per non parlare delle oltre 5000 tonnellate di polveri. Alla faccia della riduzione delle emissioni per il 2020!


Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, ha spiegato che Enel “contribuirebbe molto di più alla crescita del Paese e alla ricchezza del territorio investendo i 2,5 milioni di euro, previsti per la centrale a carbone, in energia pulita o in efficienza energetica e occuperebbe, in fase di costruzione e installazione, fino a tre volte di più che con il carbone e in fase di funzionamento e manutenzione fino a diciassette volte di più. Quegli stessi soldi, investiti in efficienza energetica, produrrebbero oltre dieci volte l’occupazione della centrale a carbone e farebbero risparmiare tre milioni di tonnellate l’anno di CO2″.


Un vero cambio di paradigma sarebbe quello di rendere operativa una moratoria sul carbone in tutti i paesi occidentali o almeno vincolarla all’eventuale sequestro e stoccaggio della CO2, al momento un’altra chimera dei fautori del carbone. Mentre la società civile si oppone fermamente a questi impianti in tutto il mondo democratico, Stati Uniti in testa, da noi la politica se ne infischia dell’opinione e dei diritti dei cittadini e pure del territorio, sempre più vilipeso. Altro che eolico e fotovoltaico nemici del paesaggio.

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